Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4251 del 18/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 18/02/2021, (ud. 30/09/2020, dep. 18/02/2021), n.4251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16190-2018 proposto da:

V.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VILLA

EMILIANI 48, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO GRAZIANO,

rappresentata e difesa dagli avvocati ELEONORA D’ORTA, GIANPIERO

ZINGARI;

– ricorrente –

contro

BLUE RIBBON SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, P.LE CLODIO, 14, presso lo studio

dell’avvocato ANDREA GRAZIANI, rappresentata e difesa dall’avvocato

ROBERTO ROTA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4804/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 17/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 30/09/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO

FALABELLA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con atto di citazione notificato il 18 dicembre 2014 V.L., quale socio receduto dalla società denominata Blue Ribbon s.r.l., impugnava per manifesta erroneità o iniquità la valutazione della propria quota, pari al 21,32%, dell’intero, posta in essere dall’esperto nominato dal Tribunale di Milano. Contestava, in particolare, il valore attribuito a un immobile di proprietà della società: valore che assumeva essere stato determinato in misura immotivatamente inferiore a quella risultante dalla pertinente categoria catastale (D/6).

Il Tribunale di Milano rigettava le domande attrici.

2. – In sede di gravame la sentenza di primo grado era riformata con esclusivo riguardo al tema delle spese processuali, che qui più non interessa.

3. – Avverso la pronuncia della Corte di appello di Milano, pronunciata il 17 novembre 2017, V.L. ricorre per cassazione con tre motivi. Resiste con controricorso Blue Ribbon. La ricorrente ha depositato memoria.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1349 c.c., e dell’art. 2473 c.c., comma 3. Viene lamentato che il tecnico nominato dal Tribunale abbia attribuito al bene un valore diverso da quello previsto per gli immobili adibiti ad uso commerciale, quale era il cespite in contestazione, discostandosi dai valori espressi nell’atto di classamento dell’UTE che concerneva quest’ultimo. Osserva, inoltre, che a norma dell’art. 2473 c.c., comma 3, i soci che recedono dalla società hanno diritto ad ottenere il rimborso della propria partecipazione in proporzione del patrimonio sociale e che a tal fine questo è determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso.

Con il secondo mezzo la ricorrente oppone la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., oltre che l’omesso esame di un fatto decisivo per la controversia. La censura investe l’affermazione della Corte di appello per cui l’individuazione della categoria immobiliare non era stata contestata nel merito da essa ricorrente, che aveva genericamente lamentato la minore valorizzazione del cespite, “senza indicare o un diverso criterio di valutazione o le ragioni per cui esso non avrebbe dovuto essere considerato alla stregua di un capannone industriale”. Viene evidenziato, in proposito, che l’istante aveva contestato la stima rilevando che l’immobile era da qualificarsi per la sua destinazione commerciale in ragione delle sue caratteristiche oggettive, essendo stato adibito a sala da bowling.

Il terzo mezzo oppone, infine, l’omesso esame della perizia di parte e della richiesta di consulenza tecnica. Ci si duole che i giudici di merito si siano allineati alla valutazione effettuata dall’esperto senza tener conto della perizia stragiudiziale redatta dal professionista incaricato dalla ricorrente e senza neppure pronunciarsi circa l’istanza di nomina del consulente tecnico d’ufficio. E’ aggiunto che il mero raffronto tra l’elaborato tecnico da ultimo menzionato e la perizia redatta su incarico del Tribunale avrebbe permesso di evidenziare la carenza della prima.

2. – Il ricorso è inammissibile.

La Corte di appello ha osservato che i valori e le qualificazioni catastali, pur dotati dell’autorevolezza del pubblico ufficio da cui provengono, assumono rilevanza soltanto ai fini fiscali, mentre, per l’accertamento del reale valore di mercato del bene, è necessario procedere all’esame dell’immobile e alla ricerca del termine di paragone più adeguato alle condizioni di mercato; ha precisato la Corte di merito come il perito avesse valutato il cespite immobiliare, lo avesse qualificato come capannone industriale, avesse motivato il discostamento dalla classificazione catastale e avesse quindi assegnato allo stesso un valore coerente alla qualificazione data, ricorrendo ai listini dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) del 2013, i quali – ha precisato – ripartivano gli immobili in categorie non comparabili alle diverse classi catastali.

Ciò detto, è anzitutto inammissibile il primo motivo.

Nel ricorso per cassazione il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3, giusta il disposto di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, deve essere, a pena d’inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 12 gennaio 2016, n. 287; Cass. 1 dicembre 2014, n. 25419; Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010). Del resto, è risalente, ma tuttora fermo, l’insegnamento per cui l’accertamento contemplato dall’art. 1349 c.c., è deferito al prudente apprezzamento del giudice di merito e, se sorretto da congrua e sufficiente motivazione, immune da vizi logici e giuridici, è insindacabile in sede di legittimità (Cass. 15 giugno 1963, n. 1598; Cass. 9 novembre 1970, n. 2292).

Non può del resto reputarsi erroneo, in punto di diritto, quanto affermato dalla Corte di merito in ordine all’assenza di vincolatività dell’atto di assegnazione della categoria catastale. Per un verso, infatti, il giudice distrettuale ha ben spiegato come l’impiego del prezziario OMI non consentisse di attribuire rilievo alla tipologia catastale, dal momento che difettava un “criterio di coordinamento o di ragguaglio” che permettesse di comparare le relative classi con le diverse categorie assegnate dall’UTE; per altro verso, la classificazione catastale assume carattere meramente descrittivo (cfr. Cass. 6 novembre 1987, n. 8222) e non può prevalere sui parametri che l’esperto nominato dal tribunale deve prendere in considerazione per apprezzare la consistenza economica di un cespite ai fini della stima del patrimonio sociale (il quale, secondo quanto precisato dall’art. 2473 c.c., comma 3, va quantificato “tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso”).

Il secondo motivo è parimenti inammissibile.

La ricorrente non spiega in cosa si risolva il vizio di omessa pronuncia: manca di indicare, in particolare, quale sia la domanda o il motivo di impugnazione su cui la Corte di appello avrebbe trascurato di rendere la necessaria statuizione. Quanto alla seconda censura svolta nel motivo, occorre ricordare che l’art. 360 c.p.c., n. 5, prevede, quale vizio denunciabile per cassazione, l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054). Ora, la doglianza espressa dalla ricorrente non ha alcuna attinenza al rilevato vizio di omesso esame di un fatto storico, primario o secondario; essa, oltretutto, si fonda su di un dato (l’asserita contestazione quanto al valore dell’immobile) che, oltre ad essere concretamente circostanziato con riferimento agli atti del primo grado del giudizio, e non a quelli di appello (cfr. pagg. 11 e 12 del ricorso), non potrebbe in alcun caso ritenersi obliato dalla Corte di Milano, che ha invece espressamente confutato l’assunto di V.L. secondo cui il perito non avrebbe dovuto discostarsi dalla categoria catastale assegnata all’immobile.

Anche il terzo motivo è inammissibile.

La censura circa la mancata pronuncia sulla istanza di nomina di un consulente tecnico d’ufficio è veicolata dall’art. 360 c.p.c., n. 5, ancorchè, come è evidente, nel caso in esame non si faccia questione dell’omesso esame di un fatto decisivo, nel senso sopra chiarito. La doglianza, per come proposta, sarebbe del resto comunque carente di decisività, dal momento che a fronte di una generica istanza diretta a far accertare, attraverso l’ausiliario, gli “elementi di manifesta erroneità/iniquità” della stima e la rideterminazione del valore della quota, andrebbe riaffermato il principio per cui la consulenza tecnica d’ufficio è mezzo istruttorio diverso dalla prova vera e propria, sottratto alla disponibilità delle parti e affidato al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell’ausiliario (da ultimo: Cass. 13 gennaio 2020, n. 326): sicchè è escluso, almeno di regola, che il giudizio circa la necessità o l’opportunità di ricorrervi sia sindacabile in sede di legittimità (Cass. 23 marzo 2017, n. 7472).

Per il resto, sempre con riguardo al terzo motivo, va osservato che non può essere dedotto quale vizio di omesso esame di un fatto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5), la mancata considerazione di una perizia stragiudiziale, in quanto la stessa costituisce, al più, un mero argomento di prova (Cass. 9 aprile 2018, n. 8621).

3. – Le spese del giudizio di legittimità sono regolare dal principio di soccombenza.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, e agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 Sezione Civile, il 30 settembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2021

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