Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4257 del 22/02/2011

Cassazione civile sez. III, 22/02/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 22/02/2011), n.4257

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – rel. Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –

Dott. GIACALONE Giovanni – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. LANZILLO Raffaella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9371-2006 proposto da:

P.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, VIA DONATELLO 75, presso lo studio dell’avvocato CAPPONI

BRUNO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

PROSERPIO ANGELO, SALETTI ACHILLE giusta procura speciale del dott.

Notaio CHIAMBRETTI ALESSIO MICHELE in SARONNO 3/3/2006, REP. N.

189640;

– ricorrente –

contro

S.B.L. (OMISSIS), B.S.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ANTONIO

SILVANI, 113, presso lo studio dell’avvocato GRAZZINI ROSSELLA,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIROLA MAURA giusta delega in

calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2727/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO, 3^

SEZIONE CIVILE, emessa il 18/10/2005, depositata il 24/11/2005,

R.G.N. 2222/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

26/01/2011 dal Consigliere Dott. FINOCCHIARO Mario;

udito l’Avvocato CAPPONI BRUNO;

udito l’Avvocato PROSERPIO Angelo;

udito l’Avvocato GIROLA MAURA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.S. e S.L. con atto 22 aprile 1983 hanno convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Busto Arsizio, P.G. e D., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni cagionati dall’illegittima occupazione di un terreno da essi acquistato nel 1973 a scopo edificatorio.

Tale terreno – hanno riferito gli attori – era stato occupato senza titolo dai P. ed era stato rilasciato soltanto il 16 febbraio 1981, in forza di una condanna emessa dalla Sezione specializzata agraria del Tribunale di Busto Arsizio, adita dagli attori.

Tra la data di acquisto della proprietà e quella di rilascio del terreno da parte dei convenuti – hanno concluso il B. e la S. – l’entrata in vigore del nuovo piano regolatore generale aveva determinato una consistente riduzione degli indici di edificabilità e cagionato pertanto un grave pregiudizio a essi pro- prietari.

Costituitosi in giudizio il solo P.G. lo stesso ha fatto presente che il padre Dionigi era deceduto, e eccepito, nel merito, che l’occupazione, oltre ad essere legittima, in quanto fondata su un ordine di reintegrazione: nel possesso emesso dal pretore di Saronno, aveva riguardato solo una porzione del terreno, pacificamente rilasciata ai proprietari non appena ne avevano fatto richiesta.

Svoltasi la istruttoria del caso con sentenza del 3 giugno 1994 il Tribunale di Busto Arsizio ha dichiarato la nullità della citazione di P.D. e rigettato la domanda nei confronti di P.G..

Gravata tale sentenza dal B. e dalla S., con sentenza 20 febbraio 1998, la Corte d’Appello di Milano ha rigettato il gravame.

Hanno proposto ricorso per cassazione i soccombenti, formulando cinque mezzi di annullamento e questa Corte nella resistenza di P.G., con sentenza 15 novembre 2002 n. 16096 ha accolto per quanto di ragione il ricorso, cassando in relazione la sentenza impugnata e rinviato la causa per nuova esame ad altra sezione della Corte di appello di Milano.

Riassunto il giudizio la Corte di appello di Milano con sentenza 18 ottobre – 24 novembre 2005 in riforma della sentenza del primo giudice ha condannato P.G. al risarcimento dei danni in favore del B. e della S., liquidati in complessivi Euro 123.264,46 con la rivalutazione monetaria secondo gli indici Istat – costo della vita dal 16 febbraio 1981 sino alla data della pronunzia e con gli interessi al tasso legale sul capitale devalutato al 16 febbraio 1981 e poi di anno in anno rivalutato sino alla pronuncia, oltre gli interessi legali dalla pronuncia stessa al saldo.

Per la cassazione di quest’ultima pronunzia notificata il 16 gennaio 2006 ha proposto ricorso, con atto 16 marzo 2006 P. G., affidato a cinque motivi e illustrato da memoria.

Resistono, con controricorso, S.L. e B.S..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Come accennato in parte espositiva S.L. e B. S. hanno chiesto la condanna del P. al risarcimento dei danni loro cagionati dalla illegittima occupazione di un terreno da essi acquistato nel 1973 a scopo edificatorio, atteso che tale terreno, occupato senza titolo dal P. (e dal suo genitore), era stato rilasciato soltanto il 16 febbraio 1981, e l’entrata in vigore del nuovo piano regolatore generale – tra la data di acquisto della proprietà e quella di rilascio del terreno da parte dei P. – aveva determinato una consistente riduzione degli indici di edificabilità con grave pregiudizio per essi proprietari.

La sentenza 20 febbraio 1998 della Corte di appello di Milano – che aveva confermato la sentenza del primo giudice, di rigetto della domanda di risarcimento dei danni reclamati dalla S. e dal B. – come riferito sopra – è stata cassata da questa Corte essendo la stessa fondata su due rationes decidendi entrambe erronee.

Ha osservato, infatti, Cass. 15 novembre 2002, n. 16096:

– da un lato (quanto alla prima ratio decidendi) che in tema di illecito aquiliano, la mancata tempestiva proposizione da parte del soggetto leso dell’azione) giudiziaria per il risarcimento dei danni non esclude la sussistenza dell’illecito, salvo che l’inerzia, unitamente ad altre circostanze univoche e concludenti, consenta di accertare che l’attività oggettivamente dannosa è stata posta in essere con il consenso del titolare del diritto leso;

– dall’altro (in margine alla seconda ratio decidendi) che la sentenza di merito si limita a menzionare un “parere favorevole” della Commissione edilizia – che ordinariamente viene emesso nel corso di un procedimento di rilascio di una concessione edilizia, che a sua volta, come è naturale, presuppone la presentazione di un progetto edilizio -, senza spiegare perchè questo parere favorevole non sia significativo di una seria intenzione di costruire prima che intervenisse la riduzione degli indici di fabbricabilità, e senza preoccuparsi di stabilire con quali specifici atti, avuto riguardo a tutte le circostanze del caso, avrebbe dovuto viceversa manifestarsi una volontà concreta di attuare un progetto concreto.

Preso atto di tale statuizione i giudici del rinvio hanno evidenziato, da un lato, che la condotta dei P. deve essere esaminata unicamente alla luce dello schema descritto nella clausola generale di responsabilità dell’art. 2043 c.c., dall’altro, che le risultanze processuali indicano univocamente che nell’odierna fattispecie dai medesimi è stata posta in essere una condotta colpevole e che, in particolare, gli stessi hanno non già posseduto in buona fede ma detenuto in via di mero fatto e senza titolo il terreno per cui è causa sito in Saronno, via Fiume.

Con riferimento all’an debeatur ha precisato, altresì, la sentenza ora oggetto di ricorso, che gli attori hanno prodotto una attestazione del comune di Saronno che contiene elementi ampiamente sufficienti a dare la prova dell’esistenza del danno reclamato dagli attori stessi, in quanto:

– menziona la pratica edilizia n. 190/76 che evidentemente era stata presentata dal B. a mezzo di un professionista e corredata dei relativi disegni e dei prescritti allegati;

– afferma che la pratica era stata esaminata con parere favorevole dalla Commissione edilizia nella seduta del 9 dicembre 1976, il che significa che – secondo l’id quod plerumque accidit – il B. aveva sostanzialmente ottenuto la licenza edilizia;

– precisa che la volumetria edificabile autorizzata era di mc. 3.523,20 e delimita quindi quale era in concreto la volontà e la possibilità edificatoria in capo al B..

Di conseguenza – hanno ancora evidenziato sul punto i giudici del rinvio – è possibile affermare che se i P. non avessero occupato l’area senza titolo con le loro piantagioni e non avessero protratto fino al febbraio 1981 tale illecita detenzione, anche avvalendosi dei rimedi giudiziari posti a presidio dell’esistente, i B. avevano quindi non solo la serie intenzione ma la concreta volontà di realizzare, sul terreno di mq. 4248 una costruzione di me 3.523,20 a uso magazzino e officina per l’attività artigianale della ditta Base Italiana di cui il B. era titolare.

Sempre al riguardo i giudici a quibus, accertato -in linea di fatto – che nel 1980 è entrato in vigore il nuovo piano regolatore generale, hanno sottolineato, altresì:

– i B. avevano acquistato il terreno non per rivenderlo (nel qual caso non potrebbe riconoscersi loro alcun danno, essendo l’area aumentata di valore tra il 1973 e il 1981) ma per costruirvi un edificio a uso magazzino e laboratorio per l’attività artigianale della ditta di cui era titolare il B.;

– non può non riconoscersi che, per effetto della occupazione senza titolo dei P. gli attori in riassunzione vennero ad avere minore possibilità di costruire e ciò per di più a costi superiori, atteso che nel 1981 non erano più realizzabili mc 3500 circa ma soltanto (come accertato dal ctu) mc 2000 circa;

– il danno per perdita di possibilità edificatoria e per maggiori costi di costruzione a causa della occupazione senza titolo da parte dei P. fino al 16 febbraio 1981 va pertanto liquidato nel volume edificabile perduto stimato in base alla differenza tra il costo di costruzione del 1981 e il costo di costruzione al 1976.

2. Il ricorrente censura la riassunta pronunzia, nella parte de qua denunziando, con il primo motivo.

violazione e falsa applicazione degli artt. 1221, 2043 e 2056 c.c., L. 11 agosto 1942, n. 1150. art. 31, L. 6 agosto 1967, n. 165, art. 10, L. 28 gennaio 1911, n. 10, artt. 4 e 11, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per aver la Corte di merito ritenuto rilevante, ai fini risarcitori, la mancata realizzazione di un progetto edilizio per il quale non fu rilasciata nè licenza nè concessione edilizia, ma solo il parere favorevole dalla Commissione Edilizia.

Si assume, infatti, che qualsiasi danno dovuto a impedimenti frapposti da terzi al diritto del proprietario di costruire sulla propria area presuppone il rilascio nel necessario assensi della p.a.

e che la comunicazione del parere favorevole espresso dalla Commissione edilizia comunale è inidonea a produrre gli effetti giuridici propri della concessione edilizia;

3. Il motivo non può trovare accoglimento.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

3.1. In primis si osserva che non paiono pertinenti, al fine del decidere, i principi di diritto enunciati da questa Corte con la sentenza 11 dicembre 2000, n. 15578.

Ha osservato – infatti – in quell’occasione questa Corte, richiamando sul punto la consolidata giurisprudenza del Consiglio di Stato, che la comunicazione del parere favorevole espresso dalla Commissione edilizia comunale è inidonea, a produrre gli effetti giuridici propri della concessione edilizia esclusivamente con riguardo al regime successivo all’entrata in vigore della L. n. 10 del 1977.

Si è precisato, in particolare – in tale occasione (come anche in tutte le pronunzie in argomento richiamate in ricorso e nella memoria ex art. 378 c.p.c.) -che una tale conclusione trova la propria giustificazione a causa della mancanza della data iniziale e di ultimazione dei lavori e della determinazione del contributo di costruzione, che, a norma della L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 4, comma 3, e art. 11, comma 2, costituiscono requisiti essenziali del provvedimento concessorio.

Certo che la L. n. 10 del 1977 è entrata in vigore (giusta la previsione di cui all’art. 22 della stessa) il giorno successivo a quello della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, avvenuta il 29 gennaio 1977 e non controverso che nella specie – come accertato da parte dei giudici del merito e in alcun modo contestato dal ricorrente – il parere favorevole della Commissione Edilizia era stato reso nella seduta del 9 dicembre 1976, è di palmare evidenza la inapplicabilità del principio di diritto invocato dal ricorrente al fine del presente giudizio.

3.2. Come assolutamente pacifico, in dottrina come in giurisprudenza, anche con riguardo alla previgente disciplina l’atto amministrativo che rimuove l’ostacolo all’esercizio dello ius aedificandi si identifica con la licenza edilizia, mentre devono considerarsi atti preparatori gli atti anteriori, ivi compreso il parere espresso dalla commissione edilizia (Cfr. Cass. 30 giugno 1969, n. 2380).

Pacifico quanto sopra e non controverso – come del resto accertato da questa Corte nella pronunzia che ha dato luogo al rinvio – che il parere favorevole della Commissione edilizia, che presupponeva la presentazione di un progetto edilizio, dimostrava la concreta intenzione di volere edificare l’area in discussione da parte del proprietario, correttamente i giudici del merito hanno ritenuto sufficiente il suo rilascio per presumere che alla stessa sarebbe seguito il rilascio della licenza edilizia, qualora il fondo non fosse stato senza titolo occupato dall’odierno ricorrente e dal suo genitore.

In realtà, dovendosi presumere – secondo l’id quod plerumque accidit sulla base della previgente normativa, come accennato e come puntualmente evidenziato dai giudici a quibus – che al rilascio del parere della Commissione edilizia sarebbe seguito anche il rilascio della licenza edilizia, era onere dell’odierno ricorrente – stante il punto cui era arrivata la procedura di rilascio della licenza – dedurre e dimostrare che il progetto, a suo tempo presentato, non avrebbe potuto conseguire il rilascio della licenza edilizia, anche qualora nelle more non fosse mutato il piano regolatore.

4. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 2043 e 2056 c.c. e art. 112 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per avere la Corte di merito ritenuto che la mancata realizzazione del fabbricato oggetto della pratica edilizia 190/76 fosse causalmente imputabile all’occupazione del ricorrente, senza, peraltro, pronunciare sull’eccezione sollevata in senso contrario dallo stesso e, comunque, senza motivare sulle univoche risultanze istruttorie che smentivano tale assunto, atteso che i giudici del merito non hanno tenuto presente l’eccezione – sempre formulata da esso concludente – quanto alla inesistenza di un nesso di causalità tra la mancata costruzione e la denunciata occupazione, avendo riguardato, quest’ultima, solo una piccola parte dell’area di proprietà dei sigg. B. e S.. Ciò che non impediva a costoro se solo lo avessero voluto, di procedere alla realizzazione del progetto, se solo la commissione edilizia aveva espresso parere favorevole.

5. Il motivo è, per un verso, inammissibile, per altro, manifestamente infondato.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

5. 1. Come noto, allorchè si denunzia – sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 – la non corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato con conseguente nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 c.p.c., è onere del ricorrente precisare, in termini non equivoci, nello stesso ricorso, non solo la statuizione resa dal giudice del merito censurata (nella specie: la omessa pronunzia su una eccezione sviluppata sin dal primo grado, quanto alla superficie del terreno di proprietà di controparte occupato senza titolo da esso concludente) ma anche quale sia stata la domanda o eccezione introdotta in causa nel rispetto delle regole del contraddittorio e sulla quale il giudice del merito non ha pronunziato o, alternativamente, le ragioni per cui quel giudice ha pronunziato su domanda o eccezione mai ritualmente introdotta in causa (cfr., tra le tantissime, Cass. 14 ottobre 2010, n. 21226;

Cass. 30 aprile 2010, n. 10605; Cass. 19 marzo 2007, n. 6361).

Pacifico quanto precede si osserva la difesa del ricorrente, pur assumendo che nel costituirsi in giudizio, in primo grado, aveva eccepito che l’occupazione senza titolo aveva riguardato unicamente una porzione del terreno di proprietà delle controparti (trascrivendo in ricorso le deduzioni istruttorie a sostegno di una tale eccezione), ha omesso di trascrivere, in ricorso, i termini con cui aveva sottoposto – ai sensi dell’art. 346 c.p.c. – la medesima eccezione al giudice di appello limitandosi a riferire, in termini del tutto apodittici (e secondo la propria, soggettiva, interpretazione dell’atto di costituzione in causa in grado di appello) di avere eccepito l’inesistenza sia di un danno sia di un rapporto causale con il comportamento proprio e del defunto padre, per le medesime ragioni in fatto e diritto già dedotte in giudizio di primo grado (ricorso per cassazione, p. 14-15).

Atteso che perchè possa dirsi rispettato il precetto di cui all’art. 346 c.p.c. non è sufficiente il generico riferimento a tutte le argomentazioni difensive prospettate in primo grado (cfr. Cass. 20 ottobre 2010, n. 21506) essendo la parte totalmente vittoriosa in primo grado tenuta a riproporre le eccezioni e le questioni in quella sede superate o assorbite espressamente nel nuovo giudizio in modo chiaro e preciso, tale da manifestare in forma non equivoca (Cass. 11 giugno 2010, n. 14086) è evidente – a fronte dei termini con cui il ricorrente ha formulato la censura – la inammissibilità del motivo.

Il ricorrente, infatti, pur indicando (peraltro tardivamente, atteso che tali precisazioni sono rinvenibili unicamente nella memoria ex art. 378 c.p.c. e non nel ricorso (cfr. Cass. 4 novembre 2005, n. 21379; Cass. 7 aprile 2005, n. 7260)) in quale punto degli scritti difensivi depositati nel giudizio di merito aveva riproposto all’attenzione del giudice di appello le eccezioni non esaminate in primo grado perchè assorbite, non ha trascritto, in ricorso, quali fosse il contenuto di tali eccezioni.

E’ evidente, pertanto, che dalla sola lettura del ricorso questa Corte non è in grado di apprezzare la censura (cfr. Cass. 19 ottobre 2006, n. 22385; Cass. 18 maggio 2006, n. 11653, nonchè – tra le tantissime – nel senso che dal contesto del ricorso, ossia, solo dalla lettura di tale atto ed escluso l’esame di ogni altro documento, compresa la stessa sentenza impugnata – sia possibile desumere una conoscenza del fatto, sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo, Cass. 3 febbraio 2004, n. 1959).

5. 2. Anche a prescindere da quanto precede, comunque, si osserva – come già anticipato – che la deduzione è manifestamente infondata.

Pacifico che non si è mai dubitato nelle pregresse fasi di questo giudizio e, soprattutto, nel giudizio di Cassazione conclusosi con la sentenza 15 novembre 2002, n. 16096 che la sentenza 20 giugno – 31 luglio 1980 del tribunale di Busto Arsizio, sezione specializzata agraria, resa tra le stesse parti, sia passata in giudicato (la, circostanza, del resto pare incontroversa anche nella stessa narrativa dei fatti di causa compiuta dallo stesso ricorrente (cfr.

p. 3 del ricorso)) sì che è irrilevante che la copia in atti nel fascicolo di parte contro ricorrente possa essere priva dell’attestato di cancelleria dell’avvenuto passaggio in giudicato (cfr. Cass. 2 aprile 2008 n. 8478), si osserva che detta sentenza:

– nella parte dispositiva ha condannato P.D. e G. all’immediato rilascio del fondo posto in Saronno via Fiume n. 28 di cui al mappale n. 111 sezione censuario di Uboldo…;

– in quella motiva, ha accertato che il possesso del fondo (da parte dei P.) ostacola l’esercizio delle facoltà dei proprietari del fondo quale quello di recingere e chiudere il fondo.

Certo quanto sopra è evidente che con la sentenza in questione era stato accertato – con efficacia di giudicato – che i P. avevano occupato tutto il fondo in discussione e non solo parte di esso (e comunque, avevano impedito ai proprietari l’esercizio delle loro facoltà, tra cui la possibilità di edificare il terreno).

6. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta, ancora, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, con riferimento al criterio seguito dalla Corte di merito per la liquidazione del danno derivante della mancata edificazione dell’opera progettata dai sigg. B. e S..

Assume parte ricorrente che la Corte territoriale, dopo aver erroneamente riconosciuto agli attori un danno per la mancata costruzione del fabbricato progettato nel 1976, procede alla relativa liquidazione, affermando che “il danno per perdita di possibilità edificatoria e por maggiori costi di costruzione a causa dell’occupazione senza titolo da parte dei P. fino al 16 febbraio 1981 va liquidato nel volume edificabile perduto stimato in base alla differenza fra il costo di costruzione del 1981 (L. 528.000/mq: pag. 15 ctu) e il costo di costruzione al 1976 (Euro 179.138/mq pag 13 ctu) previa la trasformazione in superficie ed ammonta a Euro 119.884,00 (mc 2000 = mq 666 x L. 348.862 = L. 232.312 = Euro 119.994,00 (terzo motivo).

In realtà, oppone parte ricorrente, il consulente in primo grado aveva affermato che l’utile netto imprenditoriale immobiliare retraibile da imprenditore di media capacità, con mezzi ordinari, sull’investimento non realizzato, rappresenta il danno o ammontare delle perdite subite liquidando in L. 26.851.800 la perdita teorica subita dagli attori riferita all’epoca considerata e la Corte sì è discostata da tali criteri, con conseguente vizio di motivazione.

7. L’assunto è manifestamente infondato.

Come puntualmente evidenziato dai giudici di secondo grado (che, pertanto, hanno adeguatamente motivato il proprio dissenso, rispetto alle valutazioni del ctu) e come assolutamente pacifico in causa, è certo che gli odierni controricorrenti lungi dall’acquistare l’area per cui è discussione allo scopo di realizzarvi una costruzione e, successivamente, vendere quest’ultima – e di lucrare la differenza tra il prezzo ricavato dalla vendita (meno costo dell’area più costo della costruzione) come è proprio di un imprenditore immobiliare – hanno acquistato il terreno in discussione per realizzare una costruzione da utilizzarsi direttamente dal B..

E’ palese, pertanto, la assoluta non riferibilità alla fattispecie – al fine di quantificare il danno patito dal B. e dalla S. a causa dell’illecita condotta dei P. – dei criteri indicati dal ctu e puntualmente riportati dal ricorrente.

Essendo, infatti, il pregiudizio costituito, dalla circostanza, da un lato, che è stato possibile realizzare una costruzione avente una minore cubatura, dall’altro, che la costruzione è stata realizzata a costi notevolmente superiori a quelli che sarebbero stati affrontati ove l’immobile fosse stato costruito nel 1976, è evidente che correttamente è stato seguito, dai giudici di merito, un diverso criterio, nella quantificazione dei danni in discussione.

8. La Suprema Corte – hanno osservato i giudici del rinvio – nella sua pronuncia di cassazione e rinvio chiede a questo collegio di riesaminare le ragioni per le quali è stato negate il risarcimento dei c.d. danni minori.

Al riguardo – hanno precisato quei giudici – effettivamente devono ritenersi causalmente collegate al possesso senza titolo (del terreno per cui è controversia) da parte dei P.:

– le somme spese subito dopo il rilascio del terreno per riedificare la recinzione che non sarebbe stata demolita ove i P. non avessero occupato senza titolo e chiesto e ottenuto la tutela di tale situazione in via cautelare;

– la maggiore imposta di registro di L. 2.422.500 da ritenersi pagata in ottemperanza dell’avviso di liquidazione di cui al doc. 24 per mancata edificazione nei termini della c.d. Legge Tupini.

Per tali esborsi – hanno concluso i giudici del rinvio – i B. devono essere indennizzate per un ammontare che, in moneta attuale, si liquida in Euro 3270,46. importo che va aumentato della rivalutazione monetaria dalla cessazione del fatto illecito (14 febbraio 1981) a oggi e degli interessi al tasso legale sul capitale devalutato al 16 febbraio 1981 e poi di anno in anno rivalutato sino a oggi, oltre gli interessi legali da oggi al saldo.

8. Il ricorrente censura nella parte de qua la sentenza impugnata denunziando:

– da un lato, violazione e falsa applicazione degli artt. 1221, 1223, 2043 e 2056 c.c. e art. 112 c.p.c., nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, per aver la Corte di merito riconosciuto ai sigg. B. il diritto al risarcimento del danno per la maggiore imposta di registro versata a seguito della mancata edificazione dell’opera progettata nei termini della c.d. Legge Tupini (quarto motivo);

– dall’altro violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1221, 2043 e 2056 c.c. e art. 392 c.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per aver la Corte di merito riconosciuto ai sigg. B. e S. il diritto al risarcimento del danno per le spese di ricostruzione della recinzione in precedenza abbattuta in esecuzione del provvedimento possessorio del Pretore di Saronno (quinto motivo).

8.1. Con il quarto motivo il ricorrente evidenzia che erronea appare la statuizione della gravata sentenza laddove ha condannato il ricorrente a rifondere agli attori la maggior imposta di registro da questi versata per aver lasciato scadere i termini della c.d. Legge Tupini, senza iniziare i lavori della progettata edificazione, atteso che la valutazione delle risultanze processuali totalmente omessa dall’impugnata sentenza esclude che l’occupazione di una sola parte del terreno ad opera del ricorrente potesse impedire agli attori di procedere alla progettata edificazione. Questi, alla luce delle decisive risultanze istruttorie (totalmente ignorate dalla Corte territoriale) avrebbero potuto, infatti, richiedere la licenza/concessione edilizia ed iniziare i lavori, senza incorrere in alcuna decadenza dai termini della Legge Tupini.

8. 2. Il motivo non può trovare accoglimento.

Sia perchè inammissibile, sia perchè il suo rigetto deriva dal rigetto del secondo motivo di ricorso.

Quanto al primo profilo (inammissibilità) si osserva che il ricorrente omette di indicare in quale occasione, in grado di appello aveva sottoposto – ex art. 346 c.p.c. – al vaglio dei giudici di merito l’eccezione che esso concludente avrebbe occupato solo parzialmente il terreno per cui è causa, sia perchè denunzia omessa insufficiente o contraddittoria motivazione della sentenza impugnata senza specificare quali siano i passaggi affetti dai singoli vizi lamentati e senza nulla precisare al riguardo.

Quanto al secondo profilo (assorbimento del motivo) è evidente che accertato, come si è accertato in sede di esame del secondo motivo, che correttamente i giudici del merito hanno ritenuto la responsabilità del P. per avere lo stesso occupato – per la totalità -il fondo in discussione è evidente che correttamente i giudici del merito hanno ritenuto che la maggior imposta di registro è stata corrisposta dal contro ricorrente proprio per non aver potuto beneficiare delle agevolazioni della c.d. Legge Tupini, essendo stato impedito dai P. di realizzare la nuova costruzione nei termini previsti da tale ultima legge.

8.3. Con il quinto motivo il ricorrente si duole -come anticipato – che la sentenza gravata ha considerato come danno risarcibile ex art. 2043 c.c. le somme spese subito dopo il rilascio del terreno per riedificare la recinzione che non sarebbe stata demolita ove i P. non avessero occupato senza titolo e chiesto e ottenuto la tutela di tale situazione in via cautelare (recte, in via possessoria), osservando che la Corte territoriale finisce così per legittimare l’arbitrario esercizio delle proprie ragioni compiuto dai sigg. B. e giustamente sanzionato dal Pretore di Saronno.

8. 4. L’assunto è manifestamente infondato.

In termini opposti, rispetto a quanto – del tutto apoditticamente – invoca la difesa dell’odierno ricorrente, la circostanza che nella specie il pretore di Saronno abbia disposto la reintegrazione dei P. nel possesso del fondo in questione non esclude la responsabilità dei detti P. per i danni cagionati a terzi.

I P., infatti, nel dare esecuzione al provvedimento di reintegra in discussione hanno accettato il rischio di dover risarcire il danno causato dalla sua esecuzione nella eventualità – poi in concreto verificatasi – che fosse definitivamente accertata inesistente il diritto a tutela del quale il provvedimento era stato chiesto.

Poichè nella specie non solo il provvedimento possessorio non venne mai confermato nel successivo giudizio di merito, che venne dichiarato estinto con conseguente inefficacia del provvedimento stesso ai sensi dell’art. 310 c.p.c., comma 2, ma in un successivo giudizio (quello innanzi al tribunale di Busto Arsizio, conclusosi con sentenza 31 luglio 1980) è stato accertato che i P. non avevano alcun titolo che li legittimasse alla detenzione del fondo per cui è controversia, è palese che anche per tale profilo la censura non può trovare accoglimento.

9. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso, in conclusione, deve rigettarsi, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 200,00 oltre Euro 5.000,00 per onorari e oltre spese generali e accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 3^ sezione Civile della Corte di Cassazione, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2011

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