Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4263 del 19/02/2020

Cassazione civile sez. I, 19/02/2020, (ud. 08/11/2019, dep. 19/02/2020), n.4263

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. G. C. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3209/2016 proposto da:

Consorzio di Marsia, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Via L. Caro n. 62,

presso lo studio dell’avvocato Ciccotti Simone, rappresentato e

difeso dall’avvocato Primerano Giulio Cesare, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.L., M.P., in proprio e quali eredi di B.L.,

elettivamente domiciliati in Roma, Via Paraguay n. 5, presso lo

studio dell’avvocato Rizzelli Giunio E. V., che li rappresenta e

difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3861/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 22/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

08/11/2019 dal Cons. Dott. FALABELLA MASSIMO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Il 13 marzo 2009 il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione proposta da M.M. avverso il decreto ingiuntivo col quale gli era stato intimato il pagamento della somma di Euro 10.861,97, oltre accessori, per oneri di gestione ordinaria e relativi al servizio di vigilanza, con riferimento agli anni tra il 1999 e il 2005.

2. – La pronuncia del Tribunale era impugnata da B.L. e M.P., eredi di M.M. e nella resistenza del Consorzio la Corte di appello di Roma riformava la decisione e revocava il decreto ingiuntivo. Il giudice distrettuale rilevava che esisteva corrispettività tra i contributi consortili e i servizi erogati dall’ente, onde questo era tenuto a dare dimostrazione di aver effettuato le diverse prestazioni che gli competevano: tale prova non era stata tuttavia fornita, essendo insufficienti, a tal fine, le evidenze costituite dalle delibere di approvazione dei bilanci consuntivi. Rilevava, ancora, la Corte distrettuale, essere stato accertato dal TAR Abruzzo che il Consorzio, a partire dal 1996, non aveva più titolo per svolgere i servizi nel comprensorio di competenza, giacchè l’attività consortile era destinata a cessare nel momento in cui un qualsiasi ente locale si fosse proposto di erogare i servizi fino ad allora espletati: difatti – aggiungeva la Corte – il Consorzio aveva funzioni di mera supplenza rispetto agli enti istituzionalmente deputati a svolgere le funzioni assolte, in via temporanea, dal Consorzio stesso. Ricordava inoltre il giudice del gravame che lo stesso TAR aveva accertato che il Consorzio, in base alle prescrizioni degli artt. 2 e 3 dell’atto costitutivo e dello statuto, avrebbe dovuto assumere le determinazioni pertinenti al proprio scioglimento, essendosi verificate le condizioni contemplate nelle richiamate disposizioni.

3. – Contro la sentenza della Corte di appello di Roma, pubblicata il 22 giugno 2015, il Consorzio di Marsia ricorre per cassazione. L’impugnazione si basa su due motivi. B. e M. resistono con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 1104 c.c., in relazione agli artt. 2, 3 e 4 dello statuto consortile, nonchè dell’art. 1118 c.c.. Richiamando la giurisprudenza di questa Corte, osserva il ricorrente che nei consorzi di urbanizzazione per la disciplina dei beni dei consorziati, in difetto di disciplina contenuta nell’atto costitutivo e nello statuto, trovano applicazione le norme del condominio e, tra esse, quella di cui all’art. 1118 c.c.. Rileva che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di appello, nella controversia in esame veniva in questione una obbligazione propter rem, il cui soggetto passivo era identificato in base alla titolarità della proprietà dello stabile nel “territorio consorziale”.

Col secondo mezzo viene lamentato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La censura investe l’affermazione della sentenza impugnata relativa al rapporto di sinallagmaticità tra i contributi e le prestazioni consortili. Osserva l’istante che quanto asserito dal giudice distrettuale era contrastante col dato per cui nella fattispecie veniva in questione un consorzio di urbanizzazione; deduce inoltre che l’affermazione per cui il Consorzio non aveva più titolo a svolgere i servizi era sfornita di riscontri ed era smentita da diverse pronunce.

2. – I due motivi sono inammissibili.

Il primo si dimostra privo di aderenza alla decisione impugnata e, come tale, carente di decisività.

Secondo la giurisprudenza consolidata di questa Corte, i consorzi di urbanizzazione, consistenti in aggregazioni di persone fisiche o giuridiche, preordinate alla sistemazione o al miglior godimento di uno specifico comprensorio mediante la realizzazione e la fornitura di opere e servizi, sono figure atipiche, nelle quali i connotati delle associazioni non riconosciute si coniugano con un forte profilo di realità, sicchè il giudice, nell’individuare la disciplina applicabile, deve avere riguardo, in primo luogo, alla volontà manifestata nello statuto e, solo ove questo non disponga, alla normativa delle associazioni o della comunione (Cass. 13 aprile 2017, n. 9568; Cass. 14 maggio 2012, n. 7427; Cass. 28 aprile 2010, n. 10220; cfr. pure: Cass. 9 febbraio 2007, n. 2877; Cass. 21 marzo 2003, n. 4125).

La pronuncia impugnata non contiene però affermazioni che contravvengano a tale principio; nè si comprende quale incidenza abbiano, ai fini della domandata cassazione della sentenza, le doglianze di violazione o falsa applicazione degli artt. 1104 e 1118 c.c.: infatti, la presente controversia non ha ad oggetto il recesso del consorziato (come nelle fattispecie prese in esame da Cass. 30 ottobre 2018, n. 27634, e da Cass. 6 ottobre 2014, n. 20989, che hanno di contro affrontato, sulla scorta del dettato delle dette disposizioni, il tema dell’ammissibilità di un “abbandono liberatorio” da parte dell’aderente al consorzio, negandone la configurabilità in ragione del nesso funzionale tra i beni di proprietà comune e quelli di proprietà esclusiva).

Non appare del resto concludente il rilievo, svolto a pag. 7 del ricorso per cassazione, circa la natura dell’obbligazione dedotta in giudizio. Pur dandosi atto che la qualità di consorziato implica l’assunzione di obbligazioni propter rem (Cass. 13 aprile 2017, n. 9568, cit.; Cass. 14 maggio 2012, n. 7427, cit.; Cass. 4 dicembre 2007, n. 25289), è da evidenziare come la sentenza impugnata si fondi sulla mancata prestazione dei servizi consortili (che, ha aggiunto la Corte di appello, lo stesso Consorzio non era più nemmeno legittimato a erogare) e quindi sul ritenuto fondamento dell’eccezione di inadempimento sollevata dall’ingiunto, e coltivata dagli appellanti.

Una fugace deduzione nel senso dell’inammissibilità dell’eccezione di inadempimento è contenuta, per la verità, nel secondo motivo. Ma la doglianza non ha alcuna inerenza all’omesso esame di fatto decisivo denunciato con tale mezzo di censura e l’istante comunque non spiega, nel corpo del motivo, in cosa consista l’ipotetica violazione o falsa applicazione di legge. Ove pure si superi il dato (formale) per cui l’intitolazione del motivo attiene alla fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, estranea alla censura svolta, va infatti considerato che il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 12 gennaio 2016, n. 287; Cass. 1 dicembre 2014, n. 25419; Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010). Il Consorzio si è limitato, invece, ad assumere che l’eccezione di inadempimento non potrebbe “ritenersi ammissibile per giustificare l’inadempimento dell’obbligazione propter rem”: affermazione questa, che, oltre ad essere del tutto immotivata, risulta, nella sua assolutezza, pure errata (cfr., se pure in ambito diverso, la risalente Cass. 19 febbraio 1962, n. 286, che, qualificando come rapporto obbligatorio propter rem quello avente ad oggetto il compimento di prestazioni accessorie che rendano possibile l’esercizio della servitù da parte del proprietario del fondo dominante – prestazioni non sono comprese nel contenuto della servitù -, ha ritenuto applicabile, nella fattispecie, a determinate condizioni, la regola inadimplenti non est adimplendum, nel caso in cui il proprietario del fondo dominante non adempia la sua controprestazione).

Quanto, poi, alle restanti deduzioni svolte col secondo motivo, a pag. 8 del ricorso, esse risultano palesemente inammissibili, risolvendosi nella rappresentazione di plurime circostanze di cui non è indicato nè il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esse risultino esistenti, nè il “come” e il “quando” esse siano state oggetto di discussione processuale tra le parti, nè la ragione per cui se ne assume la “decisività” (cfr.: Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054). Da ultimo, non coglie nel segno la doglianza vertente sull’inesistenza di un titolo che giustifichi lo svolgimento dei servizi controversi da parte del Consorzio di Marsia: infatti, ciò che risulta assorbente, nell’economia della decisione impugnata, è l’accertata mancata esecuzione delle prestazioni in questione.

3. – Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

4. – Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2020

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