Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4273 del 24/02/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 4273 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: VIVALDI ROBERTA

SENTENZA

sul ricorso 12725-2010 proposto da:
DE FILIPPI NELLO DFLNLL58T13A859C, elettivamente
domiciliato in ROMA, P.ZZA MARTIRI DI BELFIORE 2,
presso lo studio dell’avvocato CONCETTI DOMENICO,
rappresentato e difeso dall’avvocato STRATTA ALBERTO
giusta procura speciale a margine;
– ricorrente –

2014
19

contro

AUTOMOBILE CLUB IVREA 00503620015, nella persona del
presidente pro tempore Dr. LUIGI BERUTTI, considerata
domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

Data pubblicazione: 24/02/2014

DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa

dall’avvocato D’ALESSANDRO CLAUDIO con studio in
10144 TORINO, VIA CIBRARIO 12 giusta delega in calce;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 492/2009 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 09/01/2014 dal Consigliere Dott. ROBERTA
VIVALDI;
udito l’Avvocato MICHELA CONCETTI per delega;
udito l’Avvocato MARIA GRAZIA FORNELLI per delega;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. CARMELO SGROI che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

2

di TORINO, depositata il 01/04/2009, R.G.N. 1436/07;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Automobile Club Ivrea convenne, davanti al tribunale di Ivrea,
Nello De Filippi chiedendone la condanna al pagamento della
somma dovuta a titolo di rimborso delle spese di gestione della
stessa Automobile Club come quantificate .
costituitosi,

contestò la fondatezza della

domanda.
Il tribunale, con sentenza, rigettò la domanda.
A diversa conclusione pervenne la Corte d’Appello che, investita
dell’impugnazione da parte dell’Automobile Club di Ivrea, in
parziale riforme della sentenza di primo grado, con sentenza in
data 1.4.2009, condannò il De Filippi al pagamento, in favore
dell’appellante, della somma di

e

17.276,21.

Quest’ultimo ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre
motivi.
Resiste con controricorso l’Automobile Club Ivrea.

moTrvI DELLA DECISIONE
Il ricorso è inammissibile sotto svariati profili.
In primo luogo, deve ribadirsi che, in tema di ricorso per
cassazione, ai fini del requisito di cui all’art. 366, primo
comma, n. 3, c.p.c., la pedissequa riproduzione dell’intero,
letterale, contenuto degli atti processuali è, per un verso, del
tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia
meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda
processuale è articolata; per altro verso, è inidonea a
soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti,
3

Il convenuto,

in quanto equivale ad affidare alla Corte, dopo averla costretta
a leggere tutto (anche quello di cui non occorre sia informata),
la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di
ricorso ( S.U. 11.4.2012 n. 5698; da ultimo Cass. ord. 9.7.2013
n. 17002).

Nel caso in esame, il ricorrente riproduce in ricorso l’atto di
citazione originario, il dispositivo della sentenza di primo
grado, le conclusioni dell’atto di appello proposto dalla
Automobile Club Ivrea,

il contenuto della comparsa di

costituzione in appello; il dispositivo della sentenza di
appello con riproduzione di parte della motivazione.
Un tale

modus procedendi

non vale ad integrare il requisito

della sintetica esposizione dei fatti.
Ulteriori profili di inammissibilità.
Il ricorso è stato proposto per impugnare una sentenza
pubblicata una volta entrato in vigore il D. Lgs. 15 febbraio
2006, n. 40, recante modifiche al codice di procedura civile in
materia di ricorso per cassazione; con l’applicazione, quindi,
delle disposizioni dettate nello stesso decreto al Capo I.
introdotto dall’art. 6 del

Secondo l’art. 366-bis c.p.c.

decreto – i motivi di ricorso devono essere formulati, a pena di
inammissibilità, nel modo lì descritto ed, in particolare, nei
casi previsti dall’ art. 360, n. l), 2), 3) e 4, l’illustrazione
di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un
quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360,
4

La conseguenza è la inammissibilità del ricorso per cassazione.

primo comma, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve
contenere la chiara indicazione del fatto controverso in
relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare

Segnatamente, nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c.,
l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di
inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in
relazione al quale la motivazione si assume omessa o
contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta
insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare
la decisione; e la relativa censura deve contenere un momento di
sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva
puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze
in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua
ammissibilità (S.U. 1.10.2007 n. 20603; Cass. 18.7.2007 n.
16002).
Il quesito, al quale si chiede che la Corte di cassazione
risponda con l’enunciazione di un corrispondente principio di
diritto che risolva il caso in esame, poi, deve essere
formulato, sia per il vizio di motivazione, sia per la
violazione di norme di diritto, in modo tale da collegare il
vizio denunciato alla fattispecie concreta ( v. S.U. 11.3.2008
n. 6420 che ha statuito l’inammissibilità – a norma dell’art.
366 bis c.p.c. – del motivo di ricorso per cassazione il cui
5

la decisione.

quesito di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere
generale ed astratto, priva di qualunque indicazione sul tipo
della controversia e sulla sua riconducibilità alla fattispecie
in esame, tale da non consentire alcuna risposta utile a
definire la causa nel senso voluto dal ricorrente, non potendosi

primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del
suddetto articolo).
La funzione propria del quesito di diritto – quindi – è quella
di far comprendere alla Corte di legittimità, dalla lettura del
solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della
questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal
giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del
ricorrente, la regola da applicare (da ultimo Cass.7.4.2009 n.
8463; v, anche S.U. ord. 27.3.2009 n. 7433).
Inoltre, l’art. 366 bis c.p.c., nel prescrivere le modalità di
formulazione dei motivi del ricorso in cassazione, comporta – ai
fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso stesso -,
una diversa valutazione, da parte del giudice di legittimità, a
seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dai numeri l,
2, 3 e 4 dell’art. 360, primo comma, c.p.c., ovvero del motivo
previsto dal numero 5 della stessa disposizione.
Nel primo caso ciascuna censura

– come già detto – deve,

all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di
diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va
funzionalizzata, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., all’enunciazione
6

desumere il quesito dal contenuto del motivo od integrare il

del principio di diritto, ovvero a

dicta

giurisprudenziali su

questioni di diritto di particolare importanza.
Nell’ipotesi, invece, in cui venga in rilievo il motivo di cui
al n. 5 dell’art. 360 c. p.c.c. (il cui oggetto riguarda il solo
iter argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una

concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto
controverso ( cd. momento di sintesi) – in relazione al quale la
motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle
ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la
motivazione a giustificare la decisione (v. da ultimo Cass.
25.2.2009 n. 4556; v. anche Cass. 18.11.2011 n. 24255).
Con il primo motivo il ricorrente denuncia

omessa, insufficiente

e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio – art. 360 n. 5 c.p.c..
Con il secondo motivo si denuncia

omessa, insufficiente e

contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e
decisivo per il giudizio – art. 360 n. 5 c.p.c..
Il primo e secondo motivo, che denunciano vizi motivazionali, si
concludono con quesiti di diritto.
Ora, pur volendo considerarli alla stregua del “momento di
sintesi”, richiesto per la denuncia di vizi motivazionali, essi
si limitano a riportare brani della sentenza che si contesta per
la sua motivazione insufficiente e contraddittoria, senza però
indicare, quali siano le ragioni per le quali i supposti vizi
siano tali da non sorreggere la decisione adottata.

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illustrazione che, pur libera da rigidità formali, si deve

Piuttosto,

entrambi i motivi tendono ad un riesame e

rivalutazione degli elementi di fatto che hanno condotto la
Corte di merito a fornire l’interpretazione contrattuale
contestata.
Si tratta, quindi, di censure che non possono trovare ingresso

motivazione, spettando tali valutazioni al giudice del merito.
Con il terzo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione
dell’art. 246 c.p.c. – art. 360 n. 3 c.p.c..

Il quesito è del seguente tenore: ” Dica la Corte che – atteso
che il sig. Zanat fu membro del consiglio direttivo dell’A.C.
Ivrea, che assunse l’iniziativa della presente controversia tale circostanza fa presumere la sussistenza di un interesse r
tale da coinvolgerlo nel rapporto controverso, rilevante ai
sensi dell’art. 246 c.p.c.”.
Il motivo è inammissibile.
Non si comprende, infatti, dal quesito, come posto, la rilevanza
della questione nell’economia argomentativa della sentenza.
La Corte non ha fondato il suo convincimento sulle dichiarazioni
testimoniali dello Zanot, nominato soltanto assieme ad altri nel
corpo della motivazione, bensì sulla valutazione dei dati di
fatto salienti, come indicati alle pagg. 16-18 della sentenza.
E su tale base è pervenuta alla qualificazione del contratto in
termini di comodato concesso per un uso determinato ex art.
1803, co. l c.c., gravato dall’onere di concorrere alle spese di
gestione dei locali.
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in sede di legittimità, a fronte di una congrua e corretta

Le dichiarazioni testimoniali dello Zanot – sulla cui capacità a
testimoniare peraltro la Corte si è espressa positivamente – si
presentano, a questo punto, del tutto superflue.
Conclusivamente, il ricorso è dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e,

liquidate come in

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il
ricorrente al pagamento delle spese che liquida in complessivi
C 4.200,00, di cui C 4.000,00 per compensi, oltre accessori di
legge.
Così deciso in Roma, il giorno 9 gennaio 2014, nella camera di
consiglio della terza sezione civile della Corte di cassazione.

dispositivo, sono poste a carico del ricorrente.

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