Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4262 del 19/02/2020

Cassazione civile sez. I, 19/02/2020, (ud. 08/11/2019, dep. 19/02/2020), n.4262

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. G. C. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5195/2016 proposto da:

S.L., elettivamente domiciliato in Roma, Viale G. Mazzini

n. 113, presso lo studio dell’avvocato Rosa Alba Grasso, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Oronzo D’Agostino,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.F.A.M., C.G.C.,

D.L.G., F.S.V., G.T.A.,

Groupama Assicurazioni S.p.a., Kpmg S.p.a., R.S.,

S.R., S.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 162/2015 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

pubblicata il 09/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 08/11/2019 dal Cons. Dott. MARCO MARULLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.L., già amministratore delegato e di seguito liquidatore della s.p.a. La Giara, impugna l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Catanzaro, rigettandone il gravame, ha confermato la condanna in primo grado del medesimo al risarcimento dei danni a mente dell’art. 2395 c.c., nei confronti di R.S., socio di maggioranza relativa della citata società, nonchè presidente del consiglio di amministrazione della stessa, in relazione all’acquisto dei crediti delle banche e dei fornitori verso la società negoziato da costei sulla base di una rappresentazione inveritiera della situazione contabile societaria.

Per quel che qui rileva, la Corte d’Appello, verificata la sussistenza nella specie del nesso di causalità tra la condotta dell’amministratore consistita nell’alterare i dati di bilancio ed il pregiudizio subito dal socio in ragione della constatazione che la R. si era determinata all’operazione perchè “indotta in errore dall’apparenza di un utile operativo della società che invece era indebitata per oltre dieci milioni di Euro”, ha respinto in particolare la doglianza in punto alla corresponsabilità della R. nella gestione della società e nell’esposizione debitoria della medesima osservando che “il motivo non ha pregio, visto che la R. non aveva alcun potere gestorio che, invece, era interamente demandato al S.”, come, peraltro, risultante “documentalmente e dalla “confessione”” al riguardo resa dal S., nonchè dalla motivazione del Tribunale che “in maniera esauriente, giuridicamente corretta e con motivazione pienamente condivisa da questa Corte spiega la totale estraneità della R. alla condotta del S. che anzi viene da lei subita”.

La cassazione di detta sentenza è ora reclamata dal S. sulla base di tre motivi di ricorso illustrati pure con memoria. Non ha svolto attività difensiva nessuno degli intimati.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Reputa il collegio, invertendo l’ordine espositivo dei motivi adottato dal ricorso, di accordare priorità, in ragione della sua assorbenza logica, se fondato, all’esame del secondo motivo di ricorso.

3. Con esso il S. censura l’impugnata decisione per aver totalmente omesso di valutare la sussistenza, all’atto di dichiararne la responsabilità in accoglimento della spiegata domanda della R., sia del nesso di causalità tra quanto al medesimo imputato ed il danno lamentato dall’istante, sia di un danno risarcibile, non sussistendo per vero nè l’uno nè l’altro, come già accertato nella corrispondente controversia incardinata dalla R. avanti ai giudici milanesi nei confronti della società di revisione che su suo incarico aveva proceduto a valutare lo stato della società, stante, peraltro, la carica rivestita dalla R. in seno alla società e la sua qualità di garante dei debiti della medesima nei confronti delle banche.

4. Il motivo – in disparte dal richiamo agli esiti del giudizio avanti ai giudici milanesi che, ancorchè coperto ora da giudicato per effetto del pronunciamento di questa Corte (Cass., Sez. I, 18/04/2018, n. 9571), non è decisivo, posto che non vi è identità di parti (nel giudizio milanese la R. ha convenuto KPGM e S. vi prese parte solo perchè chiamato a manleva da quest’ultima) nè di causa petendi (nel giudizio milanese KPGM è stata convenuta per responsabilità da revisione; nel giudizio odierno la R. ha convenuto direttamente il S. per responsabiiltà gestoria) – si sottrae per il resto alla cognizione di questa Corte avendo ad oggetto un accertamento di fatto di esclusiva spettanza del giudice di merito.

5. Costituisce invero fermo insegnamento del diritto vivente sul punto che l’accertamento del nesso causale tra il fatto illecito e l’evento dannoso rientra tra i compiti del giudice del merito ed è sottratto al sindacato di legittimità di questa Corte, la quale, nei limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5, è legittimata al solo controllo sull’idoneità delle ragioni addotte dal giudice del merito a fondamento della propria decisione (Cass., Sez. III, 23/07/2003, n. 11453; Cass., Sez. III, 21/12/2001, n. 16163; Cass., Sez. III, 7/04/1988, n. 2737). Dovendo, invero, esercitarsi sugli antecedenti fattuali dell’evento onde verificare se, nella regolarità della loro sequenza diacronica, essi acquistano secondo il modello delineato dagli artt. 40 e 41 c.p., la natura di condizioni equivalenti, l’accertamento in parola postula un sindacato sui profili di fatto della vicenda che, ove non ometta l’esame di “fatti” altrimenti decisivi, è naturalmente sottratto al controllo di questa Corte, avanti alla quale è tutt’al più censurabile per errore di diritto il criterio di selezione adottato dal decidente di merito, ma non l’apprezzamento che esso abbia condotto in concreto (Cass., Sez. III, 10/04/2019, n. 9985; Cass., Sez. VI-III, 24/05/2017, n. 13096; Cass., Sez. III, 25/02/2014, n. 4439). Parimenti soggiace alla medesima regola di giudizio anche l’apprezzamento afferente alla ravvisabilità di un danno risarcibile che concreta un accertamento di fatto e che per questo non è sindacabile in questa sede (Cass. Sez. IV, 26/02/2009, n. 4652).

Il detto motivo di ricorso va perciò dichiarato inammissibile.

6. Venendo con ciò all’esame del primo motivo del ricorso, con esso l’odierno ricorrente lamenta l’erroneità in diritto dell’impugnata decisione laddove essa ha disconosciuto una corresponsabiità della R. nella gestione della società e nel causarne l’ingente esposizione debitoria verso le banche sebbene fosse provato che, malgrado la carica rivestita, la R. non avesse esercitato alcun controllo sugli atti sociali e sui bilanci – che, anzi proprio in ragione della carica, erano stati da lei approvati e sottoscritti – non avesse esercitato alcun controllo sulle attività dei singoli consiglieri di amministrazione e dell’amministratore delegato e, data la sua qualità di fideiussore della società, fosse certamente consapevole dell’andamento della gestione economica della società.

7. Il motivo è fondato.

La Corte d’Appello ha, come visto, disatteso il gravame sul punto ritenendo che “il motivo non ha pregio giuridico, visto che la R. non aveva alcun potere gestorio e che invece era demandato al S.”, che “l’assunto è peraltro smentito documentalmente e dalla sostanziale “confessione” del S. e che sul punto si possa far rinvio “alla motivazione del Tribunale che in maniera esauriente, giuridicamente corretta e con motivazione pienamente condivisa da questa Corte spiega la totale estraneità della R. alla condotta del S., che, anzi viene da lei subita”.

Ragionando in tal modo la Corte d’Appello ha omesso di regolare la specie al suo esame in esatta applicazione del principio codificato nell’art. 1227 c.c., comma 1 e, pur non mancando di affrontare la specifica questione cui la sollecitava il corrispondente motivo di gravame, ha disatteso la relativa doglianza con una motivazione manifestamente apparente.

8. Posto invero che non si dubita della natura aquiliana della responsabilità prevista dall’art. 2395 c.c., la soggezione di essa alle regole più generalmente dettate dagli artt. 2043 c.c. e segg. (Cass., Sez. I, 25/07/2007, n. 16416) comporta l’applicazione anche dell’art. 2056 c.c., sicchè tramite il rinvio che il medesimo opera ai fini liquidatori agli artt. 1223,1226 e 1227 c.c., anche il principio di cui è espressione il comma 1 di quest’ultimo (“se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”) si rende applicabile allorchè si impetri la condanna dell’amministratore di società a mente dell’art. 2395 c.c..

Del resto, pur se all’impugnata sentenza non si possa fare addebito, in relazione ai limiti imposti dalla domanda, di essere incorsa nella violazione anche delle ulteriori disposizioni citate in rubrica – ed a maggior ragione di quelle come l’art. 2381 c.c., comma 6, che, nel testo risultante dalla novella societaria del 2003, dettano per gli amministratori la regola dell'”agire informati” non si applicano alla specie per ragioni di tempo – dato che la controversia non ha ad oggetto la violazione dei doveri sociali secondo il dettato a suo tempo risultante dall’art. 2392 c.c., nondimeno il richiamo alle norme segnalate ed in particolare all’obbligo di vigilanza sancito dall’art. 2392 c.c., comma 2, avrebbero dovuto orientare utilmente l’apprezzamento dei giudici di merito circa la valutazione della dedotta corresponsabilità della R. nella causazione del dissesto sociale e ciò ai fini di graduare, coerentemente con i dati fattuali emergenti dal caso concreto, l’entità delle conseguenze risarcitorie invece ascritte nella loro globalità al solo S..

9. Nè ostacolo, nell’indirizzare il giudizio di merito in questa direzione, si sarebbe potuto ravvisare, qualora mai la sollecitazione in tal senso operata dall’appellante non fosse risultata esplicita, nel ritenere che, in difetto dell’allegazione di parte, il profilo in parola non potesse essere indagato, trattandosi invero di questione esaminabile d’ufficio a condizione che ne siano dedotti gli elementi di fatto che consentono di operare una tale valutazione (Cass., Sez. III, 19/07/2018, n. 19218).

10. La Corte d’Appello non ha indagato funditus la sollevata questione e la motivazione al riguardo adottata per respingere il gravame sul punto non rende percepibile l’iter logico-argomentativo in guisa del quale il decidente, a fronte delle risultanze fattuali emergenti dal caso concreto, è pervenuto al convincimento enunciato.

11. Quanto al terzo motivo di ricorso, esso evidenzia un vizio motivazionale nella forma dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione che non è più scrutinabile da questa Corte a seguito della riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione operato per mezzo della novellazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

12. Va dunque accolto il primo motivo di ricorso e, cassata nei limiti di esso la sentenza impugnata, la causa va rinviata avanti al giudice a quo per la rinnovazione del giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara inammissibili il secondo ed il terzo motivo; cassa l’impugnata sentenza nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa avanti alla Corte d’Appello di Catanzaro che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 8 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2020

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