Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4272 del 04/03/2016


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Civile Sent. Sez. L Num. 4272 Anno 2016
Presidente: DI CERBO VINCENZO
Relatore: TRICOMI IRENE

SENTENZA
sul ricorso 17062-2010 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.P. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO FESSI, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2015
contro

4240
LILLO CHRISTIAN;

– intimato E SUL RICORSO SUCCESSIVO SENZA N.R.G proposto da:

Data pubblicazione: 04/03/2016

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585 , in persona
del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente successivo contro

LILLO CHRISTIAN;
– intimato –

avverso

Li

sen Lei za n. i133/2009 della CORTE

D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 18/09/201 r.g.n.
1866/2006;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 05/11/2015 dal Consigliere Dott. IRENE
TRICOMI;
udito l’avvocato MICELI MARIO per delega verbale
PESSI ROBERTO;
udito il P.M. In persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. RICCARDO FUZIO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

O

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza n. 1133 del 2009, depositata il
18 settembre 2009, rigettava l’impugnazione proposta da Poste italiane spa, nei
confronti di Lillo Christian, in ordine alle sentenze n. 104 del 2004 e n. 228 del 2005,
emesse tra le parti dal Tribunale di Siena.
Con le suddette sentenze, il Tribunale di Siena aveva dichiarato la nullità del

termine apposto al contratto di lavoro a tempo determinato stipulato tra le parti per il
periodo 7 ottobre 2002-31 dicembre 2002, ed aveva, altresì, condannato la società al
pagamento in favore del lavoratore della somma di euro 10.864,06, a titolo di
risarcimento del danno per la ingiusta estromissione dal lavoro.
2. La Corte d’Appello confermava l’illegittimità del termine apposto al suddetto
contratto con la causale “per esigenze tecniche organizzative e produttive anche di
carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo
un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da
innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti alla introduzione e/o sperimentazione, di
nuove tecnologie prodotti o servizi”, affermando, in relazione alla disciplina del d.lgs.
n. 368 del 2001, la genericità della causale.
Confermava il risarcimento del danno (dalla messa in mora alla riassunzione in
servizio) in quanto stabilito all’esito di CTU e detratto

l’aliunde perceptum. In

particolare, il giudice di appello statuiva che il semplice e testuale tenore del contratto
individuale, genericamente riproduttivo (in modo alternativo) dell’intera gamma delle
clausole legali o collettive, faceva igio sì che l’assunzione temporanea del lavoratore non
trovava, neppure sul piano formale, una chiara e dichiarata giustificazione, non potendo
questa essere ravvisata nella mera reiterazione di una pluralità di previsioni
generalissime.
Poste italiane spa non indicava nel contratto individuale quali fossero le
specifiche esigenze di tipo produttivo e organizzativo che comportavano l’esigenza di
una occupazione a tempo determinato del lavoratore nello specifico impianto in cui lo
stesso era stato assegnato. In definitiva, l’esame del caso concreto evidenziava che
risultavano violate le minime esigenze di trasparenza e di immodificabilità che il d.lgs.
n. 368 del 2001 aveva lasciato inalterate, secondo un’interpretazione conforme a
Costituzione e alla normativa comunitaria.

3

3. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre Poste italiane
spa, prospettando tre motivi di impugnazione.
Poste italiane ha deposito in data 7 luglio 2010 un primo ricorso.
Successivamente, in data 6 ottobre 2010, ha depositato un ulteriore ricorso, con
cui prospettava le medesime censure del primo e nel quale, nella premessa, dava atto,
tra l’altro, che la notifica del precedente ricorso all’indirizzo di residenza recava
l’indicazione destinatario sconosciuto, la notifica al domicilio del sig. Lillo recava la

dicitura immesso avviso in cassetta corrispondenza dello stabile in indirizzo, trascorso il
termine di dieci giorni si restituisce al mittente.
Procedeva, quindi, dopo alcuni mesi alla rinotifica di copia del primo ricorso
depositato il 7 luglio 2010.
4. Il lavoratore è rimasto intimato.
5. Poste italiane ha depositato memoria, ex art. 378 cpc, con la quale ha chiesto
l’applicazione dello ius superveniens di cui all’art. 32 della legge n. 183 del 2010.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei due ricorsi, rispettivamente
depositati in data 7 luglio 2010 ed il 6 ottobre 2010, in quanto proposti avverso la
medesima sentenza di appello.
Sempre in via preliminare, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso
depositato il 7 luglio 2010, atteso che non risulta provato che la notifica dello stesso sia
andata a buon fine, e la rinotifica del medesimo veniva tentata quando ormai si era
consumato lo ius postulandi, anche in ragione della notifica, nei termini per
l’impugnazione, del secondo ricorso depositato il 6 ottobre 2010.
1.1. Può passarsi, quindi, all’esame dei motivi del ricorso depositato il 6 ottobre
2010.
Con il primo motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione degli
artt. 1362, 1363 e sg. (art. 360, n. 3, cpc); omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, n. 5, cpc).
.k

Espone la ricorrente che la disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato
contenuta nel d.lgs. n.368 del 2001, attuativo della direttiva 1999170/CE, ha fatto venir
meno il carattere eccezionale di tale tipo di assunzione, e lamenta che la Corte
territoriale non abbia tenuto conto del tenore letterale della disposizione di legge, che
pone una clausola generale di legittimazione del contratto a tempo determinato: “ragioni
di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo (art.1, comma 1), non
4

disciplinando più casi predeterminati e tassativi, a differenza della normativa previgente
di cui alla legge n. 230 del 1962.
Ricorda come la cd. sentenza Mangold della Corte di Giustizia dell’Unione
europea ha statuito circa l’inesistenza di un divieto di regresso, essendo consentita una
riduzione di tutela al minimo comunitario. Ricorda, altresì, che la Corte costituzionale,
chiamata a pronunciarsi su alcune disposizioni del d.lgs. n. 368 del 2001, con la
pronuncia n. 252 del 2006, preso atto di quanto affermato nella suddetta sentenza «una

reformatio in pejus della protezione offerta dalla legislazione nazionale ai lavoratori nel
settore dei contratti a tempo determinato non è, in quanto tale, vietata dall’accordo
quadro quando non sia in alcun modo collegata con l’applicazione di questo», rimetteva
gli atti al giudice rimettente, al precipuo fine di consentirgli la soluzione del problema
interpretativo alla luce della sopravvenuta sentenza della Corte di giustizia, la quale — in
ragione della sua natura — assumeva nella fattispecie valore dijus superveniens.
La società censura, inoltre, l’argomentare dei giudici del gravame per avere
qualificato come generiche le esigenze dettate in sede contrattuale come sottese alla
apposizione del termine al contratto inter partes. Lamenta, essenzialmente, che la
Corte di merito sia pervenuta alla reiezione del gravame senza prendere in esame il
contenuto dei diversi accordi intervenuti in proposito (accordi 17-18 ottobre 2001, 17
aprile 2002), attraverso i quali ben si sarebbe potuta ricavare la specificazione (per

relationem) delle ragioni stesse.
1. Il motivo non è fondato e deve essere rigettato.

Occorre premettere che la stessa ricorrente riporta (pag. 6 del ricorso) la causale
dell’apposizione del termine al contratto in esame: “esigenze tecniche organizzative e
produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione,
ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche
derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti alla introduzione e/o
sperimentazione, di nuove tecnologie prodotti o servizi”. Dalla stessa si rileva
l’assenza di riferimenti agli accordi richiamati nello svolgimento del motivo di ricorso.
Tanto premesso, ritiene il Collegio, come già affermato dalla giurisprudenza di
questa Corte, che l’art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, anche anteriormente alla modifica
introdotta dall’art. 39 della legge n. 247 del 2007, ha confermato il principio generale
secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato,
costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto
nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine
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”per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo” (si v., ex

plurimis, Cass., n. 12985 del 2008).
In particolare, poi, come è stato precisato da Cass. n. 10033 del 2010,
l’apposizione di un termine al contratto di lavoro, consentita dall’art.1 del d.lgs. n. 368
del 2001 a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo,
che devono risultare specificate, a pena di inefficacia, in apposito atto scritto, impone al
datore di lavoro l’onere di indicale in modo circostanziato e puntuale, al fine di

assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonché l’immodificabilità delle
stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare
attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un
determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, si da rendere
evidente la specifica connessione fra la durata solo temporanea della prestazione e le
esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la
utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione
indicata ed in stretto collegamento con la stessa. Spetta al giudice di merito accertare,
con valutazione che, se correttamente motivata ed esente da vizi giuridici, resta esente
dal sindacato di legittimità, la sussistenza di tali presupposti, valutando ogni elemento,
ritualmente acquisito al processo, idoneo a dar riscontro alle ragioni specificatamente
indicate con atto scritto ai fini dell’assunzione a termine, ivi compresi gli accordi
collettivi intervenuti fra le parti sociali e richiamati nel contratto costitutivo del
rapporto.
Nella specie, la Corte d’Appello con congrua e corretta motivazione, sopra
riportata, non adeguatamente censurata dalla ricorrente, ha rilevato la genericità della
clausola, nella quale, come si è detto, non vi è alcun richiamo agli accordi intervenuti in
materia tra le parti.
2. Con il secondo motivo di impugnazione, la ricorrente deduce violazione e
falsa applicazione di legge (art. 360, n. 3, cpc) e dell’articolo l del decreto legislativo n.
368 del 2001, nullità del procedimento (art. 360, n. 4).
Poste italiane censura la statuizione con la quale la Corte d’Appello, nel
richiamare la sentenza n. 214 del 2009 della Corte costituzionale, ha affermato che
qualora l’assunzione avvenga per esigenze di carattere sostitutivo, deve essere indicato
il nominativo del lavoratore e la causa della sua sostituzione.

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2.1. Il motivo è inammissibile in quanto lo stesso non coglie la ratio decidendi
della sentenza impugnata, incentrata sulla genericità della causale posta a fondamento
dell’apposizione del termine.
3. Con il terzo motivo di ricorso è prospettata violazione e falsa applicazione
dell’art. 1419 e ssg. ce; omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360, n.
3 e n. 5 cpc). Poste italiane spa asserisce che, erroneamente, la sentenza impugnata ha
ritenuto che la nullità del termine comporti la conversione del contratto a termine in un

contratto di lavoro a tempo indeterminato, in assenza di una norma che espressamente
preveda tale sanzione, ed in violazione di quanto dispone l’art. 1419 c.c.
3.1. Il motivo non è fondato.
Deve richiamarsi la giurisprudenza di questa Corte (Cass., n 7244 del 2014, n.
2279 del 2010, n. 12985 del 2008), a cui è conforme la sentenza impugnata, secondo cui
il d.lgs. n. 368 del 2001, art. 1, anche anteriormente alla modifica introdotta dalla legge
n. 247 del 2007, art. 39, ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di
lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del
termine un’ipotesi derogatoria pur nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una
clausola generale legittimante l’apposizione del termine “per ragioni di carattere
tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”.
Pertanto, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative del termine, e pur in
assenza di una norma che sanzioni espressamente la mancanza delle dette ragioni, in
base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione
della disciplina contrattuale, nonché alla stregua dell’interpretazione dello stesso art. 1
citato nel quadro delineato dalla direttiva comunitaria 1999/70/CE (recepita con il
richiamato decreto), e nel sistema generale dei profili sanzionatoli nel rapporto di lavoro
subordinato, tracciato dalla Corte cost. n. 210 del 1992 e n. 283 del 2005,
all’illegittimità del termine ed alla nullità della clausola di apposizione dello stesso
consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola e l’instaurarsi di un rapporto di
lavoro a tempo indeterminato.
4. Il ricorso depositato il 6 ottobre 2010 deve essere rigettato.
5. Nulla spese non essendosi costituito il lavoratore.
6. Il Collegio autorizza la motivazione semplificata.
PQM
La Corte riunisce i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso depositato il 7 luglio
2010 e rigetta il ricorso depositato il 6 ottobre 2010. Nulla spese.
7

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5 novembre 2015 e del 27

gennaio 2016.

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