Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4261 del 17/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 17/02/2017, (ud. 13/01/2017, dep.17/02/2017),  n. 4261

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8159-2012 proposto da:

C.P., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

SAN MARCELLO PISTOIESE 73/75, presso lo studio dell’avvocato PAOLA

FIECCHI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE MACCIOTTA;

– ricorrente –

contro

G.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

V. BERENGARIO 7, presso lo studio dell’avvocato CARLO FEDE,

rappresentato e difeso dall’avvocato LUCIANO PISANU;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 360/2011 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 12/10/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO ORICCHIO;

udito l’Avvocato Pisanu Luciano difensore del controricorrente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

C.P. conveniva in giudizio, nel 1985, innanzi al Tribunale di Cagliari G.G. chiedendo la condanna di quest’ultimo al pagamento della somma di Lire 5.867.000 quale dovuto residuo prezzo per lavori eseguiti nell’immobile di cui in atti, ubicato in (OMISSIS), di proprietà del convenuto.

Quest’ultimo costituitosi in giudizio resisteva all’avversa domanda di cui chiedeva il rigetto e formulava domanda riconvenzionale per la condanna dell’attore al pagamento in suo favore della somma di Lire 13.084.000 a titolo, in minima parte di indebito oggettivo, nonchè per risarcimento danni da mancata esecuzione delle opere appaltate e vizi.

L’adito Tribunale, con sentenza in data 21 gennaio 2009, rigettava la domanda attorea con condanna dell’attore alla refusione delle spese di lite.

Avverso la suddetta sentenza il C. interponeva appello, resistito dall’appellato, che chiedeva il rigetto del gravame.

L’adita Corte di Appello di Cagliari, con sentenza n. 360/2011, rigettava l’appello condannava l’appellante al pagamento delle spese del giudizio.

Per la cassazione della suddetta decisione della Corte territoriale ricorre il C. con atto affidato a due ordini di motivi e resistito dal G. con controricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.- Con il primo motivo del ricorso si censura il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 81 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in quanto la Corte territoriale aveva errato nel ritenere che l’attore non era legittimato ad agire quando, invece, le opere erano state eseguite in base ad un distino contratto di appalto.

Il motivo, pur deducendo un vizio di violazione di legge, si sostanzia – in concreto – in una censure relativa alla valutazione della qualità rivestita dal C. relativamente alle opere e seguite e per le quali è controversia.

Orbene l’odierno ricorrente assume, al fine di sostanziare la prospettata censura per violazione di legge, che egli eseguì le opere in proprio e non come socio di una cooperativa affidataria dei lavori e, quindi, essa sì legittimata.

La decisione gravata, confermativa – in punto – della sentenza del tribunale di prima istanza, ha arogmentatamente evidenziato – a fronte dell’unico motivo di appello in quella sede proposto dal’odierno ricorrente – che i lavori di cui si controverte risultano documentalmente eseguiti dal “socio esecutore della Artes C.P.”.

Peraltro risulta altresì che, nelle previsioni (artt. 14 e 15) del capitolato speciale del contratto di appalto regolante i lavori ogni opera o prestazione comportante oneri diversi doveva comportare appositi ordini di servizio e la necessaria autorizzazione del committente.

Tanto comportava che anche per le lavorazioni eventualmente aggiuntive il rapporto non intercorreva direttamente con il C., ma con la cooperativa appaltatrice.

La valutazione, in fatto, svolta congruamente dalla Corte distrettuale (e,prima, dal Tribunale) esclude conseguentemente la fondatezza della censura di violazione di legge in ordine all’art. 81 c.p.c..

Il motivo deve, dunque, essere respinto.

2.- Con il secondo motivo del ricorso si deduce il vizio di violazione e falsa applicazione dell’art. 2729 c.c. ed erronea e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, poichè non vi era prova che l’originario attore avesse ricevuto il pagamento di controparte quale incaricato del Consorzio Artes.

Come si è già avuto modo di rilevare innanzi nel precedente rado di giudizio risultava proposto un unico motivo di gravame relativo, in particolare, al solo rigetto delle domanda attorea per errata valutazione del fatto che i lavori furono a suo tempo realizzati dalla “ditta C.” (e non dalla cooperativa, di cui lo stesso ricorrente era socio).

Quella posta col motivo qui in esame, costituisce quindi – allo stato degli atti – questione nuova (non risultante come già svolta nei pregressi gradi del giudizio) o comunque, come tale, ritenuta in difetto di ogni altra dovuta opportuna allegazione.

Il motivo è, pertanto, del tutto inammissibile.

Infatti ” i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito nè rilevabili d’ufficio.” (Cass. civ., Sez. Prima, Sent. 30 marzo 2007, n. 7981 ed, ancora e più di recente, Sez. 6 – 1, Ordinanza, 9 luglio 2013, n. 17041).

3.- Il ricorso va, dunque, rigettato.

4.- Le spese seguono la soccombenza e si determinano così come in dispositivo.

PQM

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio, determinate in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2017

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