Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4278 del 23/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 23/02/2010, (ud. 16/12/2009, dep. 23/02/2010), n.4278

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PLENTEDA Donato – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. MARINUCCI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 20544-2002 proposto da:

FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI SPOLETO in persona del Presidente e

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA GRAZIOLI, 5 presso lo studio dell’Avvocato ANELLO PIETRO, che

la rappresenta e difende giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro

tempore, AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE DI SPOLETO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 144/2002 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di PERUGIA, depositata il 02/05/2002;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2009 dal Consigliere Dott. EUGENIA MARIGLIANO;

lette le conclusioni scritte dal P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. DE NUNZIO Wladimiro, con le quali si

chiede l’accoglimento del ricorso.

 

Fatto

La Fondazione Cassa di Risparmio di Spoleto per l’esercizio 1996/1997 pagava a titolo cautelativo l’I.R.Pe.G. con l’aliquota ordinaria del 37%. Successivamente, ritenendo che le dovesse essere riconosciuta l’agevolazione dell’aliquota ridotta del 50% prevista dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 in considerazione del perseguimento delle finalità statutariamente previste, inoltrava domanda di rimborso per L. 498.795.000.

Maturatosi il silenzio rifiuto, adiva la C.T.P. di Perugia, rivendicando l’agevolazione dell’aliquota ridotta del 50% prevista dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 in considerazione del perseguimento delle finalità ivi previste.

Si costituiva l’Ufficio, sostenendo che le Fondazioni bancarie non potevano essere ricondotte ad alcuno dei soggetti indicati nel citato art. 6.

La C.T.P. accoglieva il ricorso. Su gravame dell’Ufficio, la C.T.R., in riforma della sentenza di primo grado, accoglieva l’appello dell’Ufficio, ritenendo che, poichè le fondazioni bancarie, oltre a perseguire fini di utilità sociale, perseguirebbero in misura paritaria anche scopi commerciali, la mancata esclusività del perseguimento delle prime finalità comportava che non potessero essere applicate le agevolazioni di cui all’art. 6 più volte citato.

Avverso detta decisione la Fondazione Cassa di Risparmio di Spoleto propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi. Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate resistono con controricorso, contrastando quanto ex adverso dedotto.

Diritto

Con il primo motivo si deduce sostanzialmente la violazione di norme di diritto ed, in particolare, del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 per avere la C.T.R. erroneamente interpretato detta norma senza considerare l’evoluzione normativa iniziata con la cd. riforma Amato (Legge Delega n. 218 del 1990 e D.Lgs. n. 356 del 1990) e portata a termine con la Legge Delega n. 461 del 1998, disciplinante gli aspetti civilistici e fiscali delle fondazioni bancarie, e con il D.Lgs. n. 153 del 1999, norme con le quali era stata incentivata la dismissione delle partecipazioni bancarie attraverso l’intassabilità di eventuali plusvalenze realizzate. Sostiene, inoltre, parte ricorrente che illegittimamente la C.T.R. aveva ritenuto che l’elencazione degli enti previsti dal D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6 fosse tassativa , mentre andava interpretato estensivamente, nè aveva tenuto conto della giurisprudenza di legittimità in materia, con particolare riferimento alla sentenza n. 6607 del 2002.

Con la seconda censura si denuncia l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata per il riferimento effettuato alla sentenza n. 14574 del 2001, inconferente, nella specie, in quanto pronunciata nella diversa ipotesi dell’applicabilità alla Fondazioni bancarie della L. n. 1745 del 1962, art. 10 bis in materia di esonero dalla ritenuta sui dividendi.

I due motivi del ricorso possono essere esaminati congiuntamente data la loro stretta connessione logico giuridica.

Tutte le questioni rimaste in contestazione fra le parti, sopra succintamente esposte, trovano soluzione, con argomenti che il Collegio pienamente condivide, nella sentenza SS.UU. n. 1576/2009.

Pertanto, non essendo dedotte hinc inde ragioni diverse da quelle approfonditamente esaminate e discusse con tale sentenza, sembra sufficiente, di seguito, richiamare sinteticamente le motivate risposte che essa fornisce alle domande ed alle eccezioni formulate dalle parti.

Il legislatore, ponendo mano, col D.Lgs. 20 novembre 1990, n. 356, alla “ristrutturazione” del sistema bancario e in particolare, per quanto qui interessa, alla disciplina degli enti creditizi pubblici che avevano effettuato il conferimento dell’azienda bancaria da essi posseduta ad una o più società per azioni, acquisendone in cambio l’intero pacchetto azionario o una consistente parte di esso, intese principalmente “razionalizzare il sistema creditizio per adeguarlo alla realtà del mercato unico europeo e renderlo competitivo nel nuovo scenario della liberalizzazione valutaria e dei servizi”; in questa prospettiva – e finchè non intervenne la nuova riforma, alla fine degli anni 90 (L. 23 dicembre 1998, n. 461; D.Lgs. 17 maggio 1999, n. 153), con cui gli enti furono trasformati in fondazioni (cc.dd. “fondazioni bancarie”), questi ebbero natura di persona giuridica privata senza fine di lucro (C. cost. ordin. n. 300/2003) e diritto ad agevolazioni fiscali, a determinate condizioni, gli enti conferenti, rimanendo legati alla conferitaria da “un vincolo genetico e funzionale” (C. cost. sent. n. 163/1995) che li manteneva nell’orbita delle aziende bancarie, ebbero il compito precipuo di favorire la transizione, da uno scenario di protezione pubblica del credito e dei relativi istituti ad uno di libero mercato e di concorrenza internazionale, continuando ad esercitare di fatto l’attività bancaria, ad essi peraltro congeniale, sia pure in modo defilato e sotto forma di amministrazione della partecipazione nella società conferitaria.

Se, dunque, tale era il compito precipuo ed immancabile degli enti conferenti, le altre finalità da essi perseguite da enunciare nello statuto, consistenti in “fini di interesse pubblico e di utilità sociale preminentemente nei settori della ricerca scientifica, della istruzione, dell’arte e della sanità”; od anche nel mantenimento delle “originarie finalità di assistenza e di tutela delle categorie sociali più deboli” (D.Lgs. n. 356 del 1990, art. 12, comma 1, lett. a)) – sono da ritenere secondarie (e neppure obbligatorie); sicchè a questi enti non può estendersi la previsione agevolativa del D.P.R. n. 601 del 1973, art. 6, che riguarda istituti di tutt’altra origine e natura, non aventi altro scopo se non uno (o più) di quelli menzionati dalla stessa norma.

Sul piano dell’interpretazione della legge, l’agevolazione di cui si tratta, concessa “in ragione del … profilo soggettivo degli enti beneficiari e non in ragione della attività oggettivamente svolta”, non può ritenersi applicabile alle fondazioni bancarie, per analogia con gli enti menzionati dal citato art. 6; nè detta norma può essere interpretata estensivamente.

L’interpretazione analogica è, infatti, vietata (art. 14 disp. premesse c.c.), in presenza di una disposizione eccezionale, di esonero parziale dall’obbligazione tributaria; quella estensiva è esclusa dallo stesso art. 6 che, alla lett. c), subordina ad una espressa equiparazione “per legge” la possibilità di estendere l’esenzione ad enti non rientranti nelle categorie elencate.

D’altra parte, una diversa conclusione “sarebbe priva di copertura costituzionale, prima ancora che in contrasto con la normativa comunitaria sulla concorrenza e sugli aiuti di Stato” (in quest’ultimo senso, specialmente Cass. civ. SS.UU. sent. n. 27619/2006, con le precisazioni contenute in cass. civ. sentt. nn. 10253/2007, 7883/2007).

Per i restanti aspetti – (ir)retroattività della norma (D.Lgs. n. 153 del 1999, art. 12, comma 1) che estende il regime fiscale di favore del citato art. 6 alle fondazioni, ormai così denominate, che si erano adeguate alle nuove prescrizioni, dichiarandole enti non commerciali ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c), (TUIR), alla condizione di dismettere, entro quattro anni, la partecipazione di controllo nella società bancaria conferitaria; rilevanza ed onere della prova circa il concreto svolgimento di attività nei campi d’interesse sociale prescritti -, la sentenza SS.UU. cit. afferma, con ampia motivazione da intendere qui richiamata, che “il riconoscimento del beneficio fiscale è collegato alla attuazione della riforma del 1999, senza alcuna influenza sui periodi precedenti”, e che “le relative disposizioni non possono avere valenza interpretativa” (nè, quindi, retroattiva);

che, inoltre, fa carico ai soggetti conferenti, titolari di una partecipazione di controllo nella società bancaria conferitaria, quindi, esercenti presumibilmente un’impresa bancaria, l’onere di provare, secondo il comune regime disciplinato dall’art. 2697 c.c., il concreto svolgimento, nell’anno d’imposta considerato, di un’attività prevalente o esclusiva di promozione sociale e culturale, del tutto differente da quella prevista dal legislatore.

Quanto alla presunzione di esercizio, sia pure indiretto e mediato, dell’impresa bancaria, si osserva che anche la presenza dei ripetuti interventi legislativi ed amministrativi attuati nel periodo di transizione (1990-1999) allo scopo di far cessare ogni influenza degli enti creditizi sulle società conferitarie (D.M. Tesoro 26 novembre 1993; D.L. 31 maggio 1994, n. 332, art. 1, comma 7, convertito con modificazioni nella L. 30 luglio 1994, n. 474; D.M. Tesoro 18 novembre 1994 – “Direttiva Dini”, D.M. 20 febbraio 1995, D.M. 28 giugno 1995, ecc.) non inficia la conclusione qui condivisa, ma semmai la rafforza, nella misura in cui la pressante sollecitazione a dismettere gli strumenti di controllo dell’attività bancaria avvalora, di per se stessa, il convincimento che gli enti conferenti presumibilmente ne facevano uso, realizzando una vera e propria ingerenza.

La contribuente non nega quanto meno di avere posseduto una partecipazione di maggioranza nella società conferitaria nè di avere esercitato i conseguenti diritti patrimoniali e societari, “oggetto” dei suoi poteri di amministrazione delle partecipazioni nella società conferitaria.

Le argomentazioni spese a sostegno di tali affermazioni non possono essere condivise, siccome contrastanti con la giurisprudenza sopra richiamata, cui aderisce il Collegio, secondo la quale, “A parte la considerazione che l’onere di provare i fatti giustificativi di un trattamento fiscale agevolato grava sempre su colui che invoca il beneficio”, esiste “una vera e propria presunzione di esercizio della attività di impresa bancaria in capo a coloro che in ragione della entità della partecipazione al capitate sociale sono in grado di influire sull’attività dell’ente creditizio”. Presunzione da cui deriva sia la conseguenza che “non incombe … all’Amministrazione finanziaria l’onere di sollevare in proposito precise contestazioni” (in tal senso, S.U. cit. conferma quanto già ritenuto da questa Corte di cassazione con le sentenze nn. 10258/2007, 10253/2007, 7883/2007); sia la soggezione della contribuente all’onere della prova contraria.

Ma, per vincere tale presunzione, la contribuente avrebbe dovuto provare non il mero fatto di avere destinato concretamente tutte (o quasi) le risorse disponibili all’attuazione dello “scopo” di utilità generale, bensì, più radicalmente, “di avere svolto una attività del tutto differente da quella voluta dal legislatore, nel senso che invece di privilegiare le finalità di consentire al nostro sistema creditizio di affrontare le turbolenze del mercato internazionale in mare aperto (governando la fase dell’affrancamento dal protezionismo statale), abbia… invece svolto una attività di prevalente o esclusiva promozione sociale e culturale”.

Deve tuttavia ritenersi ormai preclusa la possibilità di fornire simile prova “estesa all’attività complessivamente esercitata dalla fondazione nell’anno d’imposta, la cui ammissione presuppone innanzitutto che il relativo tema sia stato introdotto nel giudizio secondo le regole proprie del processo tributario, ovverosia mediante la proposizione di specifiche questioni nel ricorso introduttivo”, laddove la stessa contribuente non nega di avere dedicato energie organizzative ed economiche all’attività che indica come “oggetto” dei suoi interessi, cioè all’amministrazione della partecipazione azionaria.

Tutto ciò premesso, dichiarata assorbita la censura relativa alla non attinenza al caso in esame della sentenza della Suprema Corte n. 14.574/2001 in quanto relativa alla diversa ipotesi prevista dalla L. n. 1745 del 1962, art. 10 bis in materia di esonero dalla ritenuta sui dividendi, il primo e secondo motivo di ricorso vanno respinti.

Le spese del giudizio debbono essere integralmente compensate fra le parti, in considerazione delle oscillazioni giurisprudenziali dipendenti dalla particolare complessità delle questioni trattate, la cui soluzione da parte delle Sezioni unite di questa Suprema Corte, con argomentazioni condivise ed utilizzate dal Collegio, è molto recente.

PQM

La Corte di cassazione rigetta il ricorso; compensa integralmente fra le parti le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di cassazione, quinta sezione civile-tributaria, il 16 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 23 febbraio 2010

 

 

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