Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4272 del 17/02/2017
Cassazione civile, sez. lav., 17/02/2017, (ud. 23/11/2016, dep.17/02/2017), n. 4272
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. BLASUTTO Daniela – rel. Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3991-2011 proposto da:
C.E. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA DELLA GIULIANA 66, presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO GUIDA
DI GUIDA, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
ROMA CAPITALE già COMUNE DI ROMA c.f. (OMISSIS), in persona del
legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA TEMPIO DI GIOVE 21, presso lo studio dell’avvocato FEDERICA
GRAGLIA, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6089/2010 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 17/11/2010 R.G.N. 7489/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
23/11/2016 dal Consigliere Dott. BLASUTTO DANIELA;
udito l’Avvocato GUIDA DI GUIDA FABRIZIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
MATERA MARCELLO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte di appello di Roma, con sentenza n. 6089/10, ha respinto l’appello proposto da C.E., dipendente del Comune di Roma con qualifica di istruttore di polizia municipale, avverso la pronuncia di primo grado che aveva rigettato l’impugnativa della sanzione disciplinare della sospensione dal servizio e dallo stipendio per giorni 10, irrogata al ricorrente per grave negligenza nella custodia dell’arma di ordinanza.
2. Con riguardo alla censura svolta dal C. vertente sul ritiro della pistola di ordinanza in dotazione, la Corte di appello ha osservato:
– che il provvedimento non costituiva una sanzione disciplinare, nè vi era un diritto del lavoratore ad essere munito di un’arma, la quale non rientra nella dotazione degli appartenenti alla polizia municipale (L. n. 65 del 1986), ma viene rilasciata sulla scorta di valutazioni discrezionali dell’amministrazione;
– che nella fattispecie il ritiro si era reso opportuno, atteso che l’illecito contestato consisteva proprio nella negligenza ed imperizia nella custodia della pistola della quale il C. era stato munito;
– che gli ulteriori profili di doglianza erano inammissibili, in quanto formulati soltanto in sede di gravame;
– che la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio per giorni 10 era proporzionata alla gravità del comportamento tenuto dall’appellante, avuto riguardo alle sue peculiari condizioni di istruttore, con l’esperienza e funzioni di direzione e coordinamento.
2. Per la cassazione di tale sentenza ricorre il C. con due motivi. Resiste il Comune di Roma con controricorso. Il ricorrente ha altresì depositato memoria ex art. 378 c.p.c..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si lamenta insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo in merito al provvedimento di ritiro dell’arma in dotazione del ricorrente (art. 360 c.p.c., n. 5). Si deduce che, non essendo stato specificamente motivato tale atto, ne doveva derivare il riconoscimento del diritto del ricorrente alla restituzione dell’arma, tanto più una volta concluso il procedimento disciplinare con l’irrogazione della sanzione. Si sostiene che la Corte di appello aveva omesso di motivare in ordine al D.M. 4 marzo 1987, n. 145, che detta il regolamento concernente l’armamento degli appartenenti la polizia municipale ai quali è conferita la qualità di agenti di pubblica sicurezza; questo prevede che competente a disporre il ritiro dell’arma è, oltre al prefetto, il sindaco. Nella specie, non essendovi un provvedimento sindacale motivato, l’atto adottato dal dirigente costituiva una sanzione disciplinare atipica e, come tale, illegittima.
2. Il motivo è inammissibile in quanto difetta di specificità rispetto al decisum. La sentenza impugnata si fonda sul rilievo che il possesso della pistola d’ordinanza non rientra nella dotazione degli appartenenti al polizia municipale e tanto è stato ritenuto sulla scorta dell’interpretazione delle fonti normative primarie che regolano il rapporto de quo. La censura di cui al primo motivo non investe l’interpretazione che la Corte di appello ha dato di tali fonti primarie (legali o contrattuali). La censura di vizio di motivazione non è conferente rispetto all’interpretazione di norme di legge, restando così assorbita ogni doglianza concernente il difetto di esame di fonti secondarie.
3. Con il secondo motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 437 c.p.c. per avere la Corte di appello sancito l’inammissibilità di altri profili doglianza, in quanto formulati tardivamente solo in sede di gravame. Ci si duole dell’erronea valutazione di tardività con specifico riferimento all’allegazione del D.M. 4 marzo 1987, n. 145.
4. Anche tale motivo è inammissibile. A prescindere dal carattere assorbente che riveste il rigetto del primo motivo anche con riferimento alla rilevanza del secondo, deve osservarsi che la formulazione del ricorso viola i principi di specificità, indicazione e allegazione di cui all’art. 366 c.p.c.. Non è stato riportato neppure in parte il contenuto dell’atto introduttivo del ricorso e dell’atto di appello onde comprendere la portata delle allegazioni originarie e delle questioni devolute in sede di gravame.
5. Occorre conclusivamente ribadire che, una volta ritenuto che la pistola di ordinanza non costituisce dotazione degli appartenenti al Corpo della Polizia Municipale e che la sua detenzione a parte di alcuni appartenenti al Corpo dipende da valutazioni discrezionali dell’Amministrazione, non è in radice configurabile alcuna violazione di diritti concernenti la posizione organizzativa o lavorativa del singolo agente tanto in caso di mancato conferimento, quanto in caso di ritiro dell’arma.
6. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come dispositivo.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 2500,00 per compensi professionali e in Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali e accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 novembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2017