Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4267 del 22/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 22/02/2011, (ud. 09/12/2010, dep. 22/02/2011), n.4267

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2650-2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e difende

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

S.M.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

FLAMINIA 195, presso lo studio dell’avvocato VACIRCA SERGIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LALLI CLAUDIO, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 29/2006 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 17/01/2006 R.G.N. 1631/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/12/2010 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega PESSI ROBERTO;

udito l’Avvocato DE MICHELE VINCENZO per delega VACIRCA SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE TOMMASO che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 13/1/06 la Corte d’Appello di Firenze sezione lavoro accolse l’appello proposto da S.M. avverso la sentenza emessa il 6/10/04 dal giudice del lavoro del Tribunale di Siena, con la quale le era stata respinta la domanda formulata nei confronti della s.p.a. Poste Italiane per l’accertamento della nullità del termine apposto al contratto di lavoro stipulato in relazione al periodo 14/1/03 – 31/3/03, e, per l’effetto, dichiarò la nullità del predetto termine, accertando che tra le parti si era costituito un rapporto di lavoro a tempo indeterminato a decorrere dal 14/1/03;

conseguentemente, condannò la società convenuta alla riammissione in servizio della ricorrente e alla corresponsione della retribuzione globale di fatto maturata dalla data dello svolgimento del tentativo obbligatorio di conciliazione dell’8/7/2003, oltre che al pagamento degli accessori di legge e delle spese del doppio grado del giudizio.

La Corte territoriale pervenne a tale convincimento dopo aver osservato che, a prescindere dal generale richiamo alle ragioni di carattere sostitutivo contenuto nel contratto a termine ricadente “ratione temporis” nella previsione normativa di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, la lettura della relativa motivazione consentiva di rilevare come essa fosse del tutto tautologica ed avesse riguardo non alle concrete e specifiche ragioni dell’assunzione a tempo determinato, bensì alla sola generica causale del contratto, la qual cosa si traduceva nella violazione del rigoroso obbligo motivazionale di cui al comma 2, art. 1, citata legge, a nulla valendo nè le prove orali richieste, stante la loro inammissibilità per la insuperabile genericità dei relativi capitoli, nè la documentazione prodotta, rivelatasi inconferente. Per la cassazione della sentenza propone ricorso la s.p.a. Poste Italiane affidando l’impugnazione a due motivi di censura.

Resiste con controricorso la S..

Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo del ricorso la società Poste italiane s.p.a.

denuncia la violazione e la falsa applicazione del D.Lgs n. 368 del 2001, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), oltre che la violazione e la falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 2697 cod. civ. (art. 360 c.p.c., n. 3).

Col secondo motivo la ricorrente deduce l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5).

Attraverso tali doglianze la ricorrente deduce, anzitutto, che la causale connessa alle esigenze sostitutive, di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, giustificava l’assunzione a termine al fine di poter far fronte all’assenza di lavoratori presso l’unità produttiva nel periodo oggetto del contratto senza che occorresse l’indicazione del nominativo del lavoratore da sostituire; evidenzia, inoltre, che dalla lettura della motivazione del contratto risultava palese la enunciazione delle specifiche esigenze poste alla base dell’assunzione a termine della S.; osserva, altresì, che alla luce del D.Lgs. n. 368 del 2001 la legittimità delle assunzioni a termine per esigenze sostitutive presuppone esclusivamente la forma scritta del contratto, l’indicazione della causale sostitutiva (nella fattispecie la sostituzione del personale dell’area operativa addetto al servizio di recapito/smistamento e trasporto presso il Polo Corrispondenza Toscana assente con diritto alla conservazione del posto nel periodo 2/1/03 – 31/3/03) e la prova della sussistenza presso l’unità produttiva di assenze in misura maggiore o almeno pari alle unità da assumere. Sottolinea, infine, che la prova della legittimità dell’assunzione era stata fornita dalla produzione dei tabulati, ma che in ordine alla richiesta di prova testimoniale il giudice d’appello aveva omesso di motivare le ragioni della mancata ammissione dei relativi capitoli, nonostante che la causale dell’assunzione, cioè le esigenze di sostituzione del personale dell’area operativa di cui sopra, fosse chiaramente riportata nel contratto.

Solo in via del tutto subordinata la ricorrente rileva l’errore in cui è incorsa la Corte territoriale nel riconoscere il diritto della controparte alla percezione delle retribuzioni “medio tempore” maturate sulla base della sola notifica dell’atto relativo al tentativo obbligatorio di conciliazione, cioè senza effettuare alcuna verifica della effettiva costituzione in mora della parte datoriale, e trascurando l’eccezione dell’aliunde perceptum nella liquidazione del danno. Osserva preliminarmente la Corte, sulla scorta del proprio orientamento formatosi coi precedenti n. 1576/2010 e n. 1577/2010, che il D.Lgs. n. 368 del 2001, recante l’attuazione della Direttiva 1999/70 CE relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso dall’UNICE, dal CEP e dal CES, costituisce la nuova ed esclusiva fonte regolatrice del contratto di lavoro a tempo determinato, in sostituzione della L. n. 230 del 1962 e della successiva legislazione integrativa. Il preambolo della citata Direttiva 1999/70, premesso che con la risoluzione del 9 febbraio 1999 il Consiglio dell’Unione Europea ha invitato le parti sociali a tutti i livelli a negoziare accordi per modernizzare l’organizzazione del lavoro, comprese forme flessibili di lavoro, al fine di rendere le imprese produttive e competitive e di realizzare il necessario equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza, evidenzia che l’accordo quadro in questione stabilisce principi generali e requisiti minimi con l’obiettivo di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione, nonchè di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato. Per tale ragione, accogliendo la richiesta delle parti sociali stipulanti e su proposta della Commissione Europea, il Consiglio, a norma dell’art. 4 dell’accordo sulla politica sociale – ora inserito nel trattato istitutivo della Comunità Europea – ha emanato la direttiva in questione, imponendo agli Stati membri di conformarsi ad essa, adottando tutte le prescrizioni necessarie per essere sempre in grado di garantire i risultati prescritti (art. 2).

Il legislatore nazionale, nell’adempiere al suo obbligo comunitario, ha emanato il D.Lgs. n. 368 del 2001 che, nel testo originario, vigente all’epoca del contratto ora in questione, all’art. 1 prevede, al comma 1, che è consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo e, al comma 2, che l’apposizione del termine è priva di effetto se non risulta, direttamente o indirettamente, da atto scritto nel quale sono specificate le ragioni di cui al comma 1.

E’ stata altresì prevista, contestualmente all’entrata in vigore del citato D.Lgs. (24 ottobre 2001), l’abrogazione della L. n. 230 del 1962, della L. n. 79 del 1983, art. 8 bis, della L. n. 56 del 1987, art. 23 e di tutte le disposizioni di legge incompatibili (art. 11, comma 1).

Il quadro normativo che emerge è, dunque, caratterizzato dall’abbandono del sistema rigido previsto dalla L. n. 230 del 1962 – che prevedeva la tipizzazione delle fattispecie legittimanti, sistema peraltro già oggetto di ripensamento come si evince dalle disposizioni di cui alla L. n. 79 del 1983 e alla L. n. 56 del 1987, art. 23 – e dall’introduzione di un sistema articolato per clausole generali, in cui l’apposizione del termine è consentita a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo. Tale sistema, al fine di non cadere nella genericità, impone al suo interno un fondamentale criterio di razionalizzazione costituito dal già rilevato obbligo per il datore di lavoro di adottare l’atto scritto e di specificare in esso le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo adottate.

Nel caso di specie i motivi di ricorso impongono di stabilire come debba essere configurato sul piano giuridico il concetto di specificazione con riferimento all’ipotesi in cui il datore di lavoro abbia determinato la causale dell’apposizione del termine riferendosi a ragioni di carattere sostitutivo. Come già rilevato, l’onere di specificazione della causale nell’atto scritto costituisce una perimetrazione della facoltà riconosciuta al datore di lavoro di far ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato per soddisfare una vasta gamma di esigenze aziendali (di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o aziendale), a prescindere da fattispecie predeterminate. Tale onere ha l’evidente scopo di evitare l’uso indiscriminato dell’istituto per fini solo nominalmente riconducibili alle esigenze riconosciute dalla legge, imponendo la riconoscibilità e la verificabilità della motivazione addotta già nel momento della stipula del contratto. D’altro canto, tuttavia, proprio il venir meno del sistema delle fattispecie legittimanti impone che il concetto di specificità sia collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alle realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato. Il concetto di specificità in questione risente, dunque, di un certo grado di elasticità che, in sede di controllo giudiziale, deve essere valutato dal giudice secondo criteri di congruità e ragionevolezza.

Con riferimento specifico alle ragioni di carattere sostitutivo, pertanto, il contratto a termine se in una situazione aziendale elementare è configurabile come strumento idoneo a consentire la sostituzione di un singolo lavoratore addetto a specifica e ben determinata mansione, allo stesso modo in una situazione aziendale complessa è configurabile come strumento di inserimento del lavoratore assunto in un processo in cui la sostituzione sia riferita non ad una singola persona, ma ad una funzione produttiva specifica che sia occasionalmente scoperta. In quest’ultimo caso, il requisito della specificità può ritenersi soddisfatto non tanto con l’indicazione nominativa del lavoratore o dei lavoratori sostituiti, quanto con la verifica della corrispondenza quantitativa tra il numero dei lavoratori assunti con contratto a termine per lo svolgimento di una data funzione aziendale e le scoperture che per quella stessa funzione si sono realizzate per il periodo dell’assunzione.

Questa Corte non ignora la sentenza della Corte costituzionale n. 214 del 2009, la quale, nel dichiarare non fondata la questione di costituzionalità del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 1, e D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 11, afferma che l’onere di specificazione previsto dallo stesso art. 1, comma 2 impone che, tutte le volte in cui l’assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, risulti per iscritto anche in nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione.

Sul problema degli effetti delle sentenze interpretative di rigetto della Corte costituzionale sull’interpretazione delle leggi da parte del giudice ordinario, questa Corte (cfr, in particolare, Cass. 9 gennaio 2004 n. 166) ha affermato che, ove il giudice delle leggi, nel ritenere non infondato il denunciato vizio di incostituzionalità di una certa disposizione nella interpretazione non implausibile fornitane dal giudice del merito, indichi una possibile, diversa interpretazione della stessa disposizione conforme a Costituzione, tale interpretazione adeguatrice non interferisce con il controllo di legittimità rimesso alla Corte di cassazione ed il suo effetto vincolante per i giudici ordinari e speciali, non esclusa la Corte di cassazione, riguarda soltanto il divieto di accogliere quella interpretazione che la Corte costituzionale ha ritenuto, sia pure con una pronuncia di infondatezza della questione di legittimità costituzionale sottoposta al suo esame, viziata. Nel caso di specie il passo della sentenza della Corte costituzionale sopra citato deve essere letto nel contesto argomentativo in cui esso è stato formulato. La sentenza, subito dopo il passo estrapolato, prosegue precisando che considerato che per ragioni sostitutive si debbono intendere motivi connessi con l’esigenza di sostituire uno o più lavoratori, la specificazione di tali motivi implica necessariamente anche l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori da sostituire e delle cause della loro sostituzione; solamente in questa maniera, infatti, l’onere che il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comma 2, impone alle parti che intendano stipulare un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato può realizzare la propria finalità, che è quella di assicurare la trasparenza e la veridicità della causa dell’apposizione del termine e l’immodificabilità della stessa nel corso del rapporto. Tale precisazione sta a indicare che, nella illimitata casistica che offre la realtà concreta delle fattispecie aziendali, accanto a fattispecie elementari in cui è possibile individuare fisicamente il lavoratore o i lavoratori da sostituire, esistono fattispecie complesse in cui la stessa indicazione non è possibile e “l’indicazione del lavoratore o dei lavoratori” deve passare necessariamente attraverso la “specificazione dei motivi”, mediante l’indicazione di criteri che, prescindendo dall’individuazione delle persone, siano tali da non vanificare il criterio selettivo che richiede la norma.

Intesa in questi termini la sentenza della Corte costituzionale, l’opzione interpretativa offerta da questo Collegio è pienamente coerente con quella offerta dalla sentenza stessa che, per l’autorevolezza della fonte da cui proviene, costituisce un contributo ermeneutico della massima importanza. Dunque, per concludere sul punto, l’apposizione del termine per “ragioni sostitutive” è legittima se l’enunciazione dell’esigenza di sostituire lavoratori assenti – da sola insufficiente ad assolvere l’onere di specificazione delle ragioni stesse – risulti integrata dall’indicazione di elementi ulteriori (quali, l’ambito territoriale di riferimento, il luogo della prestazione lavorativa, le mansioni dei lavoratori da sostituire, il diritto degli stessi alla conservazione del posto di lavoro) che consentano di determinare il numero dei lavoratori da sostituire, ancorchè non identificati nominativamente, ferma restando in ogni caso la verificabilità circa la sussistenza effettiva del presupposto di legittimità prospettato.

Nel caso in esame appare incongrua e priva di adeguata motivazione, in relazione ai principi sopra enunciati, la valutazione fatta dalla Corte di merito circa l’assenza di specificità della causale apposta al contratto di lavoro a termine in discussione. In particolare la Corte territoriale non ha tenuto conto del fatto che il concetto di specificità deve essere collegato a situazioni aziendali non più standardizzate ma obiettive, con riferimento alle realtà specifiche in cui il contratto viene ad essere calato. Invero, nel caso in esame non possono di certo trascurarsi i dati significativi rappresentati dall’indicazione della sostituzione del personale assente con diritto alla conservazione del posto, dal riferimento all’area di inquadramento del personale assente da sostituire, dal richiamo al servizio di recapito, smistamento e trasporto della corrispondenza da ricoprire e dalla individuazione dell’area geografica di destinazione (“Polo corrispondenza Toscana”), che consentivano di appurare “ex ante” la reale sussistenza di una correlazione causale tra l’assunzione a termine della ricorrente e le proclamate esigenze sostitutive dell’ufficio di destinazione, che fu poi quello del Centro Rete Postale di Siena. Il primo motivo del ricorso deve essere in definitiva accolto, con assorbimento del secondo, cioè quello vertente sulla mancata ammissione della prova testimoniale e, per l’effetto, la causa deve essere rimessa ad altro giudice, indicato in dispositivo, che provvedere sulla base dei sopra indicati principi di diritto oltre che sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo, dichiara assorbito il secondo e cassa in relazione al primo motivo con rinvio alla Corte d’appello di Firenze in diversa composizione che deciderà anche sulle spese.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2011

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