Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4281 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/02/2021, (ud. 19/01/2021, dep. 18/02/2021), n.4281

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8502-2019 proposto da:

M.O., elettivamente domiciliato presso la cancelleria della

CORTE DI CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso

dall’Avvocato ANDREA ROSSIGNOLI;

– ricorrente –

contro

B.S., D.F., CURATORE FALLIMENTARE

A.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 230/2019 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 05/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 19/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. EDUARDO

CAMPESE;

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Orazio M., già titolare dell’impresa individuale “O.M. Costruzioni di M.O.”, ora cessata, ricorre per cassazione, affidandosi ad un motivo, ulteriormente illustrato da memoria ex art. 380-bis c.p.c., avverso la sentenza della Corte di appello di Torino del 5 febbraio 2019, n. 230, reiettiva del reclamo da lui proposto contro la dichiarazione del proprio fallimento pronunciata dal Tribunale di Vercelli su istanza di D.F. e B.S.. Nessuno dei destinatari della notifica del ricorso ha svolto difese in questa sede.

1.1. Per quanto qui di interesse, quella corte ha ritenuto regolarmente eseguita la notificazione del ricorso di fallimento presso la casa comunale dopo che era risultato vano il precedente tentativo effettuato presso la ex sede della impresa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il formulato motivo, rubricato “Nullità della sentenza e/o del procedimento a causa di irregolare costituzione del contraddittorio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, con riferimento agli artt. 151 e 156 e s.s. c.p.c.)”, ascrive alla sentenza impugnata di avere erroneamente ritenuto sufficienti le adottate modalità generali di notifica del ricorso di fallimento prescritte dalla legge senza considerare, invece, quelle particolari impartite ai creditori istanti nel decreto di fissazione dell’udienza prefallimentare.

2. La descritta censura è infondata.

2.1. E’ incontroverso, infatti (oltre che espressamente riferito dalla sentenza oggi impugnata. Cfr. pag. 2), che la notifica del ricorso di fallimento del D. e del B., nei confronti della impresa individuale “O.M. Costruzioni di M.O.” (di cui nulla è dato sapere quanto alla titolarità di una casella di posta elettronica certificata), vanamente tentata presso la sede legale della stessa – (OMISSIS) – venne successivamente eseguita presso la casa comunale.

2.2. E’ utile ricordare, poi, che ogni imprenditore, individuale o collettivo, iscritto al registro delle imprese è tenuto a dotarsi di indirizzo di posta elettronica certificata, D.L. n. 185 del 2008, ex art. 16, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 2 del 2009 (come novellata dalla L. n. 35 del 2012. Per gli imprenditori individuali analogo obbligo è stato introdotto dal D.L. n. 179 del 2012, art. 5, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012), e che, come già chiarito da questa Corte, tale indirizzo costituisce l’indirizzo “pubblico informatico” che i predetti hanno l’onere di attivare, tenere operativo e rinnovare nel tempo sin dalla fase di iscrizione nel registro delle imprese (per il periodo successivo alla entrata in vigore delle disposizioni da ultimo citate), – e finanche per i dodici mesi successivi alla eventuale cancellazione da esso – la cui responsabilità, sia nella fase di iscrizione che successivamente, grava sul legale rappresentante della società, non avendo al riguardo alcun compito di verifica l’Ufficio camerale Cass. n. 31 del 2017; Cass. n. 16864 del 2018; Cass. n. 28803 del 2018).

2.3. E’ noto, infine, che la L. Fall., art. 15, comma 3 (come sostituito dal D.L. n. 179 del 2012, art. 17, comma 1, lett. a), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 221 del 2012, qui applicabile ratione temporis) stabilisce che il ricorso per la dichiarazione di fallimento ed il relativo decreto di convocazione devono essere notificati, a cura della cancelleria, all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore (risultante dal registro delle imprese o dall’indice nazionale degli indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti). Solo quando, per qualsiasi ragione, la notificazione via PEC non risulti possibile o non abbia esito positivo, la notifica andrà eseguita dall’Ufficiale Giudiziario che, a tal fine, dovrà accedere di persona presso la sede legale del debitore risultante dal registro predetto, oppure, qualora neppure questa modalità sia attuabile a causa dell’irreperibilità del destinatario, depositerà l’atto nella casa comunale della sede iscritta nel registro.

2.4. La norma, di cui la Corte costituzionale ha sancito la legittimità (dì: C. Cost. n. 146 del 2016; C. Cost. n. 162 del 2017) escludendone il contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., ha, dunque, introdotto un procedimento speciale, sotto il profilo della sua maggiore semplicità rispetto al corrispondente regime ordinario codicistico, per la notificazione del ricorso di fallimento – che fa gravare sull’imprenditore le conseguenze negative derivanti dal mancato rispetto dei già descritti obblighi di dotarsi di indirizzo PEC e di tenerlo operativo – così intendendo positivizzare e rafforzare il principio secondo cui il tribunale, pur essendo tenuto a disporre la previa comparizione in camera di consiglio del debitore fallendo e ad effettuare, a tal fine, ogni ricerca per provvedere alla notificazione dell’avviso di convocazione, è esonerato dal compimento di ulteriori formalità allorchè la situazione di irreperibilità di questi debba imputarsi alla sua stessa negligenza e/o ad una condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico (cfr. Cass. n. 602 del 2017; Cass. n. 23728 del 2017; Cass. n. 6836 del 2018).

2.4.1. Questa Corte, peraltro, ha già ripetutamente chiarito – con argomentazioni pienamente condivise da questo Collegio – che “la L.Fall., art. 15, comma 3 (nel riprodotto testo novellato dalla L. n. 221 del 2012) stabilisce che il ricorso per la dichiarazione di fallimento ed il relativo decreto di convocazione devono essere notificati, a cura della cancelleria, all’indirizzo di posta elettronica certificata del debitore (risultante dal R.I. o dall’indice nazionale degli indirizzi PEC delle imprese e dei professionisti). Solo quando, per qualsiasi ragione, la notificazione via PEC non risulti possibile o non abbia esito positivo, la notifica andrà eseguita dall’Ufficiale Giudiziario che, a tal fine, dovrà accedere di persona presso la sede leale del debitore risultante dal RI., oppure, qualora neppure questa modalità sia attuabile a causa dell’irreperibilità del destinatario, depositerà l’atto nella casa comunale della sede iscritta nel registro. La norma ha, dunque, introdotto in materia una disciplina speciale, del tutto distinta da quella che, nel codice di rito, regola le notificazioni degli atti del processo: va escluso, pertanto, che residuino ipotesi in cui il ricorso di fallimento e il decreto di convocazione debbano essere notificati, ai sensi degli artt. 138 e s.s. o 145 c.p.c. (a seconda che l’impresa esercitata dal debitore sia individuale o collettiva), nei diretti confronti del titolare della ditta o del legale rappresentante della società” (cfr. Cass. n. 28803 del 2018; Cass. n. 16864 del 2018; Cass. n. 6378 del 2018; Cass. n. 5080 del 2018; Cass. n. 602 del 2017; Cass. n. 17946 del 2016. In senso sostanzialmente analogo si veda anche la più recente Cass. n. 5311 del 2020), successivamente precisando che l’utilizzo, negli arresti appena citati, della locuzione verbale “va escluso che…debbano” deve intendersi nel senso che le modalità notificatorie ex art. 138 e s.s. o 145 c.p.c. “possono” essere utilizzate, esclusivamente nelle ipotesi specifiche suddette, in alternativa a quella del mero deposito presso la casa comunale senza altri avvisi, come sarebbe previsto, in tali casi, dal novellato L. Fall., art. 15, comma 3, perchè comunque più garantiste per il destinatario dell’atto da notificare (cfr. Cass. n. 16864 del 2018).

2.5. I principi suddetti risultano evidentemente rispettati nell’odierna vicenda, nè rilevano eventuali differenti modalità di notificazione del ricorso di fallimento, asseritamente autorizzate dal tribunale adito (che ne avrebbe imposto la notificazione presso la residenza dell’imprenditore fallendo) ai sensi dell’art. 151 c.p.c.. Invero, il potere di quèl giudice di consentire modalità di notificazione (peraltro, comportanti una dilatazione dei tempi, piuttosto che una loro compressione, in chiaro contrasto, così, con le già descritte finalità giustificative dell’avvenuta riforma della L. Fall., art. 15, comma 3) diverse rispetto a quelle previste dalla legge certamente non precludeva comunque l’utilizzo di queste ultime.

2.6. Da ultimo, va ritenuta la inammissibilità dell’eccepita carenza di legittimazione del creditore procedente a proporre l’istanza di fallimento, come dedotta dall’odierno ricorrente solo con la memoria ex art. 380-bis c.p.c., posto che quest’ultima non può contenere nuove censure, ma solo illustrare quelle già proposte (cfr. Cass. n. 17893 del 2020; Cass. n. 24007 del 2017; Cass. n. 26332 del 2016; Cass. n. 11097 del 2006). Parimenti inammissibile, inoltre, perchè fuori da quella specificamente consentita dall’art. 372 c.p.c., è la documentazione allegata all’appena menzionata memoria.

3. Il ricorso, dunque, va respinto, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo tutte le controparti rimaste solo intimate, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del(la) ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 19 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021

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