Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4277 del 22/02/2011

Cassazione civile sez. II, 22/02/2011, (ud. 02/12/2010, dep. 22/02/2011), n.4277

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 13336/2005 proposto da:

P.M.C. (OMISSIS), P.E.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA LIMA 18,

presso lo studio dell’avvocato DELLI COLLI Giacomo, che li

rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

D.C.M.A., S.T., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA CARONCINI 19, presso lo studio dell’avvocato

TAVIANO Antonio, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza. n. 4816/2004 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 10/11/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

02/12/2010 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito l’Avvocato GIACOMO DELLI COLLI difensore del ricorrente che ha

chiesto di riportarsi alle difese scritte;

udito l’Avvocato ANTONIO TAVIANO difensore del resistente che ha

chiesto di riportarsi anch’egli;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso 11.3.1987 P.M.C. ed E., proprietarie di un fondo in (OMISSIS), proponevano innanzi al Pretore di Cassino azione nunciatoria nei confronti di S.T. e di D.C.M.A., domandando in via cautelare la sospensione dei lavori di costruzione di un vicino fabbricato, non a distanza legale e lesivo di “diritti di veduta”. I convenuti resistevano alla domanda, sostenendone l’improponibilità in quanto l’opera era già stata ultimata, e il Tribunale con sentenza n. 95/02, dichiarata cessata la materia del contendere in ordine alla domanda cautelare, accertava che l’opera non rispettava le distanze legali, ma “rigettava” le domande di riduzione in pristino e di risarcimento del danno perchè tardive.

La Corte d’appello di Roma con sentenza n. 481 del 10.11.2004 accoglieva parzialmente l’appello dei convenuti, e in riforma della pronuncia di primo grado dichiarava il legittime le sole vedute realizzate dagli appellanti mediante la costruzione di balconi al primo e al secondo piano dell’edificio, rigettando, nel resto la domanda.

Considerato quale strumento urbanistico vigente all’epoca dei fatti il Piano di Ricostruzione (P.d.R.) e non il Regolamento Edilizio Comunale (R.E.C.), poichè quest’ultimo non risultava ancora approvato, e rilevato che il primo prevedeva una distanza minima di mt. 5 tra pareti opposte, la Corte romana quanto ai cortili interni, aderendo alle conclusioni del c.t.u. nominato in primo grado, rilevava che l’edificio di proprietà P. era stato costruito sul confine, il che consentiva ai S. – D.C. di costruire in aderenza, mentre in ordine al cortile interno era stata rispettata la distanza anzi detta. Infetti, osservava il giudice d’appello, correttamente il c.t.u. aveva considerato, in riferimento alle distanze, le due pareli principali dei fabbricati, cioè quelle perimetrali, e non il corpo accessorio al piano terra della proprietà P., costituito da servizi igienici, sicchè la distanza variava da mt. 5,65 a mt. 6,20.

Quanto alla distanza esistente tra il fabbricato di nuova costruzione degli appellanti e l’edificio di proprietà P., rilevava la Corte che la variazione era compresa tra un minimo di mt. 4,71 e un massimo di mt. 5,65, contrastante con il regolamento comunale, che imponeva una distanza minima di mt. 6 come larghezza degli intervalli di isolamento, ma nella specie tale spazio non poteva considerarsi quale intervallo d’isolamento, atteso che la L. n. 684 del 1962, art. 6, vietava in esso qualsiasi tipo di costruzione, anche a carattere provvisorio, mentre lo spazio tra i due edifici risultava già edificato per la presenza del locale terraneo delle P., per cui poteva applicarsi solo la norma del Piano di Ricostruzione che imponeva una distanza di mt. 5 tra le facciate di edifici prospicienti i cortili.

Relativamente al diritto di veduta, vantato dalle attrici, la Corte d’appello osservava, poi, che nel nuovo fabbricato degli appellanti erano stati realizzati due balconi, al primo e al secondo piano, in violazione dell’art. 906 c.c., che dovevano, pertanto, essere dichiarati illegittimi.

Per la cassazione di detta sentenza ricorrono M.C. ed P.E., formulando due motivi d’impugnazione.

Resistono con controricorso gli intimati.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo d’impugnazione parte ricorrente denuncia l’omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La Corte d’appello, si sostiene, benchè investito con il gravame proposto dagli appellanti della questione relativa all’insussistenza, eccepita da questi ultimi, del diritto di veduta vantato dalle P., ha omesso di svolgere qualsiasi accertamento e valutazione dei fatti rilevanti ai fini della controversia in ordine all’esistenza del diritto delle attrici. Tale accertamento sarebbe stato di per sè sufficiente a determinare l’illegittimità della costruzione S. – D. C. almeno per tutta la parte costruita in aderenza e a chiusura della terrazza. Il giudice del gravame, invece, ha ignorato del tutto il motivo, senza farsi carico nè di confutare le censure, nè di farle proprie.

1.1. – Il motivo è inammissibile per due ragioni concorrenti.

1.1.1. – La prima consiste in ciò, che solo la parte impugnante ha interesse alla pronuncia su tutti i motivi d’appello, mentre per il divieto della reformatio in peius (operante anche nel processo civile: v. per tutte e da ultimo, Cass. n. 14063/06) la parte appellata, che non abbia proposto impugnazione incidentale, non ha un interesse pari e contrario alla decisione su ciascun motivo.

Nè ha pregio alcuno il ragionamento di tipo eventuale svolto dalle ricorrenti, secondo cui una diversa impostazione del percorso motivazionale, incentrato sull’esistenza del diritto di venduta esistente a vantaggio del fondo di loro proprietà, avrebbe potuto far emergere l’illegittimità dell’intera opera realizzata dai S. – D.C., atteso che le sentenze si impugnano per quanto hanno deciso, non per quello che avrebbero potuto statuire.

1.1.2. – In secondo luogo, l’omessa pronuncia integra una violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (cfr. Cass. nn. 26598/09, 12952/07, 1701/06, 27387/05 e 12475/04), lì dove, nella specie, le ricorrenti hanno invece censurato la sentenza in parte qua ai sensi del n. 5 art. ult. Cit..

2. – Con il secondo motivo, articolato in più punti, parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di “norme di diritto”, nonchè contraddittorietà e illogicità della motivazione.

2.1. – In particolare, si sostiene che il giudice di merito non solo abbia apoditticamente affermato che le strumento urbanistico vigente all’epoca di realizzazione del fabbricato di proprietà degli appellanti fosse il Piano di Ricostruzione, nonostante l’emanazione in epoca successiva della L. n. 1684 del 1962 e della L. n. 64 del 1974, ma abbia, altresì, omesso di considerare che, anche applicando le norme del P.d.R., la costruzione contestata dovesse parimenti considerarsi illegittima, data la presenza, nel cortile interno, di un edificio addossato ad una parete del fabbricato P., ma costituente senz’altro un manufatto idoneo a determinare l’obbligo di osservare le distanze, poichè ai fini dell’applicazione delle norme codicistiche la nozione di costruzione non si esaurisce in quella di edificio, ma si estende a qualsiasi opera non completamente interrata avente i requisiti di solidità e immobilizzazione rispetto al suolo.

Oltre a ciò non è del tutto chiaro il passaggio argomentativo in base al quale il giudice dì secondo grado abbia potuto ritenere legittima una costruzione che in ogni caso si trova, anche sulla terrazza, a distanza di mt. 4,71 dalla proprietà P., con evidente violazione delle N.T. A. dei P.d.R..

2.1.1. – Prosegue parte ricorrente che risulta confusa e illogica anche la teoria della Corte di merito sugli intervalli di isolamento, esclusi perchè, secondo il ragionamento del giudice d’appello, lo spazio tra i due fabbricati risulta già edificato per la presenza del locale terraneo delle P.. In senso contrario deve osservarsi che se è vero che per intervallo d’isolamento deve intendersi la distanza minima tra i muri frontali di due edifici (secondo il punto C.4.1. del D.M. 16 gennaio 1996), non si comprende perchè esso non possa configurarsi quando una tele situazione venga a verificarsi all’altezza del solaio del primo piano e non al piano terra, poichè l’intento di scongiurare danni alle persone in caso di crolli deve essere perseguito anche ai piani superiori. In secondo luogo, conclude, parte ricorrente, anche a voler tutto concedere, non può non essere stigmatizzato come sia stata la stessa Corte d’appello ad affermare che la distanza minima di mt. 5 doveva comunque essere rispettata, ed essa sicuramente non esisteva tra i fabbricati “divisi” dalla terrazza di proprietà P..

2.2. – Il motivo è fondato in ordine a entrambe le violazioni prospettate.

2.3. – E’ senz’altro erroneo, in primo luogo, che ai fini del computo della distanza tra costruzioni debba aversi riguardo, come afferma il giudice d’appello, al distacco intercorrente tra le due pareti “principali” dei fabbricati (cioè, si legge nella sentenza impugnata, “i muri maestri che partono dal suolo e si sviluppano verticalmente sino a raggiungere la linea di gronda”), senza considerare il corpo accessorio della proprietà P. posto al piano terra.

2.3.1. – Ed infatti, queste Corte ha avuto modo di rilevare che ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dall’art. 873 c.c., e segg., e delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica, deve ritenersi “costruzione” qualsiasi opera non completamente interrata avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione rispetto al suolo anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, dai caratteri del suo sviluppo aereo dall’uniformità e continuità della massa, dal materiale impiegato per la sua realizzazione, dalla sua destinazione; e che, salvo l’ipotesi di sporti o aggetti in funzione meramente complementare o decorativa, gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell’immobile, in guisa da ampliarne la superficie o la funzionalità, assumono il carattere di costruzione, sicchè se ne deve tener conto ai fini dell’accertamento del rispetto della normativa sulle distanze, a maggior ragione qualora le distanze tra costruzioni siano stabilite in un regolamento edilizio comunale che non preveda espressamente un diverso regime giuridico per le costruzioni accessorie (Cass. n. 2228/01; in senso analogo, cfr. Cass. n. 1509/98, secondo cui ove l’opera da valutare sia costituita da più parti tra loro strutturalmente collegate in maniera stabile ed in misura tale da costituire un entità unica e inscindibile sul piano economico-funzionale, i caratteri propri della costruzione devono essere verificati dal giudice di merito riguardando l’opera nel suo insieme e non nelle singole sue parti, e rapportando quindi alla stessa, unitariamente considerata, il giudizio sulla idoneità alla creazione di intercapedini pregiudizievoli alla sicurezza e alla salubrità del godimento della proprietà immobiliare).

2.3.1.1. – Nello specifico, il giudice d’appello ha rilevato (con accertamento di fatto non censurato sotto il profilo della logicità e congruità motivazionale) che il corpo accessorio dell’edificio di proprietà P., ubicato al piano terra e interposto tra questa e la proprietà S. – D.C., è costituito da servizi igienici, e dunque – è da ritenere – da una struttura, potenzialmente, di consistenza apprezzabile e in relazione di stretta funzionalità pratico-economica con il fabbricato principale, di cui amplia, altresì, la superficie complessiva utilizzabile. Ne consegue, in base alle superiori premesse, che i suddetti immobili di proprietà P., principale ed accessorio, devono essere valutati unitariamente ai fini della distanza tra costruzioni, e che, in particolare, la distanza stessa debba essere calcolata non dalla linea esterna del corpo di fabbrica principale, ma dalla parete più prossima dell’edificio accessorio che si interpone tra questo e l’immobile di proprietà S. – D.C..

2.4. – La decisione impugnata risulta, poi, illogica nella parte in cui pur partendo dalla premessa che la distanza – compresa tra un minimo di mt. 4,71 e un massimo di mt. 5,65 – tra il fabbricato di nuova costruzione di proprietà degli appellanti e i fabbricati P., distanza misurata dalla terrazza sita al primo piano che funge da copertura dei locali terranei di proprietà di queste ultime parti, contrasterebbe con le prescrizioni del regolamento comunale che impongono un intervallo d’isolamento minimo di mt. 6, trae l’incomprensibile conclusione per cui la L. n. 1684 del 1962, art. 6, che nelle zone sismiche vieta qualsiasi costruzione, anche a carattere provvisorio, negli intervalli di isolamento, non sarebbe applicabile nella specie perchè lo spazio tra i due edifici è già edificato per la presenza in esso del locale terraneo delle P., con l’altrettanto illogica deduzione per cui dovrebbe, pertanto, ritenersi applicabile solo la norma del P.d.R. che impone il rispetto della distanza di mt. 5 tra le facciate di edifici prospicienti.

2.4.1. – A tacere del carattere implicitamente ipotetico del ragionamento, che sconta la pregressa negazione dell’applicabilità del R.E.C. in quanto non ancora approvato all’epoca della costruzione degli appellanti, siffatto argomentare è incoerente, poichè negando che la distanza tra gli edifici delle parti possa qualificarsi come intervallo di isolamento (non per difetto dei suoi presupposti, ma) per il solo fatto che esso, nella specie, sarebbe già occupato da una costruzione, in contrasto con quanto prescritto ai riguardo dalla stessa (normativa antisismica, contraddica: la propria premessa logico-giuridica, per l tornare ad affermare che la sola regola applicabile nel caso in esame sarebbe quella del Piano di Ricostruzione che fissa in mt. 5 la distanza tra le facciate di edifici prospicienti i cortili, attuando in tal modo per la seconda volta la rimozione mentale del rilievo che nella controversia assume la presenza del locale terraneo di proprietà P..

2.4.1.1. – Per contro, come questa Corte ha avuto modo di affermare (v. Cass. n. 1695/04), le norme legislative antisismiche sugli intervalli di isolamento fra edifici sono integrative delle disposizioni dell’art. 873 c.c., e segg., in materia di distanze fra le costruzioni, essendo dirette a salvaguardare non soltanto l’incolumità pubblica e privata ma anche ad impedire la creazione di intercapedini dannose e pericolose tra fabbricati. Pertanto, esse prevalgono sugli strumenti urbanistici che prevedano distanze inferiori.

2.4.2. – Di riflesso, nella fattispecie, occorre riscontrare il rispetto (non di 5, ma di) 6 mt. tra il fabbricato di proprietà S. – D.C. e quello di proprietà P., considerando quest’ultimo nella maniera unitaria di cui s’è detto innanzi, comprensivo, cioè, anche del corpo di fabbrica accessorio posto al piano terra e adibito a servizi igienici.

3. – In conclusione, in accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che si atterrà ai seguenti principi di diritto: a) “le norme legislative antisismiche sugli intervalli di isolamento fra edifici sono integrative delle disposizioni dell’art. 873 c.c., e segg., in materia di distanze fra le costruzioni, essendo dirette a salvaguardare non soltanto l’incolumità pubblica e privata ma anche ad impedire la creazione di intercapedini dannose e pericolose tra fabbricati. Pertanto, esse prevalgono sugli strumenti urbanistici che prevedano distanze inferiori”; b) ai fini dell’osservanza delle norme in materia di distanze legali stabilite dall’art. 873 c.c., e segg., e delle disposizioni legislative e regolamentari aventi carattere integrativo, gli accessori e le pertinenze che abbiano dimensioni consistenti e siano stabilmente incorporati al resto dell’immobile, in guisa da ampliarne la superficie o la funzionalità pratico- economica, costituiscono con l’immobile principale una costruzione unitaria, che va considerata nel suo insieme indipendentemente dallo sviluppo orizzontale o verticale dei singoli corpi di fabbrica di cui si compone, e senza distinguere tra immobile principale e accessori o pertinenze aventi le ridette caratteristiche, di guisa che le distanze devono essere calcolate non dalla parete dell’edificio maggiore, ma da quella che risulti più prossima alla proprietà antagonista”.

4. – Conclusivamente, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, la quale provvederà al regolamento anche delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 2 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2011

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