Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4251 del 17/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 17/02/2017, (ud. 15/12/2016, dep.17/02/2017),  n. 4251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4170/2013 proposto da:

B.A., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

CAIO MARIO 7, presso lo studio dell’avvocato MARIA TERESA

BARBANTINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIANNANTONIO ALTIERI;

– ricorrente –

contro

B.M.G., M.S., M.A.M.,

M.G., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CELIMONTANA 38, presso

lo studio dell’avvocato PAOLO PANARITI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MARCO BORSARI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2524/2012 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 26/11/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/12/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato BARBANTINI Maria Teresa, difensore della ricorrente

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato ARDIZZI Alessandro, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato PANARITI Paolo, difensore dei resistenti che si

riporta agli atti;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SALVATO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 22 dicembre 1999 il sig. B.D. comproprietario, per la quota indivisa di un terzo, di un fabbricato ad uso abitativo sito in (OMISSIS), di cui la residua quota dei due terzi era appartenuta al sig. B.I., citava davanti al Tribunale di Rovigo, gli eredi di costui – sigg.ri B.M.G. e M.A.M., G. e S. – per sentir dichiarare il proprio acquisto per usucapione della quota di due terzi di detto immobile già appartenuta al loro dante causa.

I convenuti resistevano alla domanda e, in via riconvenzionale, chiedevano la divisione dell’immobile in questione.

Il Tribunale di Rovigo, istruita la causa con testi e c.t.u., accoglieva la domanda dell’attore.

La corte di appello di Venezia, adita con l’appello dei convenuti, riformava la sentenza di prime cure e, con sentenza non definitiva, rigettava domanda di usucapione B.D. e rimetteva la causa sul ruolo per lo svolgimento del giudizio divisionale.

Avverso detta sentenza B.A., erede di B.D. (deceduto nel corso del giudizio di secondo grado) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

B.M.G. e M.A.M., G. e S. hanno resistito con controricorso.

Il ricorso è stato discusso alla pubblica udienza del 15.12.16, per la quale solo la ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c. e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente contesta la violazione dell’art. 1102 c.c., comma 2, nonchè l’avvenuta erronea qualificazione dei fatti e delle prove acquisite nel corso del giudizio.

Nel motivo si argomenta che in sede di merito sarebbe stato dimostrato che B.D., prima con la madre e la sorella, poi con la moglie, i figli ed i congiunti, aveva occupato la casa oggetto di causa per oltre trenta anni, eseguendo opere radicali di trasformazione dell’immobile, nonostante che B.I. ne fosse proprietario per due terzi; e che lo stesso B.I. non aveva mai fatto opposizione a tale occupazione quando si recava a trovare i parenti.

La doglianza non coglie nel segno.

E’ fermo insegnamento di questa Suprema Corte regolatrice, infatti, che in tema di comunione, non essendo ipotizzabile un mutamento della detenzione in possesso, nè una interversione del possesso nei rapporti tra i comproprietari, ai fini della decorrenza del termine per l’usucapione è idoneo soltanto un atto (o un comportamento) il cui compimento da parte di uno dei comproprietari realizzi l’impossibilità assoluta per gli altri partecipanti di proseguire un rapporto materiale con il bene e, inoltre, denoti inequivocamente l’intenzione di possedere il bene in maniera esclusiva, sicchè, in presenza di un ragionevole dubbio sul significato dell’atto materiale, il termine per l’usucapione non può cominciare a decorrere ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva. Ne consegue che, in presenza di un ragionevole dubbio sul significato dell’atto materiale, il termine per usucapire non può cominciare a decorrere, ove agli altri partecipanti non sia stata comunicata, anche con modalità non formali, la volontà di possedere in via esclusiva; se vedano, al riguardo, le sentenze nn. 2944/90, 9903/06, 12775/08 (a contrariis), 17322/10, 23539/11, 11903/15.

Nella specie, la corte territoriale ha accertato che B.D. non aveva offerto la prova che B.I. si fosse astenuto dal godimento dell’immobile non per sua volontà, ma in quanto “per il periodo utile per l’usucapione, (gli) era stato precluso il compossesso del bene”; la stessa corte ha inoltre ritenuto potersi presumere, anche con riferimento alle migliorie realizzate sull’immobile da B.D., che costui “avesse agito su mandato tacito del comproprietario” (gli stralci virgolettati sono tratti da pag. 9 della sentenza gravata). Tali valutazioni di fatto del giudice d’appello non sono state specificamente attinte, nel motivo di ricorso in esame, con l’unico mezzo mediante il quale esse potevano venir censurate in questa sede, vale a dire la denuncia del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (peraltro, nel presente procedimento, applicabile, ratione temporis, nel testo novellato dal D.L. n. 83 del 2012).

Il primo motivo va quindi rigettato.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1362, 1363, 1703 c.c. e art. 1708 c.c., comma 2, in cui la corte territoriale sarebbe incorsa nel presumere che B.D., pur non potendosi considerare comodatario dell’immobile de quo, avesse agito, tanto nel godimento del bene quanto nel restauro e nella modifica dello stesso, “su mandato tacito del comproprietario B.I.”.

La censura è inammissibile, in quanto risulta non pertinente alla ratio decidendi della sentenza gravata.

La corte veneziana, infatti, non ha affermato che B.D. godesse dell’immobile a causa di un contratto di mandato stipulato con B.I., ma si è limitata a rilevare che non vi era prova che la condotta di B.D. fosse tale da manifestare in maniera univoca la sua volontà di escludere B.I. dal godimento del bene – così da potersi qualificare come possesso esclusivo ad usucapionem – poichè:

a) il godimento diretto dell’immobile ben poteva ricondursi all’esercizio di poteri (con)dominicali rientranti, in assenza di pretese antagoniste da parte di B.I., nei limiti del disposto dell’art. 1102 c.c.;

b) la realizzazione di migliorie sul medesimo immobile ben poteva presumersi assentita dall’altro comproprietario con accordi riconducibili allo schema del mandato relativo alla gestione dei rapporti con le imprese esecutrici e le pubbliche amministrazioni interessate.

In definitiva, quindi, il ricorso va rigettato in relazione ad entrambi i motivi in cui esso si articola.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna la società ricorrente a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 2.500,00 oltre Euro 200,00 per esborsi ed oltre accessori di legge.

Si dà atto che la sentenza è stata redatta con la collaborazione dell’Assistente di Studio Dott. C.D..

Così deciso in Roma, il 15 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2017

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