Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4251 del 22/02/2010

Cassazione civile sez. II, 22/02/2010, (ud. 22/01/2010, dep. 22/02/2010), n.4251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MENSITIERI Alfredo – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ITALCHIMICI s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via Giuseppe Avezzana n. 2, presso

lo studio dell’Avvocato Serapio Deroma, dal quale è rappresentata e

difesa, unitamente all’Avvocato Martone Michel, per procura speciale

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.A., elettivamente domiciliata in Roma, via Attilio

Regolo n. 12/d presso lo studio dell’Avvocato Zacchia Riccardo, dal

quale è rappresentata e difesa per procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

nonchè nei confronti di:

B.F., elettivamente domiciliato in Roma, via Oslavia

n. 30, presso lo studio dell’Avvocato Dente Alberto, dal quale è

rappresentato e difeso per procura speciale a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

e di

P.M.;

– intimato –

nonchè sul ricorso R.G. n. 5606/09 proposto da:

B.F., elettivamente domiciliato in Roma, via Oslavia

n. 30, presso lo studio dell’Avvocato Alberto Dente, dal quale è

rappresentato e difeso per procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.A., elettivamente domiciliata in Roma, via Attilio

Regolo n. 12/d presso lo studio dell’Avvocato Riccardo Zacchia, dal

quale è rappresentata e difesa per procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e nei confronti di:

ITALCHIMICI s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

e di

P.M.;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 4429 del 2008,

depositata in data 30 ottobre 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 22

gennaio 2010 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentiti, per la ricorrente principale, gli Avvocati Serapio Deroma e

Michel Martone, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

sentito, per la contro ricorrente, l’Avvocato Riccardo Zacchia, che

ha chiesto il rigetto dei ricorsi;

sentito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

Leccisi Giampaolo, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza n. 10669 del 2005, il Tribunale di Roma condannava Italchimici s.p.a. a pagare a B.F. la somma di Euro 2.417.663,76, con interessi legali dal 10 agosto 1988, a titolo di corrispettivo della cessione di 300 azioni Italchimici alla Fisons Farmaceutici s.p.a. (che aveva incorporato Italchimici assumendo poi la denominazione della incorporata); respingeva la domanda di risarcimento danni ex art. 96 cod. proc. civ. proposta contro la B.; dichiarava improcedibili le domande proposte dal chiamato in causa B.F. nei confronti della figlia A., volte ad sentir dichiarare e accertare la simulazione assoluta dell’atto con il quale aveva ceduto alla figlia A. le 300 azioni oggetto della cessione ovvero, in subordine, l’avvenuta retrocessione delle stesse azioni in forza di atto in data 30 settembre 1987, ovvero ancora, in ulteriore subordine, la nullità della scrittura di cessione, ove il negozio fosse stato ritenuto dissimulante una donazione, per difetto della forma prescritta;

condannava B.F. a rifondere a Italchimici s.p.a. le somme che questa avrebbe versato ad B.A. in esecuzione della sentenza.

2. Avverso tale sentenza proponevano distinti atti di appello Italchimici s.p.a. e B.F.; B.A. resisteva ad entrambi i gravami; nei giudizi riuniti interveniva P. M., marito della B..

3. La Corte d’appello, con sentenza depositata il 30 ottobre 2008, dichiarava inammissibile l’intervento del P.; dichiarava altresì inammissibile la querela di falso proposta dai coniugi B.- P. in relazione ad una dichiarazione del notaio Gilardoni prodotta da Italchimici, e rigettava entrambi gli appelli.

4. La Corte riteneva innanzitutto insussistenti i presupposti che, ai sensi dell’art. 344 cod. proc. civ., rendono ammissibile l’intervento in appello.

5. Riteneva poi infondato il motivo di gravame con il quale B. F. si doleva della dichiarazione di improcedibilità di tutte le domande riconvenzionali da lui proposte in primo grado. In proposito, la Corte d’appello rilevava che il B. aveva già proposto tutte quelle domande in un separato giudizio nei confronti della figlia e che la sentenza resa in tale giudizio – la cui pendenza aveva dato luogo alla sospensione del processo introdotto da B.A. nei confronti di Italchimici s.p.a. – aveva avuto ad oggetto non solo la domanda di simulazione assoluta della intestazione delle 300 azioni Italchimici in capo alla figlia A., come sostenuto dall’appellante incidentale, ma tutte le altre domande in quel giudizio introdotte, ad eccezione della domanda di nullità, sulla quale, peraltro, la Corte d’appello, con sentenza n. 1080 del 2002, si era poi pronunciata ritenendo che la cessione senza corrispettivo integrasse una donazione indiretta in favore della figlia. Inoltre, osservava conclusivamente la Corte d’appello, nel proporre ricorso per cassazione avverso detta sentenza, B. F. nulla aveva dedotto in ordine alla esclusione della lamentata nullità, sicchè doveva ritenersi che tutti i profili dedotti dal B. allo scopo di affermare la sua proprietà delle azioni Italchimici, erano stati valutati e respinti nel giudizio conclusosi con sentenza della Corte di cassazione n. 19727 del 2003.

6. Con riferimento all’appello principale di Italchimici s.p.a., la Corte d’appello rilevava che l’appellante non aveva mai contestato che le azioni fossero di B.A., nè l’avvenuto acquisto di tali titoli, essendosi l’appellante opposta alla domanda di pagamento avanzata dalla B. sostenendo di avere integralmente pagato il prezzo contestualmente al trasferimento dei titoli, tramite versamento a B.F., procuratore speciale della venditrice, il quale aveva concluso la cessione in data 10 ottobre 1988 avvalendosi dei poteri a lui conferiti.

La Corte d’appello rilevava poi che il Tribunale aveva ritenuto che Italchimici non avesse fornito la prova del pagamento, non risultando che B.F., chiamato in causa dalla società, avesse rilasciato quietanza al momento della compravendita quale mandatario della figlia, e non potendo allo scopo valere la mera dichiarazione di avere ricevuto la somma pattuita rilasciata dal medesimo B. in corso di causa.

Ciò premesso, la Corte prendeva in esame i primi tre motivi dell’appello principale, con i quali Italchimici s.p.a. sosteneva che il primo giudice avrebbe errato nella interpretazione della chiamata in causa del B., ritenuta consistere in una chiamata in garanzia e non in una integrazione del contraddittorio per litisconsorzio necessario alternativo per comunanza di causa, in quanto con la chiamata di B.F. essa appellante aveva inteso declinare la propria legittimazione passiva, legittimato essendo il B. che aveva ricevuto il pagamento. Il Tribunale, ad avviso dell’appellante, avrebbe quindi errato a non ritenere estesa la domanda attrice anche al chiamato in causa e nel tenere separati i due rapporti fra le parti del processo. Poichè poi il terzo aveva confessato l’avvenuto pagamento del prezzo, essa appellante non avrebbe avuto null’altro da provare. In ogni caso, l’appellante sosteneva che il B., contestualmente alla cessione, aveva rilasciato quietanza del pagamento, precisando che peraltro tale atto era stato rubato nella notte tra il 26 e il 27 giugno 1991, pur se di tale sottrazione non era stata sporta denuncia, non avendo mai il B. contestato l’avvenuta riscossione della somma e ritenendo che fosse intervenuta una confessione stragiudiziale da parte di B.A. la quale, sul presupposto che il padre avesse ricevuto il pagamento delle sue azioni, gli aveva chiesto il rendiconto.

In proposito, la Corte d’appello rilevava che nè nella comparsa di costituzione in primo grado, nè nell’atto di citazione notificato al B., Italchimici aveva mai negato la propria legittimazione a contraddire alla domanda di B.A., nè aveva esplicitato le ragioni della chiamata, in senso diverso da quello, allora affermato, di richiesta di manleva in ordine al pagamento della somma che sarebbe stata determinata in corso del giudizio in favore di B.A.. Peraltro, osservava la Corte d’appello, le ragioni addotte dall’appellante quanto alla qualificazione della chiamata in causa, avrebbero potuto avere un senso solo se la medesima appellante avesse dimostrato il fatto di avere adempiuto; ma tale circostanza, come ritenuto dal primo giudice, non era stata provata e la prova non poteva essere offerta in grado di appello attraverso le dichiarazioni del B..

La Corte riteneva invero assai singolare che Italchimici non fosse stata in grado di produrre alcuna prova scritta dell’avvenuto pagamento della ingente somma che assumeva di avere versato alla B. per il tramite del suo procuratore. Le spiegazioni offerte per dare conto della mancata denuncia della quietanza a firma di B.F. erano poi del tutto inappaganti e poco plausibili. Nè alla appellante principale poteva giovare la pretesa confessione stragiudiziale della attrice B.A., dal momento che dalla lettura dell’atto non emergeva alcuna volontà di fare dichiarazioni in ordine a fatti noti alla dichiarante e a lei sfavorevoli, risultando invece che la stessa, essendo venuta a conoscenza della conclusione e delle modalità della vendita e preso atto che il padre, nella causa pregiudiziale, aveva dichiarato che le azioni erano da lui state vendute a terzi in forza della procura conferitagli, aveva chiesto al padre di rendere il conto del suo operato, ma certamente non avrebbe potuto confessare la verità di fatti a cui non aveva partecipato e di cui aveva avuto notizia dalle controparti.

Quanto alle dedotte dichiarazioni confessorie di B.F., la Corte rilevava che le stesse, rese dopo l’inizio del giudizio e in patente conflitto di interessi con la figlia, non erano opponibili ad B.A., la quale in data 30 novembre 1994 aveva revocato la procura al padre. In ogni caso, alle affermazioni contenute nella comparsa di costituzione in primo grado del B. non poteva riconoscersi, contrariamente a quanto sostenuto dall’appellante, valore confessorio, mentre la quietanza in data 17 febbraio 1999, alla quale peraltro nel corso del giudizio di primo grado nessuno aveva fatto riferimento, non poteva essere presa in considerazione per la tardività della sua produzione.

7. In conclusione, la Corte d’appello confermava quanto già ritenuto dal Tribunale circa la mancanza di prova del pagamento del prezzo da parte di Italchimici e circa il diritto della B. di ricevere il corrispettivo della vendita delle azioni nella misura non contestata dall’appellante. Infondato era altresì il motivo con il quale l’appellante aveva censurato la sentenza impugnata per avere riconosciuto la decorrenza degli interessi legali sulla somma dovuta dalla data di cessione delle azioni e non anche dalla domanda.

8. Con riferimento all’appello proposto da B.F., la Corte d’appello rilevava innanzitutto che non vi era alcuna censura relativamente alla condanna di esso appellante a tenere indenne Italchimici di quanto questa avrebbe dovuto pagare ad B. A.. La Corte riteneva poi inammissibili i motivi di appello che riproponevano questioni già definite nel giudizio pregiudicante ovvero che introducevano deduzioni nuove e infondati quelli relativi alla prova dell’avvenuto pagamento.

Ad avviso della Corte territoriale era inammissibile il quarto motivo di appello, con il quale B.F. aveva lamentato una contraddizione nella sentenza di primo grado che, da un lato, aveva ritenuto il mancato pagamento del prezzo da parte di Italchimici in favore di A. e, dall’altra, lo avrebbe ritenuto sussistente nei suoi confronti. In proposito, la Corte osservava che la censura atteneva ad una possibile riforma della statuizione in ordine alla manleva, e cioè di un capo di sentenza che non era stato impugnato.

La Corte rigettava infine il quinto motivo di appello, concernente la decorrenza degli interessi, rilevando che la condanna al pagamento degli interessi era stata pronunciata in relazione alla condanna dell’acquirente a pagare alla venditrice il prezzo delle azioni che, in mancanza di diversi accordi, era dovuto contestualmente al domicilio del creditore, e non in relazione ad una non proposta azione del mandante nei confronti del mandatario.

9. Per la cassazione di questa sentenza ricorrono, con distinti atti, Italchimici s.p.a., sulla base di 19 motivi, e B.F., sulla base di sette motivi; il B. ha altresì proposto ricorso incidentale al ricorso della Italchimici s.p.a. sulla base di dodici motivi; resiste a tutti i ricorsi B.A. con distinti controricorsi, mentre P.M. non ha svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Deve preliminarmente essere disposta la riunione dei ricorsi, in quanto rivolti avverso la medesima sentenza (art. 335 cod. proc. civ.).

2. Sempre in via preliminare, deve essere dichiarata la inammissibilità del ricorso autonomo proposto da B. F.. Trova invero applicazione, nel caso di specie, il principio per cui “La parte che abbia ritualmente proposto ricorso per cassazione non può proporre successivi ricorsi per dedurre altri motivi di censura, anche se il termine di impugnazione non è ancora scaduto, essendosi esaurito, con la proposizione del ricorso, il diritto di impugnazione” (Cass., S.U., n. 12942 del 1992; Cass., n. 3738 del 1995; Cass., n. 2872 del 1997; Cass., n. 11870 del 2007;

Cass., n. 21702 del 2008, in motivazione).

Nel caso di specie, entrambi i ricorsi risultano essere stati consegnati per la notifica lo stesso giorno (25 febbraio 2009) e depositati in pari data (13 marzo 2009); il ricorso incidentale risulta essere stato redatto prima di quello autonomo (il primo reca la data del 18 febbraio 2009 e la procura è stata rilasciata il precedente 2 febbraio, mentre il secondo reca la data del 20 febbraio e la procura è stata rilasciata in pari data). In tale situazione, ritiene il Collegio che, ai fini della individuazione di quale sia il ricorso che ha determinato la consumazione del potere di impugnazione debba essere attribuito rilievo all’ulteriore circostanza che, non avendo il ricorso incidentale una autonoma numerazione nel registro generale, mentre tale numerazione ha il ricorso autonomo, la priorità debba essere attribuita al ricorso incidentale, il quale prende il numero di R.G. del ricorso principale.

In conclusione, con il deposito del ricorso incidentale B. F. ha consumato il proprio potere di impugnazione e conseguentemente il successivo ricorso autonomo deve essere dichiarato inammissibile.

3. Si può quindi procedere alla illustrazione dei motivi del ricorso principale e di quello incidentale.

3.1. Con il primo motivo del ricorso principale, Italchimici s.p.a.

denuncia violazione di legge con riferimento all’art. 324 cod. proc. civ. e art. 2909 cod. civ.. La ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello non abbia adeguatamente considerato le ragioni dedotte con l’atto di gravame, nel quale si era rilevato che il capo n. 4 della sentenza di primo grado – di condanna di B. F. a rifondere a Italchimici s.p.a. le somme da quest’ultima versate ad B.A. in esecuzione del capo 1 della medesima sentenza – era passato in giudicato. Ricorda che in motivazione, il Tribunale aveva affermato che “nei rapporti tra la convenuta ed il terzo chiamato in causa deve ritenersi provato che Italchimici pagò a quest’ultimo il corrispettivo pattuito per l’acquisto delle azioni intestate alla figlia”. Orbene, osserva la ricorrente, l’accertamento dell’avvenuto pagamento del prezzo di vendita delle azioni, in quanto non oggetto di impugnazione, doveva essere ritenuto un punto fermo e intangibile, coperto da giudicato formale e sostanziale. La Corte d’appello avrebbe quindi errato nel non rilevare il giudicato interno, nè d’ufficio nè accogliendo i rilievi da essa mossi in grado di appello sul punto.

Ove la Corte d’appello si fosse avveduta della questione non avrebbe potuto non rilevare che gli effetti dell’accertamento in virtù del quale l’intero prezzo richiesto da parte venditrice alla parte acquirente era stato per intero corrisposto al procuratore della venditrice medesima non avrebbero potuto non riflettersi anche in via diretta sulla venditrice, rendendo infondata la domanda di pagamento dalla stessa proposta, atteso che il destinatario del pagamento, giusta il disposto dell’art. 1188 cod. civ., è il creditore o il suo procuratore, sicchè il pagamento nelle mani di quest’ultimo estingue l’obbligazione al pari del pagamento effettuato nelle mani del creditore.

La ricorrente formula quindi i seguenti quesiti di diritto:

“A) Dica il Supremo Collegio che in un rapporto di compravendita necessariamente trilatero tra venditore, acquirente e procuratore che agisce in nome e per conto del venditore, l’accertamento dell’avvenuto pagamento del prezzo della compravendita nei confronti del procuratore, coperto dal giudicato interno sul capo non impugnato della sentenza di primo grado, ha efficacia riflessa, come affermazione obiettiva di verità, nei confronti del venditore in relazione al pagamento del prezzo, in quanto titolare di un diritto dipendente da una situazione definitivamente accertata nello stesso processo e che per l’effetto, lo stesso non può far valere una pretesa in contrasto con tale accertamento”.

“B) Dica il Supremo Collegio che nel rapporto trilatero tra venditore, acquirente e procuratore del venditore se è accertato in primo grado con effetto di giudicato che il procuratore del venditore ha incassato l’intero prezzo, la Corte d’appello deve rilevare d’ufficio il giudicato e, ritenendo definitivamente estinta l’obbligazione, deve rigettare la domanda del venditore diretta ad ottenere la condanna dell’acquirente al pagamento del prezzo, perchè assorbita dal giudicato”.

“C) Dica il Supremo Collegio che, quando una questione abbia formato oggetto di decisione del Giudice di pronao grado e tale decisione non sia stata impugnata, nè sotto il profilo della violazione di norme del processo, nè sotto quello della violazione delle norme di diritto ed il Giudice della impugnazione, altrimenti adito, non abbia rilevato d’ufficio il fatto che si era formato un giudicato interno, per cui, l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile, spetta alla Corte di cassazione adita con ricorso, rilevare d’ufficio il giudicato, cassando senza rinvio la sentenza di secondo grado, perchè il processo non poteva essere proseguito”.

3.2. Con il secondo motivo, la ricorrente principale deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., censurando la sentenza impugnata per il fatto che la Corte d’appello ha deciso senza esaminare la deduzione, contenuta nella comparsa conclusionale e nella memoria di replica, di intervenuto giudicato interno sulla pronuncia di cui al capo n. 4 della sentenza di primo grado.

La ricorrente formula quindi il seguente quesito di diritto, per l’eventualità che lo stesso sia ritenuto necessario, pur essendosi denunciato che la violazione delle norme processuali ha dato luogo ad un errore di fatto:

“Ritenuto in fatto che nel capo 4^ della pronuncia resa dal Tribunale era stato accertato che il procuratore B.F. aveva incassato l’intero prezzo di vendita delle azioni da Italchimici spa per conto e nell’interesse di B.A., che su detto capo di sentenza si era formato il giudicato interno, che detto giudicato era stato illustrato nelle difese finali dalla Italchimici spa e che la Corte d’Appello nulla ha dedotto al riguardo nella propria pronuncia, dica il Supremo Collegio che il giudicato è rilevabile anche d’ufficio e che la Corte d’Appello, avendolo oltretutto rilevato espressamente la parte appellante nelle proprie difese, in virtù del principio che obbliga il Giudice a pronunciarsi su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa e su tutte le eccezioni dirimenti rilevabili d’ufficio, aveva l’obbligo di pronunciarsi sul dedotto giudicato, ponendo a fondamento della propria decisione l’intervenuto accertamento coperto da giudicato del pagamento del prezzo nelle mani del procuratore, con conseguente rigetto della domanda giudiziale diretta ad ottenere nuovamente il pagamento medesimo dalla parte acquirente”.

3.3. Con il terzo motivo, la ricorrente deduce violazione degli artt. 1188, 1704 e 1388 cod. civ. Premesso che il contratto concluso dal rappresentante produce direttamente effetto nei confronti del rappresentato e che se il prezzo di una vendita è incassato dal rappresentante il medesimo prezzo deve ritenersi incassato in via diretta dal rappresentato, la ricorrente rileva che, nel caso di specie, B.F., agendo sulla base della procura rilasciatagli dalla figlia A., aveva venduto le quote di proprietà di quest’ultima, incassandone il relativo prezzo, sicchè non vi era possibilità di affermare che l’acquirente era nuovamente tenuta al pagamento del medesimo prezzo in favore della rappresentata.

Formula quindi i seguenti quesiti di diritto:

“A) Dica il Supremo Collegio che gli artt. 1704 e 1388 cod. civ. vanno interpretati nel senso che gli effetti dell’opera del mandatario con rappresentanza ricadono in via diretta in capo al mandante che ha conferito la procura, per cui la domanda di pagamento del prezzo di vendita dispiegata dal venditore nei confronti dell’acquirente, a fronte dell’accertamento che lo stesso era stato riscosso dal procuratore del venditore munito di valida procura, doveva essere rigettata”. “B) Dica il Supremo Collegio che il pagamento del prezzo di compravendita nelle mani del procuratore del venditore ha effetti solutori ed estingue in radice il relativo diritto di credito della parte venditrice, atteso che sulla stessa ricadono in via diretta gli effetti del pagamento medesimo effettuato al procuratore”.

3.4. Con il quarto motivo, la ricorrente deduce violazione degli artt. 100 e 106 cod. proc. civ., per omessa considerazione della carenza di legittimazione in capo alla ricorrente e violazione del litisconsorzio alternativo.

Premesso che in sede di appello era stato proposto uno specifico motivo di censura della sentenza di primo grado nella parte in cui, scindendo l’unico e inscindibile rapporto processuale trilatero tra venditore, acquirente e procuratore del venditore, aveva affermato l’esistenza di due distinti rapporti, l’uno tra venditore e acquirente e l’altro tra acquirente e procuratore del venditore, non consentendo in tal modo che il secondo rapporto spiegasse efficacia sul primo, laddove l’art. 1388 cod. civ. afferma invece che il contratto concluso con il rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato produce direttamente effetto in capo a quest’ultimo, la ricorrente deduce che il Tribunale, prima, e la Corte d’appello, poi, avrebbero dovuto qualificare l’atto di chiamata in causa non come chiamata in garanzia, ma come chiamata per causa comune e più precisamente come chiamata per litisconsorzio necessario alternativo, con conseguente estensione della domanda dell’attrice al chiamato in causa, l’unico effettivamente legittimato. Nel caso in cui il convenuto, nel contestare la propria legittimazione, chiami in causa un terzo, deducendo che lo stesso è il legittimato passivo, si verifica infatti l’estensione automatica della domanda al terzo; la causa è unica e inscindibile, potendo la responsabilità dell’uno escludere quella dell’altro, con conseguente impossibilità della separazione del giudizio principale da quello instaurato con la chiamata in causa.

Formula quindi i seguenti quesiti di diritto:

A) “Dica il Supremo Collegio che l’acquirente, chiamato in giudizio per essere condannato al pagamento del prezzo, deducendo di averlo interamente corrisposto al procuratore del venditore, declina il proprio interesse a contraddire per intervenuta estinzione dell’obbligazione ed in pari tempo, chiamando in giudizio colui che ha validamente riscosso il prezzo in virtù di idonea procura, che conferma l’avvenuto incasso, indica l’effettivo ed unico legittimato a contraddire, sul quale deve traslare in via esclusiva la domanda giudiziale”.

B) “Dica il Supremo Collegio che è compito del Giudice, in virtù del principio iura novit curia, qualificare correttamente la domanda anche se le parti abbiano usato per la stessa un improprio nomen iuris e più in particolare, nel caso di specie, anche se la chiamata del terzo era stata impropriamente definita per garanzia, era compito del Giudice qualificare correttamente l’atto rivolto nei confronti del terzo, come chiamata per causa comune, atteso che gli effetti dell’operato del procuratore con rappresentanza ricadono in via diretta in capo al rappresentato”.

C) “Dica il Supremo Collegio che trattasi di causa comune tra le parti (attore, convenuto e terzo chiamato), e più in particolare, di litisconsorzio necessario inscindibile alternativo, in virtù del quale se (come nella fattispecie in esame) si accerta che il prezzo è stato per intero riscosso dal procuratore (accertamento, peraltro, intervenuto con effetto di giudicato), deve essere condannato al relativo pagamento in via esclusiva quest’ultimo, lasciando in pari tempo indenne da ogni pretesa la parte acquirente, che risulta già aver pagato il prezzo ed estinto quindi nei confronti del venditore la propria obbligazione per avvenuto adempimento”.

D) “Dica il Supremo Collegio che il principio dell’estensione della domanda dell’attore al terzo chiamato in causa da parte del convenuto trova applicazione allorquando la chiamata del terzo sia effettuata al fine di ottenere la liberazione dello stesso convenuto dalla pretesa dell’attore in ragione del fatto che il terzo si individua come unico obbligato nei confronti dell’attore in luogo del convenuto, realizzandosi in tal caso un ampliamento della controversia in senso soggettivo (atteso che il terzo diventa parte del giudizio in posizione alternativa con il convenuto) ed in senso oggettivo (atteso che l’obbligazione del terzo dedotta dal convenuto verso l’attore si pone in alternativa rispetto a quella individuata dall’attore) restando tuttavia, in ragione della detta duplice alternativa, la unicità del complessivo rapporto controverso”.

3.5. Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta il vizio di omessa pronuncia su uno specifico motivo di appello avente natura dirimente.

La ricorrente ricorda che, con l’atto di appello, la sentenza di primo grado era stata censurata perchè il primo giudice non aveva valutato che nella fattispecie il rapporto intercorrente tra attore- venditore, convenuto-acquirente e terzo chiamato-procuratore del venditore era un inscindibile litisconsorzio necessario alternativo nascente da una causa comune fra le parti processuali. La Corte d’appello, rileva la ricorrente, non si è pronunciata su tale specifico motivo di gravame.

Il motivo si conclude con i seguenti quesiti di diritto:

A) “Dica il Supremo Collegio che il pagamento del prezzo eseguito dalla parte acquirente nelle mani del procuratore della parte venditrice munito di valida ed idonea procura estingue l’obbligazione medesima di pagamento”.

B) “Dica il Supremo Collegio che la Corte Territoriale ha omesso ogni pronuncia in relazione allo specifico capo di impugnazione incorrendo nella violazione del principio che obbliga il Giudice a pronunciarsi su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa e su tutte le eccezioni che siano rilevabili d’ufficio, laddove, se avesse risposto al motivo di impugnazione ed avesse dichiarato che il terzo era stato chiamato in giudizio per una causa a lui comune, l’accertamento dell’incasso del prezzo da parte di quest’ultimo nella qualità di procuratore della venditrice avrebbe avuto effetto dirimente dell’intera controversia, con conseguente integrale rigetto della domanda proposta dalla venditrice medesima in danno dell’acquirente per il pagamento del prezzo”.

3.6. Con il sesto motivo, la ricorrente deduce il vizio di contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata.

Con l’atto di appello, ricorda la ricorrente, era stata censurata specificamente la contraddittorietà della motivazione della sentenza di primo grado; il fatto che la Corte d’appello, senza interferire nella motivazione della sentenza di primo grado e facendola anzi propria, abbia confermato tutte le statuizioni di quella sentenza comporta da un lato la omessa pronuncia sullo specifico motivo di censura e dall’altro il medesimo vizio di contraddittorietà di detta sentenza. Il medesimo fatto storico, invero, è dichiarato dalla Corte non avvenuto nei rapporti tra appellante e venditrice e come avvenuto nei rapporti tra procuratore della venditrice, terzo chiamato, e acquirente. Le due soluzioni non possono coesistere:

infatti, se il procuratore avesse incassato il prezzo sulla base dei poteri espressamente conferitigli, la domanda attorea avrebbe dovuto essere rigettata, posto che l’atto del procuratore avrebbe dovuto produrre effetti in via diretta nella sfera giuridica del rappresentato, con la conseguenza che per Italchimici l’obbligazione doveva ritenersi estinta per intervenuto adempimento. Se, invece, il procuratore non avesse incassato il prezzo, la parte acquirente sarebbe stata senz’altro tenuta al pagamento del prezzo, ma non avrebbe potuto darsi una coeva condanna del procuratore a rifondere somme che allo stesso non erano mai state corrisposte.

Sotto altro profilo, la motivazione sarebbe contraddittoria perchè la Corte d’appello, nel mentre ha affermato che il Tribunale non avrebbe precisamente qualificato l’atto di chiamata del terzo, dandogli un significato di generica garanzia, ha tuttavia ritenuto non determinanti le eccezioni al riguardo sollevata dall’appellante perchè le stesse avrebbero potuto avere un senso solo se la Italchimici avesse dimostrato il fatto fondamentale di aver puntualmente adempiuto. In tal modo, però, la Corte d’appello non si è avveduta che la prova del pagamento risultava affermata dal Tribunale addirittura con efficacia di giudicato interno, avendo lo stesso Tribunale affermato (capo 4 della sentenza) che era accertato che il procuratore B.F. aveva effettivamente incassato l’intero prezzo.

3.7. Con il settimo motivo, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., dolendosi della mancata pronuncia sullo specifico motivo di appello con il quale veniva evidenziata la contraddittorietà della motivazione della sentenza di primo grado sul primo dei profili evidenziati nel motivo precedente.

3.8. Con l’ottavo motivo, la ricorrente deduce violazione dell’art. 116 cod. proc., civ., con riferimento agli artt. 2733 e 2735 cod. civ. nonchè degli artt. 1362 e 2730 cod. civ..

Riportato il testo dell’atto di diffida notificato da B. A. al proprio padre il 12 giugno 1996 e alla Italchimici s.p.a.

solo per conoscenza, la ricorrente ritiene che la Corte d’appello abbia errato nel ricercare e nel dare rilievo ai motivi per i quali la B. avrebbe proposto la diffida, omettendo di valutarne il testo per l’inequivoco significato delle espressioni in esso contenute, attestanti la consapevolezza dell’avvenuto pagamento del prezzo nelle mani del procuratore, al quale venivano richiesti gli interessi sulla somma percepita con decorrenza dalla data dell’atto di vendita. Nella interpretazione della confessione, invero, non si deve avere riguardo alle ragioni per le quali una parte rende determinate dichiarazioni, ma alla portata effettiva, in base al criterio di cui all’art. 1362 cod. civ., applicabile anche agli atti unilaterali, delle dichiarazioni rese.

Formula quindi i seguenti quesiti di diritto:

A) “Dica il Supremo Collegio che, al fine di ravvisare in un documento una confessione stragiudiziale, ai sensi degli artt. 1362 e 2730 cod. civ., il Giudice deve valutare le dichiarazioni contenute nel documento nella loro oggettività, prescindendo dai motivi che hanno portato alla confessione medesima (salvo i due casi dell’errore di fatto e della violenza di cui all’art. 2732 c.c., che nella fattispecie non sono stati dedotti e men che meno provati) ed in virtù del detto principio di diritto, da porre a fondamento della decisione in luogo di quella resa dalla Corte d’Appello, affermi il Supremo collegio che, ai fini del decidere, è del tutto ininfluente che il venditore abbia saputo dal suo procuratore dell’avvenuto incasso del prezzo (d’altronde, da chi se non dal suo procuratore avrebbe dovuto sapere della conclusione del mandato?), mentre si deve riconoscere natura confessoria alla oggettiva dichiarazione resa dalla parte creditrice, d’essere a conoscenza dell’avvenuto pagamento del prezzo al suo procuratore, essendo la detta dichiarazione sfavorevole a chi l’ha resa e favorevole alla parte acquirente (cui la detta dichiarazione è stata trasmessa per conoscenza), che in virtù della stessa ha raggiunto ed acquisito la piena prova dell’inadempimento della propria obbligazione e, quindi, la contemporanea infondatezza della domanda di pagamento contro di lei proposta”.

B) “Dica il Supremo Collegio che un documento rivolto in via esclusiva dal venditore al suo procuratore a vendere (e trasmesso alla parte acquirente solo per conoscenza, senza individuarla quindi come parte debitrice), con il quale il detto venditore dichiara di essere a conoscenza dell’incasso del prezzo da parte del procuratore e gli richiede in pari tempo il rendiconto, il versamento di quanto incassato e gli interessi, nel giudizio proposto dal venditore contro l’acquirente per conseguire condanna al pagamento del prezzo, ha piena natura di confessione stragiudiziale nei confronti della parte acquirente perchè le da atto che la stessa ha estinto la sua obbligazione di pagamento, versando legittimamente nelle mani del procuratore a vendere”.

C) “Dica il Supremo Collegio che il documento confessorio, in particolar modo ove la confessione resa abbia natura dirimente per l’intero giudizio, non può essere valutato dal giudice con suo prudente apprezzamento, ma lo vincola ad una pronuncia contraria alle ragioni espresse e domandate dalla parte confidente in virtù del valore di prova legale della confessione”.

3.9. Con il nono motivo, la ricorrente deduce il vizio di carente/erronea motivazione della sentenza nella parte in cui ha escluso l’efficacia probatoria di confessione stragiudiziale della diffida prima richiamata. Del tutto erroneo sarebbe, infatti, l’argomento, usato dalla sentenza impugnata, secondo cui la venditrice avrebbe appreso della conclusione della vendita dal suo procuratore o dalla acquirente, giacchè per il procuratore costituisce un obbligo informare il mandante della conclusione dell’affare. La Corte d’appello, inoltre, avrebbe da un lato riconosciuto il contenuto confessorio della diffida, ma dall’altro ne avrebbe esclusa la relativa efficacia perchè la dichiarazione dei fatti a sè sfavorevoli era stata fatta dalla parte in virtù di quanto riferitole dal mandatario. Erroneamente, poi, la Corte d’appello avrebbe attribuito efficacia ai motivi in base ai quali la dichiarazione era stata resa.

3.10. Con il decimo motivo, la ricorrente denuncia violazione dell’art. 1199 c.c., art. 1723 c.c., comma 2 e art. 2697 cod. civ., artt. 115, 116 e 345 cod. proc. civ. La ricorrente censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto che essa non avesse offerto la prova dell’avvenuto pagamento, omettendo di considerare la documentazione prodotta e ritenendo tardiva quella della quale era stata chiesta la produzione in grado di appello. Premette che il Tribunale, con due ordinanze istruttorie, aveva affermato che la prova del pagamento non era necessaria e che, pertanto, facendo affidamento su tale orientamento, aveva omesso di fornire la prova del pagamento. La quietanza della quale era stata chiesta l’acquisizione in sede di appello, e che ben poteva essere redatta quale certificazione dell’avvenuto pagamento anche a distanza di tempo dall’avvenuta corresponsione della somma quietanzata, era poi del tutto idonea ad offrire la prova del pagamento e, in quanto tale, avrebbe dovuto essere ammessa sia perchè la mancata produzione in precedenza era avvenuta per fatto non imputabile alla parte, sia per il suo carattere di decisività.

Lamenta infine che la Corte d’appello non abbia in alcun modo esaminato la documentazione bancaria, acquisita tempestivamente, dalla quale emergeva nella data dell’avvenuta cessione delle azioni e del pagamento nelle mani del procuratore, la movimentazione della ingente somma corrispondente al totale pagato.

Formula quindi i seguenti quesiti di diritto:

A) “Dica il Supremo Collegio a) relativamente all’indispensabilità del documento” (quietanza in data 17 febbraio 1999) “che in un giudizio avente ad oggetto la richiesta di condanna proposta dal venditore contro l’acquirente per il pagamento del prezzo di compravendita, la produzione dell’atto di quietanza del richiamato pagamento è indispensabile ai fini della decisione della causa e per l’effetto, giusta il disposto dell’art. 345 c.p.c., comma 3 il detto documento producibile anche in grado di appello, atteso che la detta prova è decisiva per portare ad una diversa ed opposta valutazione dei fatti di causa, con rovesciamento della decisione cui è pervenuto il giudice di primo grado”.

“b) relativamente alla incolpevolezza della mancata produzione, che se il Giudice di primo grado ritiene nient’affatto indispensabile e quindi irrilevante la prova dell’avvenuto pagamento e poi condanna la parte per non aver fornito proprio quella prova che prima aveva ritenuto irrilevante, giusta il disposto dell’art. 345 c.p.c. la detta prova è ammissibile e/o producibile in grado di appello perchè la parte si era astenuta dal fornirla non per sua colpa, ma esclusivamente per essersi conformata ad un provvedimento istruttorio che l’aveva ritenuta irrilevante”.

B) “Dica il Supremo Collegio che il mandato conferito anche nell’interesse del mandatario ai sensi dell’art. 1723 c.c., comma 2, dichiarato espressamente irrevocabile dalle parti, non è revocabile se non per l’unica ipotesi della giusta causa (non ricorrente nella fattispecie in esame), con la conseguenza che il mandatario ben può svolgere tutte le ulteriori attività inerenti al mandato ed in particolare rilasciare quietanza con data successiva del negozio oggetto di mandato, con diretto effetto per il mandante ai sensi dell’art. 1388 c.c.”.

C) “Dica il Supremo Collegio che l’atto di quietanza non è atto negoziale e non ha natura confessoria ma semplicemente e tipicamente storico-certificativa e può essere richiesta dal debitore al creditore o al suo procuratore, sia contestualmente alla conclusione del contratto, sia in ogni momento successivo laddove, proprio in virtù del detto principio, la revoca della procura inibisce al procuratore la possibilità di compiere nuovi atti negoziali, ma non la possibilità per lo stesso di certificare quanto ha fatto in costanza di mandato e di quietanzare quindi quanto lo stesso ha avuto modo di incassare in forza del mandato medesimo”.

D) “Dica il Supremo Collegio che la produzione dell’atto di quietanza da parte dell’acquirente integra ed assolve pienamente il principio del suo onere probatorio in ordine all’avvenuto pagamento del prezzo, con conseguente affermazione dell’estinzione dell’obbligazione di parte acquirente per intervenuto adempimento”.

E) “Dica il Supremo Collegio che l’atto di quietanza autenticato nella firma da notaio non può essere valutato con prudente apprezzamento, ma, in quanto prova legale, vincola il Giudice stesso alle risultanze del documento medesimo, obbligandolo a dichiarare estinta l’obbligazione del debitore in ordine al pagamento del prezzo per intervenuto adempimento”.

F) “Dica il Supremo Collegio che l’atto di quietanza non ha natura negoziale, ma semplicemente storico-certificativa dell’avvenuto pagamento del prezzo e può essere rilasciata in ogni momento, anche postumo al pagamento medesimo, dalla parte o dal suo procuratore che ha agito in suo nome e per (suo) conto e che materialmente ha riscosso il prezzo”.

3.11. Con l’undicesimo motivo, la ricorrente deduce violazione degli artt. 1362, 1363, 2699 e 2700 cod. civ. e vizio di motivazione. Il motivo si riferisce alla valutazione fatta dalla Corte d’appello in ordine alla certificazione a firma del notaio Gilardoni, da essa ricorrente prodotta, apprezzata dalla Corte territoriale alla stregua di una mera dichiarazione di parte priva di qualsiasi efficacia probatoria. Premesso che la certificazione in questione attestava che la cessione di azioni si era verificata mediante girata in sua presenza e che tutte le parti avevano dichiarato di avere ricevuto l’intero prezzo, la Corte territoriale, ad avviso della ricorrente, avrebbe omesso di considerare che, in realtà, detto atto era stato redatto da pubblico ufficiale ed aveva quindi efficacia probatoria privilegiata; inoltre, la ricorrente si duole del fatto che comunque sulle circostanze risultanti dalla detta certificazione era stata chiesta la prova testimoniale, ammissibile ex art. 345 cod. proc. civ., e che su tale istanza la Corte dr appello non ha adottato alcuna statuizione esplicita.

La ricorrente formula quindi i seguenti quesiti di diritto:

A) “Dica il Supremo Collegio che ha natura di atto pubblico e fa piena prova la certificazione delle dichiarazioni rese dalle parti che un notaio attesta essere avvenuta in sua presenza mentre è intento a redigere un atto nell’esercizio delle sue funzioni di pubblico ufficiale ed a maggior motivo, ove peraltro le dette dichiarazioni siano strettamente ed intimamente connesse all’atto medesimo, come nel caso in cui, a fronte di atto traslativo a titolo oneroso di autentica di firma per girata di azioni, la parte girante (alienante) dichiari di aver riscosso il prezzo dalla parte girataria (acquirente)”.

B) “Dica il Supremo Collegio che se un notaio da atto di dichiarazioni rese dalle parti in sua presenza mentre è nell’esercizio delle sue funzioni ed oltretutto le dichiarazioni sono pertinenti e connesse all’atto per il quale il notaio esplica le sue funzioni di pubblico ufficiale, la certificazione delle dette dichiarazioni può solo essere interpretata come atto pubblico e non come un’impropria dichiarazione testimoniale”.

3.12. Con il dodicesimo motivo, la ricorrente deduce il vizio di omessa motivazione su un punto decisivo e contraddittorietà della motivazione su altro punto. La prima censura si riferisce alla mancata pronuncia in ordine alla richiesta di prova testimoniale articolata con riferimento alla produzione della certificazione notarile, con l’indicazione a teste del notaio sulle circostanze oggetto della certificazione stessa. Anche la prova testimoniale in questione, osserva la ricorrente, avrebbe dovuto essere ammessa vuoi perchè indispensabile ai fini della decisione, vuoi perchè non era stata articolata in precedenza per il già richiamato orientamento espresso dai giudice in primo grado. La mancata pronuncia sulla richiesta di ammissione della prova testimoniale renderebbe poi la sentenza impugnata contraddittoria, perchè ha da un lato apprezzato la certificazione come una impropria prova testimoniale senza assunzione di impegno da parte del testimone e, dall’altro, ha omesso di motivare sulla richiesta di escutere come teste il notaio autore della certificazione.

3.13. Con il tredicesimo motivo, la ricorrente denuncia violazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ.. La Corte d’appello avrebbe violato anche le disposizioni indicate, omettendo di considerare nel loro complesso le prove documentali prodotte e quelle delle quali è stata chiesta la produzione, erroneamente non consentita. Ritenuto, quindi, che la Corte d’appello aveva la prova piena di un movimento di denaro della parte acquirente sul proprio conto corrente pari all’intero prezzo pagato per la compravendita, che risultava accertato l’avvenuto pagamento del prezzo in capo al procuratore della venditrice mediante separato capo di pronuncia passato in giudicato, che la stessa parte venditrice aveva rivolto domanda di rendiconto al procuratore chiedendogli di versare il prezzo che essa stessa dichiarava incassato il 10 agosto 1988, con i relativi interessi, e che vi era una quietanza rilasciata in epoca postuma al pagamento, la ricorrente chiede alla Corte di affermare “che gli artt. 2727 e 2729 cod. civ. devono essere interpretati nel senso che, nel caso di negozio di cessione di azioni, non è necessario che la prova del pagamento del prezzo risulti da atto scritto (sin da Cass., n. 2084 del 1957), ma può essere desunta da una molteplicità di prove tutte univoche, precise, gravi e concordanti, che, valutate nel loro complesso, consentano di risalire da fatti altrimenti noti, al detto pagamento”.

3.14. Con il quattordicesimo motivo, Italchimici s.p.a. lamenta difetto assoluto di motivazione in ordine allo specifico motivo di gravame concernente la decorrenza degli interessi sulla somma dovuta a titolo di prezzo delle azioni. Sul punto, osserva la ricorrente, la Corte d’appello ha affermato che “parimenti infondato è il motivo con cui l’appellante ha lamentato la decorrenza degli interessi, disposta a partire dalla data di cessione, sul rilievo che la B. avrebbe tardato a promuovere l’azione”. Al contrario, la Corte d’appello si è poi profusa nella motivazione della inammissibilità del corrispondente motivo di gravame proposto da B.F..

Con riferimento poi alla ritenuta inammissibilità della impugnazione del B., la ricorrente rileva che per effetto del principio per cui, in caso di litisconsorzio necessario per causa comune, della tempestiva impugnazione proposta da una parte ne beneficiano anche le altre, la Corte d’appello non avrebbe potuto dichiarare inammissibili le censure del B., delle quali avrebbe beneficiato anche essa ricorrente.

3.15. Con il quindicesimo motivo, la ricorrente denuncia la illegittimità della compensazione delle spese legali nei confronti di B.F. e la insufficienza della relativa motivazione.

3.16. Con il sedicesimo motivo, la ricorrente deduce violazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., dolendosi della disposta compensazione delle spese in favore di P.M., formulando il seguente quesito di diritto:

“Dica il Supremo Collegio che, dichiarato inammissibile un intervento in grado di appello, il principio della soccombenza deve essere valutato unicamente alla stregua di presupposti dell’intervento medesimo e non del suo contenuto”.

3.17. Con il diciassettesimo motivo, la ricorrente censura sotto il profilo della motivazione la statuizione di compensazione delle spese in favore del P.. La Corte avrebbe dovuto limitarsi a rilevare la inammissibilità dell’intervento, vuoi per la carenza di interesse, vuoi per il difetto dei requisiti di cui all’art. 344 cod. proc. civ., e non svolgere considerazioni sul merito dell’intervento medesimo, per trarre da tali aspetti argomenti, peraltro del tutto inconsistenti, nel senso della compensazione delle spese.

L’intervento del P., inoltre, aveva comportato la ricusazione del Presidente del collegio e quindi aveva innegabilmente determinato un aggravio difensivo.

3.18. Con il diciottesimo motivo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 25 Cost.. L’accoglimento della istanza di anticipazione dell’udienza di precisazione delle conclusioni, presentata da B.A. per motivi di salute, aveva comportato la modificazione della composizione del collegio giudicante e quindi la sottrazione della causa al suo giudice naturale.

La ricorrente formula quindi il seguente quesito di diritto:

“Dica il Supremo Collegio che anche a voler ritenere fondata la motivazione dell’istanza di anticipazione d’udienza, questa deve essere scelta fra quelle che il calendario giudiziario prevede per il Giudice già assegnato e non può costituire motivo per trasferire la controversia ad altro Giudice, atteso che in detto ultimo caso si viene ad alterare il principio del Giudice naturale precostituito per legge”.

3.19. Con il diciannovesimo e ultimo motivo, la ricorrente principale deduce violazione dell’art. 96 cod. proc. civ., precisando che detto motivo vale a rendere palese la volontà di coltivare la relativa domanda nel giudizio di rinvio.

4.1. Con il primo motivo del ricorso incidentale, B.F. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 324 cod. proc. civ. in relazione all’art. 2909 cod. civ. nonchè il vizio di omessa pronuncia su punto decisivo della controversia. Il ricorrente incidentale sostiene che in ordine al fatto dell’avvenuto pagamento del prezzo delle azioni nelle sue mani, accertato dalla sentenza del Tribunale, doveva ritenersi formato il giudicato vincolante per tutte le parti in causa, sicchè la sentenza impugnata, che ha omesso di rilevare detto giudicato interno, sarebbe affetta dai denunciati vizi.

Il ricorrente formula quindi tre quesiti di diritto, sostanzialmente sovrapponibili ai tre quesiti che concludono il primo motivo di ricorso principale.

4.2. Con il secondo motivo, B.F. deduce violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, dolendosi del fatto che la Corte d’appello abbia omesso di pronunciare sulla specifica eccezione di giudicato interno sul capo 4^ della sentenza del Tribunale, e sottolineando che comunque detto giudicato avrebbe dovuto essere rilevato d’ufficio dal Giudice.

Il motivo si conclude con la formulazione di un quesito corrispondente a quello di cui al secondo motivo del ricorso principale.

4.3. Con il terzo motivo, B.F. lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1188, 704 e 1388 cod. civ., nonchè vizio di motivazione. Tenuto conto della esistenza e della portata della procura speciale rilasciata da B.A., riportata nel ricorso principale “ed anche qui acquisito di riflesso”, la Corte d’appello avrebbe dovuto riconoscere, in applicazione dei principi sulla rappresentanza legale e sul destinatario del pagamento, alla luce del giudicato interno sulla circostanza dell’avvenuto pagamento effettuato da Italchimici ad esso ricorrente incidentale, che il pagamento del prezzo aveva prodotto effetto direttamente nei confronti della rappresentata B.A..

Il motivo risulta corredato da due quesiti di diritto, sostanzialmente coincidenti con quelli formulati dal ricorrente principale a conclusione del terzo motivo.

4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente incidentale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 100 e 106 cod. proc. civ. nonchè vizio di omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo. La Corte d’appello avrebbe errato nel ritenere che l’atto di chiamata in causa di esso ricorrente incidentale da parte di Italchimici s.p.a. non fosse un atto di integrazione del contraddittorio in causa inscindibile per litisconsorzio necessario alternativo, ma una chiamata in garanzia impropria, e nell’escludere, quindi, che la domanda dell’attrice si fosse estesa ad esso chiamato.

La Corte avrebbe invece dovuto correggere l’errore in cui era incorso il Tribunale, che aveva considerato i rapporti dedotti in giudizio in modo separato, affermando che la trilateralità del rapporto tra venditore, acquirente e procuratore del venditore era inscindibile.

Il ricorrente incidentale formula quindi quattro quesiti di diritto, nella sostanza coincidenti con gli analoghi quesiti formulati dal ricorrente principale.

4.5. Con il quinto motivo, B.F. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 100 e 106 cod. proc. civ., nonchè omessa pronuncia su un punto decisivo. La censura si riferisce al mancato esame del motivo di appello con il quale la sentenza del Tribunale era stata impugnata in ordine alla qualificazione della chiamata in causa.

Il motivo si conclude con due quesiti di diritto, sovrapponiteli a quelli formulati dalla ricorrente principale a conclusione del quinto motivo.

4.6. Con il sesto motivo, il B. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 132 cod. proc. civ., in relazione all’art. 161 c.p.c., per motivazione palesemente contraddittoria e illogica su un punto decisivo della controversia. L’avere condannato Italchimici a pagare il prezzo delle azioni perchè non era stato provato il pagamento del prezzo e avere al contempo ritenuto verificato il pagamento del medesimo prezzo nel rapporto tra acquirente e procuratore del venditore integrerebbe, ad avviso del B., una motivazione illogica e contraddittoria. Tenuto conto di quanto affermato da Cass., n. 16941 del 2008, il ricorrente sostiene che non sia necessaria la formulazione del quesito di diritto.

4.7. Con il settimo motivo, il B. denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 2733 e 2735 cod. civ. e agli artt. 1362 e 2730 cod. civ., censurando la sentenza impugnata per avere escluso che la diffida con la quale B.A. dichiarava di essere consapevole dell’avvenuto trasferimento delle azioni a Italchimici e dell’avvenuto pagamento del prezzo ad esso ricorrente, suo procuratore speciale, integrasse una confessione stragiudiziale.

Il motivo si conclude con tre quesiti di diritto, che ricalcano quelli formulati dalla ricorrente principale a conclusione dell’analogo ottavo motivo.

4.8. Con l’ottavo motivo, B.F. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1199 cod. civ., in relazione all’art. 1723 cod. civ. e agli artt. 116 e 345 cod. proc. civ., nonchè vizio di insufficiente motivazione. La Corte d’appello avrebbe errato a non consentire la produzione in sede di appello dell’atto di quietanza rilasciato da esso ricorrente nel 1999, e ciò in quanto detta produzione non era avvenuta prima per effetto di due ordinanze istruttorie emesse dall’istruttore in primo grado, che avevano lasciato intendere che era irrilevante la produzione dei documenti comprovanti l’avvenuto pagamento del prezzo da parte di Italchimici.

La quietanza, del resto, ben poteva essere rilasciata dal creditore anche a distanza di tempo dall’avvenuto pagamento.

Il motivo si conclude con la formulazione di sei quesiti di diritto, sostanzialmente riproduttivi dei quesiti formulati dalla ricorrente principale a conclusione del decimo motivo del proprio ricorso.

4.9. Con il nono motivo, B.F. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 cod. civ., in relazione agli artt. 2699 e 2700 cod. civ., e vizio di motivazione, per non avere riconosciuto alla certificazione di un notaio il suo valore di atto pubblico e la sua efficacia probatoria.

I due quesiti con i quali si conclude il motivo sono sostanzialmente sovrapponibili ai due quesiti formulati dalla ricorrente principale a conclusione dell’undicesimo motivo del proprio ricorso.

4.10. Con il decimo motivo, il ricorrente incidentale deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., in relazione all’art. 2697 cod. civ., nonchè vizio di omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia. La censura si riferisce alla mancata ammissione della richiesta prova testimoniale relativa alla certificazione notarile di cui al precedente motivo.

Formula quindi il seguente quesito di diritto:

“Dica il Supremo Collegio che il Giudice di appello, ove posto di fronte ad una legittima richiesta di prova ex art. 345 c.p.c., comma 3, deve necessariamente ammetterla o, altrimenti, se vuole negarla, deve fornire sul diniego congrua e convincente motivazione”.

4.11. Con l’undicesimo motivo, il B. lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 cod. civ. nonchè omessa pronuncia, sostenendo che la Corte d’appello non avrebbe valutato congiuntamente gli elementi probatori addotti a sostegno dell’intervenuto pagamento.

Formula quindi il seguente quesito di diritto:

“Dica il supremo Collegio che, nella specie, sussistono molteplici prove, tutte univoche, precise, gravi e concordanti, che, valutate nel loro complesso, consentono di risalire da fatti altrimenti noti al pagamento dell’intero prezzo della cessione, la cui prova, notoriamente, non deve necessariamente risultare da atto scritto”.

4.12. Con il dodicesimo motivo, B.F. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 1232 cod. civ. in relazione agli artt. 1224 e 1227 cod. civ., nonchè omessa motivazione su un punto decisivo, e cioè la questione relativa alla decorrenza degli interessi sulla somma dovuta.

In proposito, il ricorrente incidentale formula i seguenti quesiti di diritto:

“1. Dica il Supremo Collegio che non assolve l’obbligo della motivazione per il rigetto di un motivo di appello il solo rilievo che tale motivo “è infondato”.

2. Dica il Supremo Collegio che, nel “simultaneus processus”, cui da luogo un litisconsorzio (trilatero) alternativo per causa comune, i motivi di impugnazione sono comuni a tutte le parti impugnanti, che hanno diritto a beneficiarne anche senza bisogno di specifica deduzione”.

5. Deve essere esaminato, in via preliminare, il motivo n. 18 del ricorso principale, con il quale viene dedotta la violazione dell’art. 25 Cost. sul rilievo che l’accoglimento dell’istanza di anticipazione dell’udienza presentata dall’appellata e dal P. aveva determinato la modificazione della composizione del collegio giudicante.

Il motivo è infondato.

Il principio del giudice naturale precostituito per legge comporta che la causa non può essere distolta dal giudice che risulta essere competente sulla base delle disposizioni che ne determinano in astratto la competenza.

Nel caso di specie, ciò di cui si duole la ricorrente non attiene ad una violazione del suddetto principio, ma unicamente alla circostanza di fatto che l’accoglimento di una istanza di anticipazione dell’udienza di discussione abbia determinato una modificazione della composizione del Collegio, che, a suo avviso, integrerebbe una violazione del principio del giudice naturale.

Tale assunto non può essere condiviso, dal momento che, come affermato da questa Corte, “nel rito ordinario del giudizio di appello, non sussiste un principio di immutabilità del collegio prima che abbia inizio la fase della discussione, anche nel caso in cui la trattazione della causa si svolga in diverse udienze, atteso che mutamenti nella composizione del collegio sono consentiti fino all’udienza di discussione, in quanto solo da questo momento opera il principio che vieta la deliberazione della sentenza da parte di un collegio diversamente composto rispetto a quello che ha assistito alla discussione” (Cass., n. 26820 del 2007). Per altro verso, “la sostituzione del giudice senza l’osservanza delle condizioni stabilite dall’art. 174 cod. proc. civ. e art. 79 disp. att. cod. proc. civ. costituisce, in difetto di espressa sanzione di nullità, una mera irregolarità di carattere interno che non incide sulla validità dell’atto e non è causa di nullità del giudizio o della sentenza” (Cass. n. 13467 del 2003).

Alla luce di tali principi, che il Collegio condivide e intende riaffermare, la censura, peraltro genericamente formulata, deve essere disattesa.

6. Possono essere ora esaminati congiuntamente i motivi da 1 a 7 del ricorso principale e i motivi nn. 1, 2, 4, 5 e 6 del ricorso incidentale, in considerazione della connessione tra le questioni sollevate e della sostanziale coincidenza delle censure proposte dalla ricorrente principale e dal ricorrente incidentale.

6.1. I motivi indicati sono fondati nei limiti di cui si dirà.

Con tali motivi la sentenza impugnata è censurata perchè la Corte d’appello non avrebbe esaminato e adeguatamente valutato le questioni dedotte in sede di gravame in ordine alla qualificazione della chiamata in causa fatta da Italchimici nei confronti di B. F.. La Corte d’appello, come prima il Tribunale, non apprezzando adeguatamente la portata di tale atto di chiamata in causa e non qualificandolo come atto di chiamata in causa per integrazione del contraddittorio nei confronti di un litisconsorte necessario alternativo, non avrebbe quindi ritenuto che la domanda proposta con detto atto di chiamata potesse considerarsi comune anche alla attrice B.A., in considerazione della natura inscindibile delle posizioni rivestite dalle parti nella vicenda sostanziale. Quale effetto di tale omessa o errata valutazione, la Corte d’appello avrebbe poi ignorato l’esistenza del giudicato interno, formatosi sul capo della sentenza del Tribunale, non impugnato e quindi divenuto definitivo, che aveva accertato, nei rapporti tra Italchimici e B.F., nella qualità di procuratore della figlia A., l’avvenuto pagamento del prezzo delle azioni di proprietà di quest’ultima e cedute dal B. nella qualità.

Il Collegio ritiene che le censure, laddove criticano la sentenza impugnata quanto alla qualificazione della domanda introdotta da Italchimici con l’atto di chiamata in causa di B.F., colgano nel segno.

6.2. L’atto di chiamata in causa del B., della cui qualificazione si è discusso in sede di gravame – il che consente di escludere la fondatezza dei motivi in esame nella parte in cui denunciano sul punto una omessa pronuncia – e che forma oggetto di specifici motivi di ricorso o costituisce presupposto di altri (e precisamente di quelli che invocano l’operatività, nei confronti di B.A., del giudicato interno formatosi sul capo 4^ della sentenza di primo grado), e che può essere esaminato direttamente dal Collegio in considerazione della natura delle censure proposte, era denominato “atto di citazione in integrazione del contraddittorio” e in esso Italchimici ha formulato le seguenti conclusioni: “In via principale, respingere la domanda attrice perchè infondata in fatto e in diritto; in via subordinata, accertare e dichiarare che in data 10/08/1988 il sig. B. F., in qualità di procuratore speciale della Sig.ra B. A. ha ricevuto il corrispettivo dovuto per il trasferimento alla Fisons s.r.l. di 300 titoli azionari della società Italchimici s.p.a., di cui era titolare la sig.ra B.A.; in ogni caso, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda dell’attrice, accertare e dichiarare che il Sig. B.F. è tenuto a manlevare la Italchimrfici s.r.l. in ordine al pagamento che verrà determinato dal Tribunale adito”.

La Corte d’appello, in relazione alle questioni poste da Italchimici con uno specifico motivo di gravame in ordine alla portata e all’effetto dell’atto di chiamata in causa, e nel ritenere infondato il motivo, ha cosi testualmente argomentato: “Si premette, ad ogni buon conto, che nè nella comparsa di costituzione in primo grado nè nell’atto di citazione “in integrazione del contraddittorio” notificato al B., l’appellante ha mai negato la propria legittimazione a contraddire la domanda della B., nè ha accennato alle ragioni della chiamata solo ora esplicitate, essendosi limitata a chiedere che, nella denegata ipotesi di accoglimento della domanda di B.A., il tribunale, accertato che B. F. aveva ricevuto il corrispettivo delle azioni in qualità di procuratore della figlia, dichiarasse che questi era tenuto a manlevare Italchimici in ordine al pagamento della somma che sarebbe stata determinata dal giudice; tali conclusioni non sono mai state modificate nel corso del giudizio di primo grado. Al di là della formulazione letterale dell’atto di chiamata, – che, peraltro, il primo giudice non ha precisamente qualificato, dandogli, alla stregua della decisione adottata, un significato di generica garanzia -, non sembra che le eccezioni sollevate dall’appellante assumano un valore determinante, perchè le questioni della qualificazione giuridica della chiamata e della possibilità di condanna diretta del B., potrebbero avere un senso, – dal momento che Italchimici non nega che il pagamento delle azioni fosse un suo obbligo -, solo se essa avesse dimostrato il fatto fondamentale di aver puntualmente adempiuto; ma, come ritenuto dal primo giudice, essa non ha invece dato alcuna prova di tale circostanza, nè può pretendere di provarla attraverso le dichiarazioni rese dal B. nel presente giudizio”.

Orbene, al Collegio appare evidente l’errore nel quale è incorsa la Corte d’appello. Ai fini della qualificazione della domanda proposta da Italchimici nei confronti di B.F., con un atto denominato “atto di citazione in integrazione del contraddittorio”, la Corte d’appello, in luogo di valutare la portata della domanda con detto atto introdotta, e segnatamente la portata della domanda di accertamento dell’avvenuto pagamento del prezzo nelle mani del procuratore della proprietaria B.A., ha preso in esame, per escludere che detta domanda potesse esplicare la propria efficacia direttamente nei confronti dell’attrice, la questione della prova del pagamento; ha cioè risolto un problema di qualificazione giuridica di una domanda e di accertamento degli effetti della stessa nei confronti dei soggetti processuali con riferimento ad una questione di fatto che avrebbe potuto al più, ove correttamente ricostruita, rilevare ai fini della fondatezza della domanda stessa.

Peraltro, la stessa ricostruzione in fatto, in base alla quale la Corte d’appello ha escluso la possibilità di ritenere estesa al B. la domanda di pagamento proposta dall’attrice, contrasta con quanto accertato dal Tribunale sul piano dei rapporti intercorsi tra la chiamante e il chiamato. Profilo, questo, del quale la Corte d’appello afferma di non potersi occupare – dichiarando inammissibile il motivo di gravame con il quale B.F. aveva dedotto la contraddittorietà intrinseca della sentenza di primo grado – perchè sulla statuizione di condanna di B.F. a pagare a Italchimici quanto da questa dovuto ad B.A. il B. stesso non aveva proposto una specifica censura.

In sostanza, ad avviso del Collegio, la Corte d’appello, in mancanza di ogni contestazione sia in ordine alla esistenza di una procura speciale rilasciata da B.A. al padre F., sia relativamente al fatto che il trasferimento delle azioni, delle quali Amedea reclamava il pagamento del prezzo nei confronti dell’acquirente, era avvenuto sulla base di tale procura speciale, e in presenza di una citazione per integrazione del contraddittorio, nonchè di statuizioni contraddittorie contenute nella sentenza di primo grado, che, considerando atomisticamente i due rapporti dedotti in giudizio, da un lato, aveva escluso che risultasse provato il pagamento del prezzo da Italchimici al procuratore dell’attrice, e, dall’altro, nei rapporti tra quest’ultimo e l’acquirente, aveva invece ritenuto provato l’avvenuto pagamento, non avrebbe in alcun modo potuto assumere a criterio di qualificazione della situazione sostanziale dedotta in giudizio, e della stessa situazione processuale venutasi a creare con la chiamata in causa del procuratore dell’attrice, la mancanza di prova del pagamento del prezzo da Italchimici a B., giacchè la prova di detto fatto era stata contestualmente accertata dal Tribunale nella medesima sentenza, con statuizione che la stessa Corte d’appello ha rilevato non avere formato oggetto di impugnazione.

La qualificazione della situazione sostanziale avrebbe quindi dovuto essere condotta dal giudice del merito alla stregua delle posizioni dalle parti al momento della cessione, e valutando se, in ipotesi, la domanda di accertamento del pagamento del prezzo nelle mani del procuratore della venditrice potesse o no spiegare i propri effetti anche nei confronti della venditrice. Un simile effetto, invero, non potrebbe ritenersi escluso sol perchè, in fatto, non si è ritenuto accertato l’avvenuto pagamento; senza dire che la contestuale statuizione della sentenza di primo grado, che postulava che il pagamento nelle mani del procuratore fosse avvenuto, aveva introdotto un significativo elemento di contraddittorietà nello stesso accertamento in fatto, sulla base del quale si è escluso di poter valutare se la domanda proposta nei confronti del chiamato estendesse i suoi effetti anche nei confronti dell’attrice, pur se quest’ultima non aveva formulato alcuna conclusione nei confronti del chiamato in causa.

In particolare, la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare che l’accertamento richiesto nei confronti del terzo chiamato in causa – e cioè l’avvenuto pagamento del prezzo delle azioni di proprietà dell’attrice – aveva come destinatario un terzo qualificato, assumendosi che detto pagamento era avvenuto nelle mani del terzo quale procuratore della medesima attrice. In tale contesto, quindi, il Tribunale prima, e la Corte d’appello poi, avrebbero dovuto chiarire come sia possibile che la domanda diretta a sentir dichiarare e accertare che il pagamento del prezzo di una vendita mobiliare è stato eseguito nelle mani del chiamato, nella qualità di procuratore dell’attrice, non possa avere effetto nei confronti dell’attrice stessa una volta che risulti accertato che quel pagamento è avvenuto.

6.3. Nè possono essere condivise le obiezioni svolte dalla controricorrente in ordine alle questioni concernenti la qualificazione della domanda proposta nei confronti di B. F. e, più in generale, in ordine alla contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata.

La controricorrente, invero, ha sostenuto che la contraddizione esistente nella sentenza di primo grado sarebbe stata superata dalla Corte d’appello attraverso una rinnovata valutazione in fatto, all’esito della quale ha accertato che la domanda di pagamento doveva essere accolta perchè l’appellante Italchimici non aveva pagato il prezzo che avrebbe dovuto pagare. La Corte d’appello, in altri termini, avrebbe negato che un qualche pagamento sia intercorso tra Italchimici e B.F. sulla base di una autonoma e rinnovata valutazione delle risultanze istruttorie.

Le argomentazioni della resistente non possono essere condivise, giacchè la Corte d’appello, se da un lato ha rinnovato la propria valutazione in ordine alla inesistenza di una prova dell’avvenuto pagamento delle azioni da parte di Italchimici a B.F., ha, dall’altro, come del resto riconosce la stessa difesa della controricorrente, rilevato che sulla concorrente statuizione contenuta nel capo 4^ della sentenza di primo grado – che, giova ribadire, aveva dichiarato B.F. tenuto a manlevare Italchimici in relazione a quanto dalla stessa dovuto in esecuzione del capo di condanna in favore dell’attrice, sull’esplicito presupposto che era stato accertato il pagamento da Italchimici a B.F. in qualità di procuratore speciale della medesima attrice – il B. non aveva proposto alcuna censura. Ne consegue che la contraddizione della sentenza di primo grado, che puntualmente era stata denunciata dal B. e dalla stessa Italchimici, laddove avevano censurato la mancata qualificazione dell’atto di chiamata in causa come atto di integrazione del contraddittorio per litisconsorzio necessario alternativo, lungi dall’essere stata superata nella sentenza impugnata, risulta addirittura aggravata, dal momento che in sede di appello si è rilevata la mancanza di censure su una delle due statuizioni contrastanti.

In proposito, si deve poi osservare come, proprio per avere rilevato la mancanza di censure in ordine al capo 4^ della sentenza di primo grado e per effetto della reiezione dei motivi di gravame concernenti la chiamata in causa e la sua portata rispetto a tutte le parti del giudizio, la Corte d’appello ha finito con il non rilevare la perdurante contraddittorietà esistente tra l’affermazione della mancanza di prova dell’avvenuto pagamento da parte di Italchimici nelle mani del procuratore dell’attrice, e la impossibilità di porre nel nulla la statuizione della sentenza di primo grado che detto pagamento ha affermato essere avvenuto.

6.4. In conclusione, i primi sette motivi del ricorso principale e i motivi nn. 1, 2, 4, 5 e 6, del ricorso incidentale, debbono essere accolti con riferimento ai profili ora evidenziati, dovendosi affermare il seguente principio di diritto: “Nel caso in cui, introdotto un giudizio per il pagamento del prezzo della vendita di valori mobiliari nei confronti del convenuto acquirente, questi eccepisca l’avvenuto pagamento nelle mani del procuratore speciale della parte attrice e proponga altresì nei confronti di detto rappresentante domanda volta ad accertare l’avvenuto pagamento, nonchè a sentir condannare il medesimo procuratore a rilevarlo di quanto risultasse dovuto dall’acquirente, la qualificazione della chiamata in causa deve essere condotta alla stregua della prospettazione del rapporto esistente tra le parti, e non anche con riferimento alla esistenza o no della prova dell’avvenuto pagamento nelle mani del rappresentante dell’attrice”.

7. L’accoglimento degli indicati motivi comporta l’assorbimento delle censure proposte dalla ricorrente principale con i motivi da 8 a 15, e 19, nonchè dal ricorrente incidentale con i motivi 3 e da 7 a 12, in quanto la questione della esistenza o no della prova dell’avvenuto pagamento da parte di Italchimici a B.F., nella qualità di procuratore dell’attrice, dovrà essere riesaminata alla luce delle valutazioni alle quali perverrà la Corte d’appello in sede di nuovo esame delle questioni relative alla qualificazione della chiamata in causa effettuata da Italchimici nei confronti di B.F. e alla compatibilità tra le statuizioni contenute nella sentenza di primo grado quanto alla circostanza dell’avvenuto pagamento nelle mani del chiamato in causa, quale procuratore dell’attrice.

8. Vanno invece esaminati i motivi del ricorso principale con i quali Italchimici censura la statuizione della Corte d’appello di compensazione delle spese del giudizio nei confronti di P. M., il cui atto di intervento è stato dichiarato inammissibile. La necessità di esame di tali motivi discende dal fatto che la dichiarazione di inammissibilità dell’intervento non è più in discussione, non avendo formato oggetto di impugnazione in questa sede, sicchè la statuizione sulle spese connesse all’intervento dichiarato inammissibile non dipende dalle statuizioni che la Corte d’appello adotterà all’esito del rinnovato esame sui punti prima indicati.

La Corte d’appello, dopo aver dichiarato inammissibile l’intervento del P. per difetto dei requisiti di cui all’art. 344 cod. proc. civ. e per difetto di interesse ad agire, ha tuttavia ritenuto che le spese nei confronti dell’interveniente potessero essere compensate sulla base del rilievo che il suo irritale intervento, completamente adesivo alle difese della B., non aveva portato aggravi difensivi per gli appellanti.

La ricorrente principale censura tale statuizione ritenendola affetta da vizio di motivazione e contrastante con gli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., in quanto la Corte d’appello, pur adottando una decisione di tipo meramente processuale – inesistenza dei presupposti per l’intervento ai sensi dell’art. 344 cod. proc. civ. e carenza di interesse dell’interveniente – ha compensato le spese adducendo una motivazione illogica e insufficiente, perchè riferita alla comunanza sostanziale di posizione dell’interveniente con la parte adiuvata.

Ad avviso del Collegio, sussiste il denunciato vizio motivazionale, giacchè l’avere attratto la posizione processuale dell’interveniente a quella della parte rispetto alla quale l’intervento era adesivamente dipendente, rilevando l’assenza di aggravio di attività processuale, contrasta con la statuizione di inammissibilità dell’intervento per motivi processuali e quindi diversi da quelli il cui esame era compreso nella valutazione della posizione della parte adiuvata.

Può quindi affermarsi il seguente principio di diritto: “Allorquando il giudice di appello dichiari inammissibile un intervento in appello per ragioni meramente processuali (carenza di interesse ad agire;

difetto dei requisiti di cui all’art. 344 cod. proc. civ.), la compensazione delle spese può essere giustificata esclusivamente con riferimento al tipo di statuizione adottata e non anche alle posizioni di carattere sostanziale che con l’atto di intervento inammissibile l’interventore ha inteso sostenere”.

9. In conclusione, in accoglimento, nei sensi di cui in motivazione, dei motivi di ricorso di cui ai nn. da 1 a 7, 16 e 17 del ricorso principale e ai nn. 1, 2, 4, 5 e 6 del ricorso incidentale, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, la quale procederà a nuovo esame degli appelli proposti avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 10669 del 2005.

Al giudice del rinvio è demandata altresì una nuova valutazione del riparto delle spese del giudizio di appello nei confronti dell’interventore, il cui atto di intervento è stato dichiarato inammissibile, nonchè la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso autonomo (R.G. n. 5606/09); rigetta il motivo n. 18 del ricorso principale; accoglie nei sensi di cui in motivazione i motivi da 1 a 7 e 16 e 17 del ricorso principale nonchè i motivi 1, 2, 4, 5 e 6 del ricorso incidentale; dichiara assorbiti gli altri motivi del ricorso principale e di quello incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, a diversa sezione della Corte d’appello di Roma.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 22 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2010

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