Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4268 del 24/02/2014


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 4268 Anno 2014
Presidente: RUSSO LIBERTINO ALBERTO
Relatore: CARLEO GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso 26134-2010 proposto da:
BASSOTTI

DANIELE

BSSDNL55P13H501J,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI P.DA PALESTRINA 19,
presso

lo

rappresentato

studio dell’avvocato BRUNO TASSONE,
e

difeso

dall’avvocato

TASSONE

FRANCESCO giusta procura a margine;
– ricorrente –

2014
13

contro

LA PLACA SALVATORE LPLSVT48D211169B, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA MARIANNA DIONIGI 57, presso
lo studio dell’avvocato ANTONINI CLAUDIO, che lo

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Data pubblicazione: 24/02/2014

rappresenta e difende giusta procura speciale in
calce in calce;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 3377/2009 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 10/09/2009, R.G.N.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/01/2014 dal Consigliere Dott. GIOVANNI
CARLEO;
udito l’Avvocato FRANCESCO ANELLI per delega non
scritta;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. TOMMASO BASILE che ha concluso per il
rigetto del ricorso;

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12282/2003;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 24 febbraio 1998 Daniele
Bassotti proponeva opposizione avverso il d.i. con cui il
Tribunale di Roma gli aveva ingiunto il pagamento, in favore
di Salvatore La Placa, della somma di lire 42.298.813 oltre

di un prestito di L. 30 milioni effettuato dal La Placa a
favore, oltre che del Bassotti, degli altri soci
dell’Associazione Sportiva Foro Novo, Bonelli, Ferracci e
Lisi; prestito a garanzia del quale erano state sottoscritte
7 cambiali per L.34.630.000, somma comprensiva di interessi
convenzionali all’i% mensile, di rimborso spese e mancato
guadagno per disinvestimento finalizzato al prestito.
Deduceva che il debito non era solidale; che aveva pagato la
sua quota; che nella determinazione del quantum dovutogli il
La Placa non aveva considerato né l’avvenuto pagamento della
quota a carico del Ferracci né della denuncia-querela in cui
il Lisi aveva dedotto che il La Placa, dopo la scadenza
infruttuosa dei titoli cambiari originari, si era fatto
rilasciare dai tre soci altre cambiali senza strappare i
titoli precedentemente emessi. In esito al giudizio, in cui
si costituiva il La Placa contestando le avverse allegazioni,
il Tribunale adito rigettava l’opposizione. Avverso tale
decisione il soccombente proponeva appello ed in esito al

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interessi e spese, quale obbligato solidale alla restituzione

giudizio, in cui si costituiva il La Placa, la Corte di
Appello di Roma con sentenza depositata in data 10
settembre 2009 revocava il d.i opposto, condannava il
Bassotti al pagamento della somma di

e

13.413,67 con gli

interessi sull’importo di 12.136,73 nella misura del 24%

spese.
Avverso la detta sentenza il Bassotti ha quindi proposto
ricorso per cassazione articolato in quattro motivi. Resiste
il La Placa con controricorso. Entrambe le parti hanno
depositato memoria illustrativa.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Con la prima

doglianza,

deducendo il vizio di omessa

pronuncia, il ricorrente, premesso di avere nella comparsa
conclusionale richiesto specificamente alla Corte di appello
di valutare se i tassi moratori dovessero essere considerati
quali clausola penale e quindi ridotti ai sensi dell’art.1384
cc, ha lamentato che i giudici di secondo grado avevano eluso
la richiesta.
In subordine – il rilievo integra la seconda doglianza per
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione – ove si
volesse per assurdo ritenere che la sentenza non avesse
omesso di pronunciarsi sulla questione di cui al precedente
motivo, va considerato che la Corte non aveva comunque

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annuo dal 2.10.1994 al soddisfo; provvedeva al governo delle

chiarito le ragioni per le quali gli interessi moratori non
sarebbero da considerare una penale manifestamente eccessiva
ex art.1384 cc.. Inoltre, sarebbe caduta in contraddizione
quando aveva premesso che la questione dell’applicabilità
dell’art.1384 cc non era preclusa dall’applicazione di cui

assorbita.
In estremo subordine – il rilievo sostanzia la terza censura
– la Corte avrebbe violato gli artt.1224, 1282, 1382, 1384 e
1385 cc nella parte in cui ha escluso che gli interessi
convenzionali di mora integrino gli estremi di una clausola
penale e siano soggetti all’applicazione dell’art.1384 cc.
Infine – la considerazione costituisce la ragione dell’ultima
doglianza

la

Corte

sarebbe

incorsa

nell’erronea

interpretazione ed applicazione dell’art.1384 cc in relazione
alla sua mancata applicazione estensiva o analogica.
I motivi in questione, che vanno esaminati congiuntamente in
quanto sia pure sotto diversi ed articolati profili,
prospettano ragioni di censura intimamente connesse tra loro,
sono infondati.
A riguardo, mette conto di premettere che la

ratio decidendi

della sentenza impugnata si fonda sulla considerazione che
viola la disciplina dell’anatocismo dettata dall’art.1283
cod. civ. “una pattuizione che, sin dall’origine preveda che

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all’art.1283 cc per poi concludere che la questione restava

la somma dovuta comprensiva degli interessi maturati alla
scadenza produca a sua volta, in caso di mancato pagamento,
ulteriori interessi a decorrere da tale scadenza infruttuosa”
(v. pag. 9).
La riportata premessa torna utile nella misura in cui

ricorrente,esattamente la terza doglianza, secondo cui la
Corte di merito avrebbe erroneamente escluso che gli
interessi convenzionali di mora integrassero gli estremi di
una clausola penale e fossero soggetti all’applicazione
dell’art.1384 cc.
Ma vi è di più. Il percorso argomentativo della Corte
continua con la statuizione: “la conseguente nullità della
capitalizzazione degli interessi così pattuita (nullità
rilevabile d’ufficio ) rende necessario revocato il
decreto ingiuntivo – una diversa determinazione della somma
dovuta….” (v. pag. 10). Il rilievo della violazione del
divieto di anatocismo induce quindi la Corte di appello a
procedere ad una diversa, inferiore, determinazione della
somma dovuta, sulla quale dovranno essere pagati gli
interessi di mora convenuti, che risulteranno inevitabilmente
ridotti. Ciò posto, è appena il caso di osservare come
quest’ultima riduzione abbia il sostanziale effetto di

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evidenzia l’infondatezza della doglianza, proposta dal

riportare la clausola nei limiti di equità ritenuti
discrezionalmente applicabili al caso di specie.
Risulta pertanto evidente l’infondatezza della seconda e
della quarta doglianza, avanzate dal ricorrente, posto che,
alla luce delle pregresse considerazioni, non può dubitarsi

fattispecie sia l’art.1283 cod. civ. sia l’art.1384 dello
stesso codice, comportando la riduzione degli interessi per
effetto del rilevato anatocismo una sostanziale riduzione ad
equità della penale.
E non vi è dubbio che la diversa, inferiore, determinazione
della somma dovuta sulla quale dovranno essere pagati gli
interessi convenuti, che risulteranno anche essi ridotti,
consente, come scrive la Corte di merito, di considerare
assorbita dalla riduzione operata ogni ulteriore questione
riguardante l’applicazione dell’art.1384 cc.
Giova aggiungere che la frase utilizzata dal Collegio di
merito, quando scrive

“in tali limiti la sentenza di primo

grado merita riforma, restando in tale statuizione assorbita
ogni ulteriore considerazione alla stregua dell’art.1384 cod.
civ.

è logicamente incompatibile con l’ipotesi normativa

dell’omessa pronunzia ex art.112 cpc in relazione all’art.360
comma 1 n. 4, la cui violazione è stata denunciata dal
ricorrente con il primo motivo di impugnazione.

7

che la Corte di appello abbia ritenuto applicabili alla

Ed invero, la frase contiene una valutazione, sia pure
implicita, della rilevanza della questione ai fini della
decisione, che assume poi il carattere dell’accoglimento,
anch’esso implicito, della richiesta, avanzata dal Bassotti
alla Corte di appello, di valutare se i tassi moratori

ai sensi dell’art.1384 cc. mentre il vizio di omessa
pronuncia che determina la nullità della sentenza per
violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. si configura
esclusivamente quando risulti completamente omesso il
provvedimento che si palesa indispensabile in riferimento al
caso concreto, mancando qualsiasi statuizione così da dar
luogo all’inesistenza di una decisione sul punto.
Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle
censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in
esame, siccome infondato, deve essere rigettato.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla
rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità,
liquidate come in dispositivo, alla stregua dei soli
parametri di cui al D.M. n.140/2012 sopravvenuto a
disciplinare i compensi professionali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida

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dovessero essere considerati quali clausola penale e ridotti

in complessivi C 2.700,

di cui C 2.500,00 per compensi,

oltre accessori di legge, ed C 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma in camera di Consiglio in data 8.1.2014

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