Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4278 del 10/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 10/02/2022, (ud. 02/12/2021, dep. 10/02/2022), n.4278

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – rel. Presidente –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 36404-2019 proposto da:

P.G., domiciliato presso la cancelleria della CORTE DI

CASSAZIONE, PIAZZA CAVOUR, ROMA, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIOVANNI RUSSO;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE PREVIDENZA SOCIALE, in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CESARE BECCARIA, 29, presso lo studio dell’avvocato SERGIO PREDEN,

che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati LIDIA

CARCAVALLO, LUIGI CALIULO, ANTONELLA PATTERI;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2952/2019 del TRIBUNALE di FOGGIA, depositata

il 12/06/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 02/12/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MARGHERITA

MARIA LEONE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Il Tribunale di Foggia con sentenza n. 2952/2019 aveva rigettato la domanda di P.G. diretta al riconoscimento dei requisiti sanitari utili ad ottenere l’assegno di invalidità civile ed aveva condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 1.200,00 ritenendo ricorrere nella fattispecie una ipotesi di lite temeraria.

Avverso tale ultime statuizione proponeva ricorso il P. affidato ad un unico motivo.

L’Inps, pur a seguito di rituale notifica, non disponeva difese, solo depositando procura alle liti.

Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1) Con unico motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 152 disp. att. c.p.c, e degli artt. 91 e 96 c.p.c., per aver, il Tribunale, ritenuto di applicare il disposto dell’art. 96 c.p.c., pur in presenza della dichiarazione del ricorrente resa ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., ai fini dell’esenzione dalle spese di lite.

Il ricorrente rileva l’erroneità della applicazione dell’art. 96, poiché, in presenza di dichiarazione espressa ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., la suddetta disposizione era applicabile solo su istanza dell’altra parte, non presente nel caso di specie.

Il ricorso è fondato; tralasciando l’erroneo richiamo all’art. 97 c.p.c., contenuto nella statuizione della sentenza impugnata, la stessa ha inteso applicare l’ipotesi di condanna alle spese per lite temeraria.

Deve darsi seguito all’orientamento già espresso da questa Corte con gli arresti n. 24526 del 2015, e n. 5616 del 2018 e, più nello specifico, con le pronunce di questa sezione nn. 18129 e 28633 del 2018; il principio affermato è quello secondo cui la condanna al risarcimento per lite temeraria prevista dall’art. 96 c.p.c., comma 1, presuppone sempre l’istanza di parte, anche nel caso richiamato dall’art. 152 disp. att. c.p.c. (cfr. Cass. n. 5616 del 2018 e n. 24526 del 2015 cit.).

E’ stato infatti chiarito che l’art. 152 disp. att. c.p.c. – nel testo risultante dalle modifiche introdotte dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, conv. nella L. 24 novembre 2003, n. 326 – fa salva la possibilità di applicare l’art. 96 c.p.c., comma 1, nella ricorrenza delle relative condizioni, tra le quali -a differenza di quanto previsto per la condanna disciplinata dal comma 3, introdotto dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 12 – l’istanza dell’altra parte, che deve altresì assolvere all’onere di allegare (almeno) gli elementi di fatto necessari alla liquidazione, pur equitativa, del danno lamentato (Cass., sez. un., Ord. n. 7583 del 2004; sez. un., Ord., n. 1140 del 2007). Pertanto il Tribunale, nella parte in cui ha ritenuto di poter procedere alla condanna della ricorrente alle spese, richiamando l’art. 96 c.p.c., comma 1, a prescindere dalla “specifica” istanza di parte, non ha fatto corretta applicazione della norma processuale e “ha confuso i suoi presupposti e la sua funzione con quelli degli artt. 91 e 92 c.p.c.” (così, in motiv., Cass., sez. IV, n. 18129 del 2018).

Sulla base delle svolte argomentazioni, anche confermate da Cass. n. 27460/2020, il ricorso va accolto; l’impugnato provvedimento va cassato in parte qua, con decisione nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto.

Vanno, dunque, dichiarate non dovute, in presenza dei presupposti per l’esonero, da parte di P.G., le spese del giudizio di merito; le spese della CTU vanno poste interamente a carico dell’INPS; le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, con attribuzione all’avvocato dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata nella parte relativa alla statuizione sulle spese e, decidendo nel merito, dichiara P.G. non tenuto alle spese del giudizio di merito e pone le spese di CTU a carico dell’INPS;

condanna l’INPS alle spese dei giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% ed agli accessori di legge, con attribuzione all’avvocato antistatario.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 2 dicembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

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