Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4268 del 22/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/02/2011, (ud. 13/01/2011, dep. 22/02/2011), n.4268

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 5058-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso

la DIREZIONE AFFARI LEGALI POSTE ITALIANE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GUADAGNI SIMONETTA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

F.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FLAMINIA,

195, presso lo studio dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LALLI CLAUDIO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 108/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 31/01/2006 r.g.n. 730/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2011 dal Consigliere Dott. VITTORIO NOBILE;

udito l’Avvocato URSINO ANNA MARIA per delega GUADAGNI SIMONETTA;

udito l’Avvocato SERGIO VACIRCA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI DOMENICO, che ha concluso per l’accoglimento del terzo

motivo del ricorso, rigetto degli altri motivi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 91/2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Livorno rigettava la domanda proposta da F.C. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati in data 19-7-1997, 23-6-1998, 12-10-1998 e 1-6-1999 (tutti per necessità di sostituzioni per ferie tranne il terzo per “esigenze eccezionali” ex art. 8 c.c.n.l. 1994 e acc. az. 25-9-97), con conseguente riconoscimento di rapporto a tempo indeterminato e con condanna al pagamento delle retribuzioni maturate.

La F. proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma con l’accoglimento della domanda.

La società si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza depositata il 31-1-2006, in accoglimento dell’appello, accertata la nullità del termine apposto ai contratti citali, dichiarava la permanenza dal 19-7-1997 di un rapporto a tempo indeterminato e condannava la società al risarcimento del danno nella misura delle retribuzioni omesse dal 4-2- 2003, oltre accessori.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con quattro motivi.

La F. ha resistito con controricorso ed ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente, denunciando violazione della L. n. 56 del 1987, art. 23. in sostanza deduce che la Corte d’Appello sulla premessa della natura eccezionale della clausola di apposizione del termine, ha ritenuto “arbitrariamente che per ridurre a razionalità il sistema, tale ipotesi dovrebbe essere necessariamente correlata ad una precisa limitazione temporale”, così violando il principio della “delega in bianco”.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione degli artt. 1362 e ss. c.c. e vizio di motivazione, lamenta che erroneamente ed in violazione dei criteri ermeneutici la Corte di merito ha ritenuto che gli accordi attuativi abbiano fissato un termine alla possibilità di stipula dei contratti a termine e ribadisce che gli stessi accordi avevano natura meramente ricognitiva.

Con il quarto motivo, che precede in ordine logico il terzo, denunciando violazione degli artt. 2698 e 2730 c.c. e art. 231 c.p.c., la ricorrente, con riferimento ai primi due contratti (conclusi per necessità di sostituzioni per concomitanza ferie) deduce che nella specie non era necessaria la indicazione nè del lavoratore sostituito nè della causa specifica della sostituzione, ben potendo, peraltro, il datore di lavoro utilizzare il neoassunto a termine in funzioni diverse secondo le necessità contingenti, e lamenta che la Corte d’Appello ha accolto la domanda utilizzando affermazioni fatte dalla lavoratrice. favorevoli a sè medesima, e trascurando altre affermazioni aventi carattere confessorio (circa la effettiva sostituzione di personale assente per ferie).

Con riferimento ai primi due contratti, osserva il Collegio che la sentenza impugnata non ha ritenuto la necessità di indicare il nominativo de lavoratore sostituito, ma ha ritenuto la necessità della prova a carico del datore di lavoro circa la necessaria coerenza interna tra il servizio e le prestazioni richieste e le assenze per ferie di altri lavoratori addetti allo stesso ufficio” ed ha affermato che “tale onere non può ritenersi adeguatamente assolto in causa”, “mancando in sostanza la prova che l’appellante sia stata utilizzata, almeno in misura prevalente, per sopperire all’assenza di personale con diritto alla conservazione del posto assente per ferie”.

Osserva il Collegio che questa Corte Suprema, decidendo in tema di contratti a termine stipulati ex art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, in relazione alla necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre), oltre a ritenere non necessaria la indicazione del nominativo del lavoratore sostituito (v. fra le altre, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), in base al principio della “delega in bianco” conferita dalla L. n. 56 del 1987, art. 23, ha anche più volte (cfr. ad esempio Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, Cass. 7-3-2008 n. 6204) confermato le sentenze di merito che avevano ritenuto l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti assenti per ferie e interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso che l’unico presupposto per la sua operatività fosse costituita dall’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Peraltro è stato anche affermato (v. fra le altre Cass. 28-3-2008 n. 8122) che l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame (art. 8 c.c.n.l. 26-11-1994) è quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi rispetto alla previsione legale del termine apposto per sostituire dipendenti in ferie, l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo non prevede come presupposto per la sua operatività l’onere, per il datore di lavoro di provare le esigenze di servizio in concreto connesse all’assenza per ferie di altri dipendenti nonchè la relazione causale fra dette esigenze e l’assunzione del lavoratore con specifico riferimento all’unità organizzativa alla quale lo stesso è stato destinato”.

Il sopra citato orientamento, ormai costante, di questa Corte va qui confermato così accogliendosi la relativa censura della ricorrente, restando assorbita ogni questione relativa alla valutazione delle dichiarazioni della lavoratrice, non incombendo sulla società il detto onere probatorio in concreto.

Con riferimento, invece al terzo contratto (decorrente dal 12-10- 1998) concluso per “esigenze eccezionali” ex art. 8 c.c.n.l. 1994 e acc. az. 25-9-97, le censure della ricorrente non meritano accoglimento.

Osserva il Collegio che al riguardo la Corte territoriale ha attribuito rilievo decisivo alla considerazione che il contratto in esame è stato stipulato in data successiva al 30 aprile 1998, allorquando, “in mancanza di ulteriori accordi”, deve escludersi la “copertura autorizzatoria”.

Tale considerazione – in base all’indirizzo ormai consolidato in materia dettato da questa Corte (con riferimento al sistema vigente anteriormente al c.c.n.l. del 2001 ed al D.Lgs. n. 368 del 2001) – è sufficiente a sostenere l’impugnata decisione in relazione al terzo contratto.

Al riguardo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, è stato precisato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23 del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggetti ve di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063, v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862. Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di delega in bianco a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola di apposizione del termine (v.

fra le altre Cass. 23-8-2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato e come va anche qui ribadito, ‘”in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l. 26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998: ne consegue che deve escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza dei presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza della L. 18 aprile 1962, n. 230, art. 1″ (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608; Cass. 28-1-2008 n. 28450; Cass. 4-8-2008 n. 21062; Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

Con il terzo motivo, poi, la ricorrente denuncia omessa motivazione circa l’aliunde perceptum e lamenta che la Corte di merito motiva in maniera generica il rigetto della richiesta di esibizione di documentazione (libretti di lavoro e buste paga) al fine di consentire una corretta determinazione degli eventuali corrispettivi percepiti.

Il motivo non coglie nel segno la impugnata decisione e risulta altresì del tutto generico e inammissibile.

Al riguardo la sentenza impugnata ha affermato che “quanto alla determinazione dell’aliunde perceptum, la relativa operazione è da rimandare alla fase esecutiva, essendo la presente causa instaurata per il riconoscimento del rapporto di lavoro a tempo indeterminato con generica condanna della società datrice di lavoro al pagamento delle mensilità maturate: l’appellata si è comunque limitata a richiedere l’ordinanza di esibizione ex art. 210 c.p.c., senza fornire alcuna specifica indicazione dei compensi percepiti dalla F. per altre attività lavorative nel frattempo svolte”.

La ricorrente, nel censurare tale decisione, innanzitutto ignora che la determinazione dell’eventuale aliunde perceptum è stata rimessa alla fase esecutiva e tanto basta per ritenere il motivo inconferente rispetto al decisum.

La ricorrente, peraltro, non specifica come e in quali termini abbia allegato davanti ai giudici di merito un aliunde perceptum (in relazione al quale e pur sempre necessaria una rituale acquisizione della allegazione e della prova, pur non necessariamente proveniente dal datore di lavoro in quanto oggetto di eccezione in senso lato – cfr.. Cass. 16-5-2005 n. 10155, Cass. 20-6-2006 n. 14131, Cass. 10-8- 2007 n. 17606, Cass. S.U. 3-2-1998 n. 1099 -) e neppure indica in base a quali elementi concreti abbia chiesto l’esibizione di documentazione (richiesta comunque inammissibile a Fini meramente esplorativi).

Così ritenuto inammissibile il terzo motivo, in mancanza di altre censure riguardanti le conseguenze economiche della nullità del termine ed il capo relativo al risarcimento del danno, deve conseguentemente ritenersi irrilevante nella fattispecie lo ius superveniens, rappresentato dalla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, commi 5, 6 e 7, in vigore dal 24 novembre 2010.

Con riguardo, infatti, alla richiesta di applicazione di tale norma, avanzata in sede di discussione dalla società e contrastata dalla difesa della F., anche con la memoria ex art. 378 c.p.c., a prescindere dall’esame delle obiezioni svolte in ordine alla problematica relativa alla possibilità di ricomprendere tra i giudizi pendenti cui il comma 7 ora riportato applica i precedenti commi 5 e 6 anche il giudizio di cassazione, va premesso, in via di principio, che costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr, Cass. 8 maggio 2006 n. 10547, Cass. 27-2-2004 n. 4070).

In tale contesto, è quindi necessario che il motivo di ricorso che investa, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia anche ammissibile.

Non solo, infatti, in caso di assenza, ma anche in caso di inammissibilità del relativo motivo, lo ius superveniens non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità, non sussistendo la condizione sopra richiamata.

Il ricorso va pertanto, come sopra, accolto in parte con riferimento ai primi due contratti e respinto con riferimento al terzo contratto, così cassandosi la impugnata sentenza in relazione alle censure accolte, e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, dichiarandosi la nullità del termine apposto al contratto del 12-10-1998 e la conseguente sussistenza del rapporto a tempo indeterminato da tale data, ferme restando le altre statuizioni della sentenza impugnata anche sulle spese delle fasi di merito.

Infine, per la parziale soccombenza, ricorrono giusti motivi per compensare per metà le spese del giudizio di cassazione, condannandosi la società al pagamento in favore della F. della residua metà.

P.Q.M.

La Corte accoglie in parte il ricorso, cassa la impugnata sentenza in relazione alle censure accolte e, decidendo nel merito, dichiara la nullità del termine apposto al contratto del 12-10-1998 e la conseguente sussistenza del rapporto a tempo indeterminato da tale data, ferme restando le altre statuizioni della sentenza impugnata, anche sulle spese; compensa per metà le spese di cassazione e condanna la società a pagare alla F. la residua metà delle spese stesse, che liquida per l’intero in Euro 20,00 oltre Euro 3.000.00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2011

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