Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4251 del 19/02/2020

Cassazione civile sez. I, 19/02/2020, (ud. 02/10/2019, dep. 19/02/2020), n.4251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9141/2015 proposto da:

P.A., e A.D.N.A., quali eredi

legittime di A.D.N.O., nonchè

A.D.N.G. e Ab.De.Na.Al., elettivamente

domiciliati in Roma, Via Ronciglione n. 3, presso lo studio

dell’avvocato Gullotta Fabio che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Buffolo Andrea, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Regione Puglia, Ufficio Del Genio Civile Regione Puglia, in persona

dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in

Roma, Corso Trieste n. 173, presso lo studio dell’avvocato Intino

Ciro, rappresentati e difesi dall’avvocato Sportelli Martino, giusta

procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

contro

Comune Di Bari, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, V. Panama n. 74, presso lo studio dell’avvocato

Iacobelli Gianni Emilio e Colapinto Carlo, rappresentato e difeso

dall’avvocato D’Innella Raffaele, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e sul ricorso 9641/2017 proposto da:

P.A. e A.D.N.A. quali eredi

legittime di A.D.N.O., nonchè

A.D.N.G. e Ab.De.Na.Al., elettivamente

domiciliati in Roma, Via Ronciglione n. 3, presso lo studio

dell’avvocato Gullotta Fabio che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato Buffolo Andrea, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Comune Di Bari, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma, V. Panama n. 74, presso lo studio dell’avvocato

Iacobelli Gianni Emilio e Colapinto Carlo, rappresentato e difeso

dall’avvocato D’Innella Raffaele, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

contro

Regione Puglia, Ufficio Del Genio Civile Regione Puglia, in persona

dei legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliati in

Roma, Viale Giulio Cesare n. 95, presso lo studio dell’avvocato

Messina Pietro, rappresentati e difesi dall’avvocato Sportelli

Martino, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1875/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI, del

25/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

02/10/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Bari, con sentenza del 14 settembre 1999, pronunciando sulla domanda proposta da D.N.F., M. e A. nonchè A.D.N.O., G. e Al. avente ad oggetto il risarcimento dei danni da occupazione appropriativa di terreno sito nel Comune di (OMISSIS) avente estensione complessiva di mq. 3.578 e dell’indennità di occupazione legittima relativa al medesimo terreno, rigettava l’eccezione di prescrizione, affermava la legittimazione del Comune di Bari e della regione Puglia e condannava dette ultime due parti in solido al pagamento di Lire 237.600.000 a titolo di risarcimento dei danni, oltre a Lire 59.000.000 a titolo di indennità di occupazione legittima.

2. La Corte d’appello di Bari, con sentenza non definitiva del 26 febbraio 2004, confermava il rigetto dell’eccezione di prescrizione e di difetto di legittimazione passiva, dichiarava l’inammissibilità dell’appello incidentale dei privati diretto a ottenere una liquidazione dei danni in misura maggiore e disponeva la prosecuzione del giudizio per la liquidazione del risarcimento dei danni e dell’indennità di occupazione legittima, previo espletamento di un supplemento di consulenza tecnica.

3. Con sentenza definitiva del 5 aprile 2006, la Corte territoriale liquidava il danno, sulla base del D.L. n. 333 del 1992, art. 5 bis, comma 7 bis, in Euro 39.243,00 e l’indennità di occupazione legittima in Euro 8.918,86, disattendendo le conclusioni della c.t.u. che, al fine di determinare un valore il più possibile in linea con quello di mercato, aveva incrementato i dati emergenti dagli atti di compravendita di terreni simili in epoca vicina a quella dell’irreversibile trasformazione con quelli risultanti da una rivista nazionale specializzata.

4. Avverso le due sentenze della Corte di appello di Bari proponevano ricorso per cassazione A.D.N.O., G. e Al. sulla base di tre motivi, illustrati con memoria. Resistevano con autonomi controricorsi, da un lato, la regione Puglia e l’ufficio regionale del Genio Civile e, dall’altro, il Comune di Bari. Ciascuno dei controricorrenti proponeva ricorso incidentale affidato a due motivi. I ricorrenti depositavano memoria con la quale invocavano l’applicazione dello jus superveniens costituito dalla L. n. 244 del 2007, art. 2, della cui costituzionalità tuttavia dubitavano per l’illogica equiparazione del risarcimento derivante da occupazione acquisitiva all’indennità per espropriazione legittima, anche ai fini tributari, a causa dell’applicazione della tassazione prevista dalla L. n. 413 del 1991, art. 11, anche alla percezione di somme di natura risarcitoria.

5. Con la sentenza n. 19510/2010 questa Corte accoglieva il primo motivo di ricorso principale, ritenendo ammissibile l’appello incidentale proposto dal difensore munito di procura alle liti in calce all’atto di appello, dichiarava assorbiti gli altri motivi di ricorso principale, rigettava i ricorsi incidentali e rimetteva al giudice del rinvio l’esame della domanda di liquidazione dei danni, anche alla luce della nuova disciplina dettata con la L. n. 244 del 2007.

6. Con sentenza n. 1875/2014 pubblicata il 25-11-2014, la Corte d’Appello di Bari, pronunciando nel giudizio di rinvio riassunto dagli A.D.N. all’esito della citata sentenza di questa Corte n. 19510/2010, così ha statuito: “1) ridetermina il risarcimento del danno da occupazione acquisitiva e l’indennità da occupazione legittima dovuti alle parti espropriate, rispettivamente, in Euro 70.785,46 ed in Euro 17.706,05; 2) condanna in via definitiva il Comune e la Regione in solido al pagamento in favore degli appellanti incidentali della somma di Euro 70.785,46 oltre rivalutazione annuale ed interessi legali calcolati anno per anno sul capitale rivalutato annualmente, da agosto 1978 all’effettivo soddisfo; 3) ordina alla Regione Puglia ed al Comune di Bari di versare presso la Cassa DD. e PP. la somma di Euro 17.706,05 oltre interessi legali da agosto 1978 al deposito, in favore degli appellanti in riassunzione, detratto quanto versato; 4) compensa per metà tra gli appellanti in riassunzione, la Regione Puglia ed il Comune di Bari le spese processuali, condannando la Regione ed il Comune al rimborso del residuo in favore degli espropriati, liquidando il tutto per il primo grado di giudizio in Euro 5.900,00 (Euro 800,00 per borsuali, Euro 2.000,00 per diritti ed Euro 3.100,00 per onorari); per il primo giudizio di appello in Euro 7.915,00 (Euro 415,00 per esborsi, Euro 3.000,00 per diritti, Euro 4.500 per onorario); per il giudizio di legittimità in Euro 8.500 (Euro 2.500 per diritti, Euro 6.000,00 per onorario); per il giudizio di rinvio in Euro 9.897,00 (Euro 382,00 per borsuali, Euro 9.515,00 per onorario), oltre ai relativi rimborsi forfettari, CAP ed IVA come per legge; 5) pone in via definitiva le spese delle C.T.U. espletate per metà a carico della Regione Puglia e del Comune di Bari in solido e per la restante metà a carico degli espropriati in solido; 6) condanna il Comune di Bari, la Regione Puglia e gli A.D.N., in solido tra loro, alla rifusione delle ulteriori spese processuali sostenute dal Ministero e liquidate per ciascuno dei due giudizi – di appello e di rinvio – in Euro 4.000,00 (Euro 2.000,00 per diritti ed Euro 2.000,00 per onorario), oltre rimborso forfettario, cap ed iva come per legge”. La Corte territoriale, nel rideterminare il risarcimento del danno da occupazione acquisitiva e l’indennità di occupazione legittima anche alla luce della nuova disciplina dettata con la L. n. 244 del 2007, ha ritenuto che:1) sulla natura edificatoria si fosse formato il giudicato implicito e interno; 2) mediante il metodo sintetico comparativo utilizzato dal CTU nominato nella pregressa fase d’appello era stato accertato il prezzo di mercato di immobili omogenei, con riferimento tanto agli elementi materiali, quali la natura, la posizione e la consistenza morfologica, quanto alla condizione giuridica, nonchè avuto riguardo ad un arco temporale (dal 1972 al 1976) prossimo, ancorchè non coincidente, con il 1978, anno in cui avrebbe dovuto, al più tardi, emettersi il decreto di esproprio; 3) non fosse condivisibile il criterio correttivo indicato dal CTU, consistente in un incremento della stima in base a informazioni di derivazione giornalistica, ancorchè specializzata, in quanto non era possibile verificare il modo di formazione del dato e la fonte di acquisizione dell’informazione, nè era possibile apprezzare la rappresentatività dei dati utilizzati per la comparazione, essendo l’informazione sulla stima riportata nella suddetta rivista specializzata genericamente riferita a zona, ampia ed indistinta, della periferia di Bari, ossia non specificatamente individuata nelle sue caratteristiche; 4) le doglianze dei privati circa la diminuzione di valore della proprietà residua e sulla perdita di cd. panoramicità e tranquillità fossero state formulate senza confutare le motivate argomentazioni di cui alla sentenza di primo grado, in base alle quali era stato escluso che fossero riconducibili all’edificazione della scuola la “perdita di tranquillità”, non sussistente effettivamente, le variazioni di destinazione urbanistica della zona, dipese da varianti al P.R.G., nonchè la dedotta limitazione di panoramicità, essendo solo ipotetica la variabile di fabbricazione prospettata a fondamento della suddetta limitazione.

4. Avverso questa sentenza, P.A. e A.D.N.A., quali eredi legittime di A.D.N.O., nonchè A.D.N.G. e Ab.De.Na.Al. propongono ricorso (r.g.n. 91412015), affidato a quattro motivi, resistito con controricorso dal Comune di Bari e dalla Regione Puglia.

5. Con ordinanza emessa in data 10-2-2017 e depositata il 13-2-2017 la Corte d’appello di Bari ha disposto la correzione della sentenza della stessa Corte n. 1875/2014 nel senso che, nel dispositivo della stessa, in coda ai capi 2) e 4), rispettivamente dopo le locuzioni “… all’effettivo soddisfo” e “… come per legge” deve intendersi inserito l’inciso “detratto quanto versato”. La Corte territoriale, richiamata la giurisprudenza di questa Corte in tema di ammissibilità del procedimento di correzione di errore materiale nei casi di errore omissivo di cd. carattere necessitato (Cass. n. 2819/2016), ha affermato che l’omessa previsione, in sentenza, della detrazione dal dovuto delle somme già pagate agli aventi diritto a titolo di risarcimento danni e di spese, fosse frutto di mero refuso, risultando doverosa la statuizione sul punto, considerato che la detrazione era stata chiesta dagli stessi riassumenti e che l’omissione, ingiustificata, di detta detrazione, determinava errore di calcolo, risultando così riconosciute agli aventi diritto somme superiori a quelle liquidate in sentenza. La Corte territoriale ha affermato che non v’era dubbio sul fatto che gli A. e la P., erede di A.D.O., avessero ricevuto dal Comune di Bari, in data 8/8/07, la somma di Euro 184.554,80 al netto della r.a. (lordi Euro 230.681,00) e, in data 29/10/08, quella di Euro 179.843,20 al netto della r.a. (lordi Euro 224.804,00), e che non v’era dubbio sul fatto che il detto Comune versò, in data 22/6/09, presso la Cassa DD.PP. la somma di Euro 18.554,40, al netto di r.a. (lordi 23.193,00), con riferimento all’indennità di occupazione legittima (Euro 8.918,00 per sorte capitale ed Euro 14.274,45 per interessi). La Corte d’appello ha altresì affermato che il dato, come sopra evidenziato, era emerso nel corso del giudizio definito con la sentenza oggetto di istanza di rettifica, come emerge dalla memoria di replica del 30/10/2014, a firma del difensore del Comune di Bari, e dalla memoria di replica degli stessi A. – D., in data 31/10/2014. Questi ultimi, infine, nel riassumere la causa avanti al giudice del rinvio, avevano espressamente chiesto la rideterminazione del dovuto in loro favore al netto di quanto già percepito.

6.Avverso la sentenza n. 1875/2014 della Corte d’appello di Bari, come risultante all’esito delle correzioni disposte con la citata ordinanza, propongono P.A. e A.D.N.A., quali eredi legittime di A.D.N.O., nonchè A.D.N.G. e Ab.De.Na.Al. separato ricorso, affidato a due motivi, resistito con controricorso dal Comune di Bari e dalla Regione Puglia. Le parti ricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso di cui al n. 9141-2015 r. g. i ricorrenti lamentano “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – Omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti – Malgoverno delle C.T.U. rese nel corso degli anni”. Ad avviso dei ricorrenti la Corte territoriale ha correttamente rideterminato il danno da occupazione acquisitiva in ragione del valore venale dell’area appresa, e tuttavia ne ha drasticamente ridotto il valore al metro quadrato (da Lire 80.429/mq. a Lire 38.306/mq.). Deducono i ricorrenti che, come indicato dal loro consulente di parte, nel fare ricorso al sistema sintetico-comparativo, scelto dalla Corte territoriale, era necessario fare riferimento al valore del terreno indicato nella rivista specializzata in stime immobiliari “(OMISSIS)”, attesa “la quasi assoluta assenza di atti di compravendita per terreni analoghi e/o coevi a quello dei ricorrenti”. In base ai dati desumibili da detta rivista il valore del terreno risulta pari a Euro 590.000/650.000 alla data dell’occupazione (27-8-1973). Richiamano la motivazione della sentenza parziale n. 127/2004 della Corte d’appello di Bari, secondo la quale non erano utilizzabili elementi di comparazione riferiti ad anni diversi dal 1978. Assumono che la decisione del Giudice del rinvio si pone in contrasto con quanto affermato sempre dalla Corte d’appello di Bari nella sentenza parziale n. 127/2004 e nella sentenza definitiva n. 331/2006. Rimarcano che la rivista specializzata “(OMISSIS)” era stata indicata come fonte attendibilissima dal C.T.U. ed il Giudice del rinvio, pur potendo discostarsi dalle conclusioni del perito, non aveva illustrato, come avrebbe dovuto, le motivazioni giustificative della relativa statuizione e i passaggi del ragionamento seguito. I ricorrenti chiedono, pertanto, che venga utilizzato l’unico dato certo, ossia quello indicato nella citata rivista, al quale dovrà aggiungersi il danno patito dai ricorrenti per la perdita di valore della proprietà residua (relitto a Nord e a Sud) e quantificato il degrado dell’intero complesso immobiliare residuo, vertendosi in ipotesi di fatto illecito, in conseguenza dell’annullamento del decreto di esproprio. Sull’indennità così calcolata al 28-8-1978 andranno aggiunti interessi da computarsi secondo i criteri indicati nella sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 1712/1995.

2. Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.

2.1. Occorre premettere che il ricorso per cassazione avverso una sentenza emessa a seguito di rinvio disposto a norma dell’art. 383 c.p.c., è disciplinato, quanto ai motivi deducibili, dalla legge temporalmente in vigore all’epoca della proposizione dell’impugnazione, in base al generale principio processuale tempus regit actum ed a quello secondo cui il giudizio di rinvio, a seguito di cassazione, integra una nuova ed autonoma fase processuale di natura rescissoria. Da ciò consegue che, se la sentenza conclusiva del giudizio di rinvio è stata pubblicata dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della L. 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, vale a dire dal giorno 11 settembre 2012, trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella nuova formulazione restrittiva introdotta dell’art. 54, comma 1, lett. b), del suddetto D.L. (Cass. n. 26654/2014 e Cass. n. 10693/2016). Nella specie la sentenza impugnata è stata pubblicata il 25-112014, ossia dopo l’11-9-2012. Pertanto il vizio denunciato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere scrutinato secondo il paradigma legale novellato nel 2012.

Ciò posto, l’esame del fatto decisivo che si assume omesso, riferito ai dati risultanti dalla rivista specializzata menzionata dal consulente d’ufficio, è stato, invece, compiutamente effettuato dalla Corte territoriale, che, con adeguata motivazione, ha ritenuto non utilizzabili i suddetti dati, ai fini della determinazione del valore dei beni mediante il criterio sintetico-comparativo. In particolare la Corte d’appello ha affermato, effettuando una valutazione probatoria incensurabile in sede di legittimità, che l’annuario immobiliare 2003 del (OMISSIS) ore non conteneva informazioni sufficientemente probanti circa la determinazione del valore dei beni in contestazione. Non era, infatti, possibile verificare il modo di formazione del dato e la fonte di acquisizione dell’informazione, nè era possibile apprezzare la rappresentatività dei dati utilizzati per la comparazione, essendo l’informazione sulla stima riportata nella suddetta rivista specializzata genericamente riferita a zona, ampia ed indistinta, della periferia di Bari, ossia non specificatamente individuata nelle sue caratteristiche.

La censura espressa dai ricorrenti con riferimento a quanto appena precisato è, dunque, infondata.

2.2. E’ inammissibile la doglianza che riguarda il danno per la perdita di valore della proprietà residua, sia perchè genericamente espressa, sia perchè non coglie la ratio decidendi. La Corte d’appello ha affermato (pag.n. 16 della sentenza impugnata) che i privati non avevano svolto doglianze a confutazione delle argomentazioni svolte dal Tribunale, con le quali era stato escluso che fossero riconducibili all’edificazione della scuola: a) la “perdita di tranquillità”, non sussistente effettivamente; b) le variazioni di destinazione urbanistica della zona, dipese da varianti al P.R.G.; c) la dedotta limitazione di panoramicità, essendo solo ipotetica la variabile di fabbricazione prospettata a fondamento della suddetta limitazione. I ricorrenti non censurano il suddetto percorso argomentativo e si limitano, inammissibilmente, solo a ribadire in modo generico di avere diritto anche al risarcimento del danno subito per la perdita di valore della proprietà residua.

3. Con il secondo motivo lamentano “art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3 – violazione o falsa applicazione di norme di diritto – illogica equiparazione della misura dell’indennità dovuta a seguito di esproprio legittimo al danno derivante da esproprio illegittimo – questione di legittimità costituzionale”. Deducono i ricorrenti di avere diritto al danno non patrimoniale collegato al carattere illegittimo dell’iter espropriativo, dovuto in misura non inferiore al 10% del valore dell’area e affermano che su tale pretesa vi sia omessa pronuncia (pag. n. 30 ricorso). Assumono l’illegittimità costituzionale della L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, peraltro già rimessa al vaglio del Giudice delle leggi con ordinanza n. 441/2014 delle Sezioni Unite di questa Corte. Ad avviso dei ricorrenti, con tale norma è stato introdotto un sistema premiante per la P.A. che si appropria illegittimamente del bene del privato e, mentre è previsto l’aumento del 10% dell’indennità di espropriazione nel caso di cessione volontaria, non è stata introdotta, in violazione degli artt. 3 e 24 Cost., disposizione di analogo contenuto in favore del privato in ipotesi di occupazione appropriativa. Assumono, pertanto, che debba essere loro riconosciuto un quid pluris, da determinarsi in misura non inferiore al 10% del valore dell’area. Richiamano la sentenza Guiso-Gallisay/Italia del 22-12-2009 della Grande Camera di Strasburgo, con la quale era stato riconosciuto al proprietario espropriato il pregiudizio subito per perdita di chance, detraendo la somma ottenuta dai ricorrenti a tutolo di indennità di occupazione, nonchè la sentenza Scordino/Italia del 20-3-2006, con la quale era stato affermato il principio che le conseguenze finanziarie di un esproprio legittimo non possono essere assimilate a quelle di un’occupazione illegittima. Ad avviso dei ricorrenti, il criterio sanzionatorio desumibile dalle citate sentenze non è stato recepito dal citato art. 2.

4. Il motivo è inammissibile.

4.1. Questa Corte ha ripetutamente affermato che “la parte che impugna una sentenza con ricorso per cassazione per omessa pronuncia su una domanda o eccezione ha l’onere, per il principio di autosufficienza del ricorso, a pena di inammissibilità, di specificare in quale atto difensivo o verbale di udienza l’ha formulata, per consentire al giudice di verificarne la ritualità e tempestività, e quindi la decisività della questione, e perchè, pur configurando la violazione dell’art. 112 c.p.c., un error in procedendo, per il quale la Corte di Cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, il potere-dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte indicarli” (tra le tante Cass. n. 5344/2013).

4.2. I ricorrenti, nel dolersi dell’omessa pronuncia sulla domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, non indicano quando, come e dove sia stata proposta detta domanda (pag. n. 30 ricorso).

Alla luce delle suesposte considerazioni, il motivo è inammissibile e ne consegue il difetto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale prospettata dai ricorrenti, in disparte le precisazioni di cui alla sentenza delle Sezioni Unite di questa Corte n. 735/2015.

5. Con il terzo motivo i ricorrenti lamentano “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione o falsa applicazione di norme di diritto – Mancata applicazione della rivalutazione all’indennità di occupazione legittima”. Deducono di aver espressamente chiesto la rivalutazione della suddetta indennità e lamentano omessa pronuncia della Corte territoriale sul punto. Richiamano l’orientamento di questa Corte (tra cui Cass. n. 14005/1999) secondo il quale la rivalutazione monetaria è dovuta sul credito di valuta qualora il creditore dimostri, anche ricorrendo a presunzioni semplici, che un tempestivo pagamento avrebbe consentito di ridurre il pregiudizio derivante dal deprezzamento della moneta e rimarcano che dal 1978 attendono il pagamento di quanto dovuto.

6. Anche detto motivo è inammissibile.

6.1. Richiamato il principio di diritto in tema di deducibilità in cassazione del vizio di omessa pronuncia già menzionato (p. 4.1.), anche in relazione alla censura di cui trattasi i ricorrenti non indicano quando, come e dove sia stata proposta la domanda di rivalutazione del credito per indennità di occupazione legittima, pur riportando la frase in virgolettato (pag. n. 39 ricorso), in disparte quanto chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 19499/2008.

7. Con il quarto motivo lamentano “art. 360 c.p.c., comma 1 n. 5 – Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti – Mancata pronuncia sulla questione dell’illegittimità del prelievo fiscale sulle somme riconosciute agli espropriati – questione di legittimità costituzionale”. Assumono i ricorrenti di aver ampiamente esposto nel giudizio di rinvio come il principio indennitario/risarcitorio di cui alla L. n. 244 del 2007, art. 2, comma 89, sia in contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 2,3,10,11,24,28,42,97 e 133 Cost., anche nella parte in cui non prevede che la liquidazione delle somme spettanti agli espropriati debba essere al netto delle eventuali imposte applicabili. I ricorrenti ripropongono la questione, vista l’omessa pronuncia del Giudice di rinvio sulla questione, e rimarcano che l’ingiustizia e la gravosità del prelievo fiscale è stata più volte affermata dalla CEDU, come da sentenze che richiamano (Sentenza dell’11-12-2003 Carbonara Ventura/Italia; Sentenza della Grande Camera del 29-3-2006 Scordino/Italia; Sentenza del 17-11-2008 Matteoni/Italia; Sentenza n. 36818/97 Pasculli/Italia; Sentenza Guiso Gallisay/Italia; Di Belmonte/Italia 3 giugno 2004). Ad avviso dei ricorrenti per sottrarre l’espropriato dall’ingiusto abbattimento del 20% che inevitabilmente farà seguito alla sentenza, occorrerà che le somme liquidate siano calcolate sul 125% del valore del bene.

8. La doglianza è infondata.

8.1. Occorre premettere che la questione di legittimità costituzionale di una norma, in quanto strumentale rispetto alla domanda che implichi l’applicazione della norma medesima, non può costituire oggetto di un’autonoma istanza rispetto alla quale, in difetto di esame, sia configurabile un vizio di omessa pronuncia, ovvero (nel caso di censure concernenti le argomentazioni svolte dal giudice di merito) un vizio di motivazione, denunciabile con il ricorso per cassazione, giacchè la relativa questione è deducibile e rilevabile nei successivi stati e gradi del giudizio, ove rilevante ai fini della decisione (Cass. n. 8777/2018). Nel caso di specie la censura, pur se formulata in relazione al vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e senza richiamo dell’atto difensivo in cui era stata espressa nel giudizio di rinvio, riguarda il dedotto contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali ed è stata, in ogni caso, proposta mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata, sicchè in tale ottica, prescindendo da profili di inammissibilità, deve essere scrutinata.

8.2. Ciò posto, secondo il costante orientamento di questa Corte, al quale il Collegio intende dare continuità, è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. n. 413 del 1991, art. 11, in relazione all’art. 117 Cost., ed altresì con riferimento all’art. 1 del Primo Protocollo addizionale alla CEDU, nella parte in cui prevede la tassazione delle plusvalenze conseguenti alla percezione dell’indennità di esproprio ed anche del risarcimento del danno per occupazione usurpativa, in quanto, per un verso, non attiene al contemperamento, richiesto dal detto art. 1, tra le esigenze di interesse generale della comunità e la tutela del diritto fondamentale di proprietà, bensì al momento successivo dell’esercizio del potere impositivo dello Stato sui propri contribuenti, e, per un altro, la stessa Corte Europea dei diritti dell’uomo ha ritenuto che l’imposta in questione non costituisce un onere “irragionevole e sproporzionato” a carico del proprietario (tra le tante da ultimo Cass. n. 8820/2019; Cass. n. 30440/2018; Cass. n. 26417/2018). Infatti, la stessa Corte di Strasburgo ha stabilito (Corte EDU, 16/01/2018, Cacciato v. Italia; Corte EDU, 8/02/2018, Guiso e Consiglio v. Italia) che l’imposta del 20%, introdotta dalla L. n. 413 del 1991, art. 11, non integra una violazione del diritto di proprietà garantito dall’art. 1 del Protocollo n. 1 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. In particolare, secondo la Corte di Strasburgo, per quanto la somma tassata costituisca un “bene” tutelato dalle garanzie di cui alla citata disposizione pattizia, va considerato che: a) uno Stato contraente, non da ultimo quando formula e attua politiche in materia fiscale, gode di un ampio margine di apprezzamento, poichè spetta principalmente alle autorità nazionali decidere il tipo di imposte o di contributi che intendono imporre, in quanto le decisioni in tale materia comportano usualmente la valutazione di questioni politiche, economiche e sociali che la Convenzione lascia alla competenza degli Stati parti, poichè le autorità interne sono più idonee della Corte sotto tale profilo; b) l’aliquota fiscale pari al 20% non può essere considerata, dal punto di vista quantitativo, un onere irragionevole e sproporzionato a carico del proprietario, anche perchè la cifra da versare non ha una portata tale da rendere il pagamento dell’imposta simile a una confisca, non intaccando l’entità della somma tassata in relazione al valore di mercato dei terreni, sicchè la suddetta misura fiscale non giunge al punto di compromettere la sostanza stessa del diritto di proprietà il cui ristoro è stato liquidato con l’importo tassato; c) la normativa fiscale italiana offre ai contribuenti la facoltà di accettare la detrazione del 20% applicata alla somma ottenuta, oppure optare per la tassazione ordinaria, che determina l’importo dovuto come imposta tenendo conto delle plusvalenze unitamente alle altre componenti del loro reddito (così Cass. n. 8820/2019 citata).

I principi suesposti trovano applicazione anche nell’ipotesi, come quella in esame, in cui l’importo tassato sia stato liquidato quale risarcimento danni a seguito di occupazione usurpativa o appropriativa, poichè anche in questo caso appare decisiva la valutazione della Corte di Strasburgo in ordine all’inidoneità dell’aliquota fiscale ad incidere sostanzialmente sul valore del bene, in misura tale da compromettere la sostanza stessa del diritto di proprietà da risarcire.

9. Passando, ora, all’esame del ricorso di cui al n. 9641/2017 r.g., concernente l’impugnazione della medesima sentenza n. 1875/2014 come corretta con ordinanza della Corte d’appello di Bari 10/13-22017, del quale va disposta la riunione all’altro procedimento, con il primo motivo i ricorrenti lamentano “art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3 – violazione o falsa applicazione di norme di diritto-Violazione del giudicato che si è formato sulla sentenza n. 1875/2014 – art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c.- art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – nullità del procedimento ex art. 287 c.p.c.”. Sostengono i ricorrenti, pur dando atto di aver chiesto nella citazione in riassunzione la sottrazione dal dovuto di quanto già effettivamente percepito, che la Corte territoriale aveva disposto l’imputazione dei pagamenti già avvenuti, non indicati nel dettaglio, alla sola voce indennità (capo 3 del dispositivo) e non alla posta risarcitoria, e che gli esproprianti non avevano proposto la domanda di detrazione degli acconti pregressi, sicchè ad avviso dei ricorrenti si era formato il giudicato sulla suddetta statuizione, non impugnata con ricorso per cassazione, neppure incidentale, dagli esproprianti. Inammissibilmente, così accogliendo tardivamente una domanda mai svolta, la Corte territoriale aveva effettuato le correzioni ora impugnate e disposto l’aggiunta dell’inciso “detratto quanto versato” in coda ai capi 2) e 4) del dispositivo della sentenza n. 1875/2014, incorrendo in una macroscopica violazione del giudicato, ad avviso dei ricorrenti. Sostengono che anche la mancata statuizione sulla domanda di rivalutazione monetaria è un’evidente omissione, equiparabile alle mancate detrazioni degli acconti, ma non per questo i ricorrenti hanno fatto valere le proprie ragioni presentando istanza di correzione di errore materiale. La violazione del giudicato era ravvisabile anche con riferimento alla correzione del capo 4 del citato dispositivo, attinente alla regolamentazione delle spese di lite di tutti i gradi di giudizio. I ricorrenti riconoscono che la Corte territoriale, errando, ha condannato gli esproprianti a pagare una seconda volta le spese del giudizio di primo grado, che erano state già versate ai ricorrenti in esecuzione della sentenza di primo grado, e tuttavia sostengono che l’errore avrebbe dovuto essere oggetto di impugnativa e che anche su tale statuizione si è formato giudicato.

10. Con il secondo motivo di cui al ricorso r.g. n. 9641/2017 i ricorrenti lamentano “art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione o falsa applicazione di norme di diritto – Violazione della corrispondenza tra chiesto e pronunciato – art. 112 c.p.c.”. Con riferimento alle spese di lite del primo grado, pagate ai ricorrenti dagli enti esproprianti in esecuzione della sentenza di primo grado, ribadiscono che sulla statuizione si era formato il giudicato e non si trattava di errore emendabile con la procedura ex art. 287 c.p.c.. Rimarcano che la domanda degli esproprianti di detrarre gli acconti versati era stata introdotta tardivamente solo nel procedimento per correzione di errore materiale e mai formulata nel giudizio di rinvio.

11. I due motivi, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono fondati nei limiti di cui di seguito precisati.

11.1. Occorre premettere che con ordinanza emessa in data 10-2-2017 e depositata il 13-2-2017 la Corte d’appello di Bari ha disposto la correzione della sentenza della stessa Corte n. 1875/2014 nel senso che, nel dispositivo della stessa, in coda ai capi 2) e 4), rispettivamente dopo le locuzioni “… all’effettivo soddisfo” e “… come per legge” deve intendersi inserito l’inciso “detratto quanto versato”. La Corte d’appello aveva invece già statuito la detrazione con riferimento ai crediti indennitari (capo 3 del dispositivo, che non è stato infatti modificato con l’ordinanza di correzione). La Corte territoriale ha affermato che non v’era dubbio sul fatto che gli A. e la P., erede di A.D.O., avessero ricevuto dal Comune di Bari, in data 8/8/07, la somma di Euro 184.554,80 al netto della r.a. (lordi Euro 230.681,00) e, in data 29/10/08, quella di Euro 179.843,20 al netto della r.a. (lordi Euro 224.804,00), e che non v’era dubbio sul fatto che il detto Comune versò, in data 22/6/09, presso la Cassa DD.PP. la somma di Euro 18.554,40, al netto di r.a. (lordi 23.193,00), con riferimento all’indennità di occupazione legittima (Euro 8.918,00 per sorte capitale ed Euro 14.274,45 per interessi). La Corte d’appello ha altresì affermato che i dati, come sopra evidenziati, erano emersi nel corso del giudizio definito con la sentenza oggetto di istanza di rettifica, come da memoria di replica del 30/10/2014, a firma del difensore del Comune di Bari, e da memoria di replica degli stessi A. – D., in data 31/10/2014. Questi ultimi, infine, nel riassumere la causa avanti al giudice del rinvio, avevano espressamente chiesto la rideterminazione del dovuto in loro favore al netto di quanto già percepito.

Sulla scorta di tali premesse, la Corte barese ha disposto la correzione nei termini di cui si è detto, ritenendo che l’omessa previsione, in sentenza, della detrazione dal dovuto delle somme già pagate agli aventi diritto a titolo di risarcimento danni e di spese, fosse frutto di mero refuso, atteso che risultava doverosa la statuizione sul punto, trattandosi di errore omissivo di cd. carattere necessitato.

11.2. Così ricostruito il percorso argomentativo che i Giudici di merito hanno posto a giustificazione della ritenuta ammissibilità del procedimento ex art. 287 c.p.c., nella fattispecie in esame, occorre precisare che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, deve qualificarsi come errore materiale suscettibile di correzione, quello che non riguarda la sostanza del giudizio, ma la manifestazione del pensiero all’atto della formazione del provvedimento e si risolve in una fortuita divergenza fra il giudizio e la sua espressione letterale, cagionata da mera svista o disattenzione nella redazione della sentenza e come tale percepibile e rilevabile ictu oculi (da ultimo, tra le tante Cass. n. 572/2019). E’ stato altresì di recente esteso l’ambito di ammissibilità del procedimento di correzione di errore materiale a talune omissioni, ma solo in quanto caratterizzate dalla natura necessaria della statuizione omessa, perchè da adottarsi senza margine di discrezionalità oppure perchè “accessoria e consequenziale a contenuto predeterminato”, come in ipotesi di mancata pronuncia sulle spese della parte civile (Sezioni Unite Penali n. 7945/2008), o sull’istanza di distrazione formulata dal difensore (Sezioni Unite civili n. 16037/2010), o sulla restituzione di quanto pagato in esecuzione della sentenza di primo grado riformata in appello (Cass. n. 2819/2016 citata nell’ordinanza di correzione).

11.3. Nel caso di specie, in base a quanto affermato nell’ordinanza di correzione e riscontrato dall’esame degli atti dei giudizi di merito, consentito a questa Corte per la natura processuale del vizio denunciato con il primo motivo, gli stessi ricorrenti avevano chiesto determinarsi l’esatto ammontare del loro credito risarcitorio previa detrazione di quanto già ricevuto per lo stesso titolo.

La statuizione omessa in ordine a detta domanda non è percepibile e rilevabile ictu oculi, perchè non se ne fa menzione nella motivazione nella sentenza impugnata, nella quale neppure sono riportate testualmente le conclusioni rassegnate dalle parti, e neppure può ritenersi “accessoria e consequenziale a contenuto predeterminato”, nel senso precisato dalla giurisprudenza di questa Corte citata. Sotto tale ultimo profilo, occorre ribadire che la statuizione omessa concerne la pretesa dei ricorrenti di precisa quantificazione del loro credito risarcitorio, con detrazione di quanto già percepito dagli stessi a titolo risarcitorio. La correzione integrativa, concretatasi nell’aggiunta in coda al capo 2 del dispositivo dell’inciso “detratto quanto versato”, non solo non è congruente rispetto alla suddetta domanda, dal momento che non è stata in ogni caso determinata la precisa entità del credito risarcitorio, ma, soprattutto, ha richiesto una valutazione fattuale, da parte della Corte territoriale, circa i pagamenti effettuati dal Comune di Bari, il loro ammontare e la scansione temporale con cui si sono susseguiti, nonchè ha, infine, richiesto, da parte della Corte d’appello, il giudizio finale di piena prova degli stessi pagamenti, espresso reiteratamente con la locuzione “non v’è dubbio ” (pag. n. 3 ordinanza di correzione). Ciò rende, all’evidenza, inammissibile l’integrazione operata con la correzione di cui trattasi, in quanto essa è incompatibile con la natura “accessoria e consequenziale a contenuto predeterminato” che deve avere la statuizione emendabile con il procedimento ex art. 287 c.p.c..

Inammissibile è anche la correzione disposta dalla Corte d’appello con riferimento alla statuizione di condanna della Regione Puglia e del Comune di Bari alla rifusione in favore degli attuali ricorrenti della metà delle spese di lite del primo grado di giudizio (capo 4 del dispositivo), precisato, per quanto occorra, che gli stessi ricorrenti danno atto di aver già ricevuto il pagamento degli importi liquidati a tale titolo dal Tribunale (pag. n. 25 ricorso r.g.n. 9641/2017).

La statuizione del Giudice del rinvio sulla regolazione tra le parti delle spese di lite di primo grado ha, infatti, interamente sostituito la corrispondente statuizione del Tribunale, che resta caducata ai sensi dell’art. 336 c.p.c. (Cass. n. 1775/2017). Ne consegue l’inammissibilità della correzione integrativa, disposta ex art. 287 citato, del capo 4 del dispositivo, essendo già venuto meno, con tutto ciò che ne consegue, il primo titolo giudiziale.

Le doglianze di cui al ricorso n. 9641/2017 meritano, dunque, accoglimento per le ragioni suesposte, restando assorbiti gli altri profili di censura, con la precisazione, riguardo a quelli sulla violazione del giudicato, che “il giudicato non si forma, nemmeno implicitamente, sugli aspetti del rapporto che non hanno costituito oggetto di specifica disamina e valutazione da parte del giudice, cioè di un accertamento effettivo, specifico e concreto” (Cass. n. 21266/2007 e n. 5264/2015), compresi “quelli oggetto di una domanda su cui sia stata omessa la pronuncia” (Cass. n. 1828/2018 e Cass. n. 18062/2018).

12. In conclusione il ricorso di cui al n. 9141/2015 R.G. deve essere rigettato, mentre il ricorso di cui al n. 9641/2017 R.G. trova accoglimento nel senso precisato; la sentenza impugnata, limitatamente alle parti corrette con l’ordinanza della Corte d’appello di Bari depositata il 13-2-2017, deve essere, in conseguenza, cassata senza rinvio, non occorrendo procedere ad ulteriori accertamenti in fatto.

13. La reciproca soccombenza consente di compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

14. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso n. 9141/2015 R.G., a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso di cui al n. 9141/2015 R.G., accoglie, nei sensi di cui in motivazione, il ricorso di cui ai n. 9641/2017 R.G. e cassa senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alle parti corrette con l’ordinanza della Corte d’appello di Bari depositata il 13-2-2017.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso n. 9141/2015 R.G., a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2020

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