Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4253 del 22/02/2010

Cassazione civile sez. II, 22/02/2010, (ud. 25/01/2010, dep. 22/02/2010), n.4253

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. PEITTI Stefano – Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 2163-2005 proposto da:

CURCI FRANCESCO & C SAS, in persona del socio accomandatario

sig.

C.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE MAZZINI

6, presso lo studio dell’avvocato MACRO RENATO, rappresentato e

difeso dall’avvocato DE ZIO GIUSEPPE;

– ricorrenti –

e contro

C.C., (OMISSIS), CU.FR.

(OMISSIS), CU.FI. (OMISSIS);

– intimati –

avverso la sentenza n. 1243/2003 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 22/12/2003;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/01/2010 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUCCI Costantino, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato in data 27.02.91 la sas CALZATURIFICIO DEL LEVANTE di Francesco CURCI & C. (ora CURCIO Francesco & C. sas) citava in giudizio avanti al tribunale di Trani le sorelle Fr., C. e CU.Fi., chiedendo che fosse dichiarato di proprietà esclusiva della società il cortile interno al fabbricato sito in (OMISSIS) tra le vie (OMISSIS) e (OMISSIS), nei cui ambito erano ubicati anche gli appartamenti delle convenute e conseguentemente che le medesime non avessero diritto all’uso ed all’utilizzo del cortile stesso. Le sig.re C. si costituivano in giudizio opponendosi alla domanda attrice e chiedendo in via riconvenzionale che fosse accertato che il cortile de quo era parte comune dell’edificio e quindi apparteneva a loro in comproprietà; in subordine, che la comproprietà dell’area stessa era stata da esse acquisita per usucapione ex art. 1158 o 1159 c.c.. Nel corso di causa, le convenute chiedevano che il giudice adito dichiarasse comunque asservite all’edificio condominiale con vincolo di destinazione permanente a parcheggio L. n. 765 del 1967, ex art. 18, le aree come individuate dal C.T.U. ordinando alla società attrice la demolizione di quanto aveva ivi posto o edificato.

Il tribunale di Trani, con sentenza del 10 – 20.04.2000 accoglieva la domanda del Calzaturificio Del Levante e rigettava tutte le domande riconvenzionali avanzate dalle convenute, che condannava al pagamento delle spese processuali.

Avverso tale decisione proponevano appello le sorelle C. chiedendo il rigetto della domanda attrice e l’accoglimento della domande riconvenzionali da loro spiegate. Resisteva la società instando per il rigetto dell’appello e in modo particolare per la declaratoria d’inammissibilità della domanda relativa all’asservimento a parcheggio dell’area cortilizia.

La Corte d’Appello di BARI, con la sentenza n. 1243/03 in data 22.12.2003 in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava che le aree previste nella variante di progetto approvata dal Comune di Trani l’8.8.69 e “come individuate dalla relazione del C.T.U.” erano asservite a parcheggio a servizio delle porzioni immobiliari del fabbricato sito in (OMISSIS) tra via (OMISSIS) e via (OMISSIS) (già via (OMISSIS)); con compensazione delle spese del doppio grado.

Riteneva in specie la Corte che tale domanda era ammissibile non potendo ritenersi domanda nuova e/o tardivamente proposta.

La società CURCIO Francesco & C. sas ricorre per la cassazione di tale pronuncia, sulla base di n. 6 censure, illustrate da memoria ex art. 378 c.p.c.; le intimate non hanno svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo del ricorso, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 100 c.p.c., la L. n. 765 del 1967, art. 18 e degli artt. 817, 818 e 819 c.c.. Sostiene che la L. n. 765 del 1967, art. 18, prevedendo il vincolo a parcheggio di una certa quota delle aree edificate, si rivolge solo all’originario costruttore dell’intero complesso che nella fattispecie era C.O. (dante causa della Società e padre delle C.) per cui solo costui era tenuto a destinare a parcheggio le aree in questione; solo questi pertanto – e non la società attrice – sarebbe stato legittimato passivamente a resistere alle pretese delle convenute.

Osserva il Collegio che la suddetta censura è inammissibile in quanto si fonda su di una questione di fatto del tutto nuova (la costruzione ad opera di C.O.), mai proposta nei precedenti gradi del giudizio. Trattasi peraltro di questione irrilevante, atteso che destinatario dell’obbligo di cui all’art. 18 cit., e quindi legittimato passivo in ordine al riconoscimento de diritto all’uso, è il proprietario dell’area edificabile che se ne è riservata la proprietà esclusiva e non chi in base a rapporti obbligatori con lo stesso, abbia materialmente realizzato la costruzione.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione degli artt. 183 e 112 c.p.c. e dell’art. 2909 c.c. “essendosi costituito il giudicato rispetto al rigetto de “l’uso dei due specifici percorsi d’accesso” … nonchè dell’art. 132 c.p.c. e art. 118 disp. att. c.p.c.; erronea applicazione della L. n. 765 del 1967, art. 41 sexies, nella parte in cui si indicano i criteri di determinazione dell’area …”.

Si sostiene con tale censura che la Corte di merito ha accolto una domanda nuova, su cui era stato ricusato il contraddicono, quale quella relativa all’asservimento a parcheggio a servizio delle porzioni immobiliari de fabbricato L. n. 765 del 1967, ex art. 41 sexies; invero con riferimento alle domande originariamente proposte dalle convenute, era evidente il mutamento della causa petendi con riguardo alla dedotta inosservanza della norma citata; essa comportava inoltre ” l’introduzione di un diritto qualitativamente e quantitativamente diverso perchè una cosa era reclamare la comproprietà dell’intero cortile “in forza di titoli di vendita posti in essere a loro favore da C.O.” … ed altra cosa era quella di richiedere che una zona singola, ben definita, di uso esclusivo venisse destinata in via perenne (ed in misura percentuale rispetto al volume di ciascuna unità immobiliare) al fabbricato condominiale.”.

La censura non è fondata. Invero, come ha correttamente ritenuto il giudice a quo, la domanda in esame, non può ritenersi domanda nuova, rispetto alle più ampie, originarie domande delle convenute aventi ad oggetto la comproprietà dell’area, nelle quali in definitiva doveva ritenersi compresa la domanda volta a costituire su di essa un limitato vincolo di destinazione; trattasi pertanto di emendatio, non di mutatio libelli. Secondo la giurisprudenza di questa S.C. (richiamata anche nella sentenza impugnata) “la domanda di accertamento del diritto reale di uso dell’area destinata a condominiale ai sensi della L. 17 agosto 1942, n. 1150, art. 41 sexies (nel testo novellato dalla L. 6 agosto 1967, n. 765) e della L. 28 febbraio 1975, n. 47, art. 26, comma 5, non è nuova rispetto alla domanda di accertamento del diritto di comproprietà originariamente proposta dalla parte, quale proprietaria di una unità abitativa dell’edificio, perchè non altera radicalmente il petitum di tale domanda, il cui oggetto mediato (l’area condominiale destinata a parcheggio) rimane comunque inalterato, ma lo modifica soltanto, adeguandolo in una direzione più idonea a legittimare la concreta attribuzione del bene materiale che ne è oggetto (Cass. n. 7155 del 23/06/1995).

Inoltre la società ricorrente critica la sentenza impugnata nella parte in cui richiama la relazione peritale quale “parte integrante” di essa, non ritenendo corrette le conclusioni cui era giunto il C.T.U.. Ritiene infatti che “l’allegazione impropria di una tale perizia – espletata… dopo ventidue anni dalla costruzione – .farebbe passare in giudicato anche accertamenti non mai discussi, situazione nemmeno adombrate negli scritti difensivi della controparte …”. Deduce pertanto che ove anche gli altri proprietari di unità immobiliari dovessero” far valere il loro diritto d’uso, la superficie effettivamente disponibile non sarebbe più sufficiente, per cui si porrebbe il problema di come ridurre le porzioni.

Anche tale motivo è inammissibile, essendo evidente il difetto d’interesse della ricorrente. D’altra parte non è inutile osservare al riguardo che eventuali diritti d’uso spettanti originariamente a terzi si sarebbero nel frattempo prescritti per non uso.

Con il 3^ ed il 4^ motivo del ricorso, la società esponente denunzia la violazione degli artt. 2934 e 1159 c.c., l’art. 1051 c.c..

Ribadisce l’avvenuta prescrizione del diritto sull’area destinata a parcheggio da parte delle convenute per mancato esercizio; sostiene che ai contrario era stato il Calzaturificio a godere dell’uso della cosa per oltre vent’anni e cum animo rem sibi habendi. Rileva ancora che nel godimento dell’area le sorelle C. non avevano agito “nella consapevolezza di un loro diritto – e con i requisiti del possesso – ma precariamente, ed in via episodica, depositando qualche volta le loro autovetture per la benevolenza e la tolleranza dimostrate dal fratello amministratore della società.”.

La doglianza non è fondata. La questione relativa alla prescrizione è stata eccepita, ma la Corte d’Appello l’ha esclusa con una motivazione contro la quale però la ricorrente non ha svolto alcuna specifica censura. In particolare appare apodittica l’affermazione che il parcheggio sarebbe avvenuto in via di tolleranza, deduzione peraltro che non risulta mai proposta in precedenza.

Con il 5^ motivo del ricorso, infine, la ricorrente deduce la violazione della L. n. 765 del 1967, art. 41 sexies, della L. n. 47 del 1985, art. 26; degli artt. 1418 e 1362 c.c., artt. 2934 e 1374 c.c. e art. 111 c.p.c.. Rileva che …”il riconoscimento di una zona destinata al parcheggio può avvenire soltanto a favore delle proprietario di una delle unità immobiliari comprese nel fabbricato per cui tenendo conto delle esclusioni contenute negli atti di vendita non può legittimamente ritenersi come dice la Corte d’Appello, che ai sensi dell’art. 111 c.p.c., in caso di trasferimento dei diritti per atto tra vivi a titolo particolare nel corso del processo, questo prosegue comunque tra le parti originarie.” La Corte d’Appello non avrebbe poi considerato che “la successione avveniva rispetto all’acquisto del bene appartamento, ma non anche rispetto la zona parcheggio inesistente nell’atto in cui o il terzo doveva intervenire nell’atto facendo propria la domanda, oppure questa andava rigettata in quanto le C. non erano più proprietarie ai momento della rivendita degli appartamenti”. Pertanto “non avendo trasferito all’acquirente l’azione relativa al parcheggio, le signore C., allo stato, dovevano ritenersi carenti di legittimazione”, “legittimazione che deve sussistere sino al momento della decisione”.

Anche tale doglianza non appare fondata. Risulta infatti che Cu.Fr. ha venduto la propria unità immobiliare nel 1997; C.C. nel 2003 e nel 2002. Cu.Fi. nel 1995, mentre il giudizio è stato instaurato nel 1991: pertanto il giudizio stesso è correttamente proseguito tra le parti originarie ai sensi dell’art. 111 c.p.c.. Peraltro la dichiarazione contenuta negli atti di vendita, si riferiva, secondo la sentenza impugnata, alla condominialità de cortile e non all’asservimento L. n. 765 del 1967, ex art. 18 e sul punto non vi è censura.

Rileva infine la ricorrente che la Corte d’Appello “avendo asservito l’area a favore delle unità immobiliari di proprietà delle signore … C., non ne aveva definito la superficie proporzionale loro spettante individualmente nè precisato il prezzo dovuto”. Trattasi di questione del tutto nuova, come tale inammissibile.

Conclusivamente i ricorso dev’essere rigettato; nulla per spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2010

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