Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4250 del 17/02/2017


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Cassazione civile, sez. II, 17/02/2017,  n. 4250

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25905/2012 proposto da:

BAGAMOYO SRL, (OMISSIS) IN PERSONA DEL SUO AMM.RE UNICO, KENZIA SRL

(OMISSIS) IN PERSONA DEL SUO AMM.RE UNICO, PIZZOMUNNO SRL (OMISSIS)

IN PERSONA DEL SUO AMM.RE UNICO, BRANDS ENERGY LOGISTIC TOURISM SPA

(OMISSIS) IN PERSONA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DI GESTIONE,

GESTER COSTRUZIONI SRL (OMISSIS) IN PERSONA DEL SUO AMM.RE UNICO,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN 45, presso

lo studio dell’avvocato ANTONIO SANTUARI, rappresentati e difesi

dall’avvocato RAFFAELE AMODEO;

– ricorrenti –

contro

D.N.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZA MAZZINI 15, presso lo studio dell’avvocato ENRICO GABRIELLI,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato SARA DE NOVA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2285/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/12/2016 dal Consigliere Dott. ANTONELLO COSENTINO;

udito l’Avvocato Amodeo Raffaele difensore dei ricorrenti che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Gabrielli Enrico difensore del controricorrente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro, che ha concluso per l’accoglimento del primo

motivo, l’assorbimento dei restanti motivi del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Le società nominate in epigrafe ricorrono nei confronti del professor avvocato D.N.G. per la cassazione della sentenza con cui la corte d’appello di Milano, in riforma della pronuncia di prime cure, le ha condannate a corrispondere al prof. D.N., in forza della responsabilità solidale di cui all’articolo 68 R.D. 1578/33, l’importo di Euro 135.607,56 a titolo di onorari, diritti e spese maturati in relazione all’attività difensiva da costui prestata a favore delle società Ventaclub srl e I Viaggi del Ventaglio srl in un procedimento arbitrale promosso nei confronti di queste ultime dagli odierni ricorrenti; procedimento conclusosi, a seguito di transazione tra le parti (non sottoscritta dai rispettivi procuratori per rinuncia alla solidarietà professionale di cui al suddetto R.D. n. 1578 del 1933, art. 68), con ordinanza 31/7/2009 dichiarativa della cessazione materia del contendere e dell’estinzione del giudizio “a spese di difesa e di arbitrato integralmente compensate”.

Il ricorso per cassazione si articola su tre motivi rispettivamente riferiti, i primi due, al vizio di violazione di legge, con riferimento al R.D. n. 1578 del 1933, art. 68, ed il terzo al vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, il prof. D.N. ha resistito con controricorso.

La causa è stata discussa alla pubblica udienza del 7.12.16, per la quale entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c., e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo le ricorrenti denunciano la violazione del R.D. n. 1578 del 1933, art. 68, in cui la sentenza gravata sarebbe incorsa nel ritenere sussistente la responsabilità solidale prevista dalla suddetta disposizione ancorchè, nella specie, la regolazione delle spese fosse stata espressamente adottata, con una pronuncia di compensazione, dal collegio arbitrale.

Il motivo è infondato perchè la pronuncia con cui il collegio arbitrale (il quale, va sottolineato, era stata espressamente esonerato dal lodo e, quindi, spogliato di qualunque potestas iudicandi) aveva dichiarato che il giudizio era estinto “a spese di difesa e di arbitrato integralmente compensate” costituiva una mera recezione dell’accordo intervenuto al riguardo tra le parti e comunicato dai relativi difensori al collegio arbitrale. Tale pronuncia non aveva, quindi, alcuna autonoma portata regolativa delle spese del giudizio. La stessa ordinanza di questa sezione n. 14193/10 – richiamata nel motivo di ricorso in esame per l’affermazione, ivi contenuta, del principio che “affinchè possa sussistere l’obbligazione solidale prevista dalla citata norma e il difensore possa richiedere il pagamento degli onorari ed il rimborso delle spese nei confronti della parte avversa al proprio cliente, è necessaria la definizione del giudizio con una transazione (o con un accordo equivalente) che sottragga al giudice la definizione del giudizio e la pronuncia in ordine alle spese”, conferma, se letta correttamente, l’esattezza della decisione della corte milanese. Tale ordinanza, infatti, esclude l’operatività della solidarietà professionale R.D. n. 1578 del 1933, ex art. 68, nei casi in cui, dopo la transazione e la conseguente cessazione della materia del contendere, una delle parti abbia chiesto la condanna dell’altra alla rifusione delle spese e il giudice si sia pronunciato su tale domanda, rigettandola e disponendo, con propria decisione difforme dal’istanza di parte, la compensazione delle spese; ciò in quanto, in tali casi, “manca il presupposto stesso per l’applicazione del citato art. 68, il quale implica l’esistenza di un accordo diretto, appunto, a sottrarre al giudice anche la pronuncia sulle spese”. Nel caso oggi in esame, per contro, la regolazione delle spese era stata interamente concordata tra le parti ed i loro difensori e il collegio arbitrale si era limitato a dare atto di tale regolazione, recependola. Ricorreva dunque proprio il presupposto a cui si fa riferimento nella menzionata ordinanza n. 14193/10 (nonchè, negli stessi termini, nella successiva ordinanza n. 21209/15), vale a dire quello dell’esistenza “di un accordo diretto, appunto, a sottrarre al giudice anche la pronuncia sulle spese”. Prive di concludenza vanno poi giudicate le argomentazioni sulla inesistenza, in capo alle parti della transazione, di un intento volto ad eludere la soddisfazione dei crediti professionali dei loro difensori; perchè sorga la responsabilità di cui al R.D. n. 1578 del 1933, art. 68, infatti, è sufficiente che sia stata raggiunta una transazione e la regolazione le spese non sia stata demandata dalle parti al giudice; il fatto che la ratio del R.D. n. 1578 del 1933, art. 68, consista nell’intento di prevenire il rischio che il credito professionale dell’avvocato possa essere vanificato da comportamenti elusivi delle parti non significa che detto intento elusivo faccia parte della fattispecie costitutiva dell’obbligazione solidale di ciascuna delle parti in causa per la soddisfazione dei crediti professionali dei difensori delle altre parti.

Il motivo di ricorso va quindi disatteso, dovendosi qui dare conferma e seguito al principio, enunciato nelle sentenze di questa Corte nn. 13047/09 e 13135/06, che “il R.D.L. 27 dicembre 1933, n. 1578, art. 68, modificato dalla L. 22 gennaio 1934, n. 36, stabilendo che tutte le parti, le quali abbiano transatto una vertenza giudiziaria, sono tenute solidalmente al pagamento degli onorari degli avvocati, è operante – in ragione della latitudine della formula normativa e della sua finalità, diretta ad evitare intese tra le parti indirizzate ad eludere il giusto compenso ed il rimborso delle spese ai loro difensori – anche nel caso di accordo (che assume, nei riguardi del professionista, la valenza di un presupposto di fatto ai fini, appunto, dell’ottenimento degli onorari e delle spese), stipulato con o senza l’intervento del giudice o l’ausilio dei patroni, dalle parti stesse, le quali abbiano previsto semplicemente l’abbandono della causa dal ruolo o rinunciato ritualmente agli atti del giudizio (come nella specie, con derivante estinzione del processo), e prescinde, perciò, dalla persistenza del ministero difensivo”.

Con il secondo motivo i ricorrenti reiterano la censura di violazione del R.D. n. 1578 del 1933, art. 68, argomentando che, contrariamente a quanto ritenuto dalla corte territoriale, detta disposizione dovrebbe essere interpretata nel senso che, nel caso in cui una parte sia assistita da più difensori, la responsabilità solidale nella stessa contemplata sarebbe limitata al pagamento degli onorari previsti per un solo avvocato, cosicchè, ai fini di tale responsabilità, il compenso di ciascun difensore andrebbe riconosciuto soltanto in proporzione del suo reale apporto all’attività del collegio difensivo. Ciò perchè, avendo la Corte costituzionale, nella sentenza 132/74, chiarito che l’art. 68, R.D. tutela l’aspettativa del difensore di soddisfarsi sulle spese di soccombenza, l’ammontare di tali spese non potrebbe che essere limitato nei termini di cui al D.M. n. 127 del 2004, art. 7, applicabile ratione temporis, secondo cui, anche in caso di pluralità, di difensori, “nella liquidazione a carico del soccombente sono computati gli onorari per un solo avvocato”.

Il motivo non può trovare accoglimento, perchè contrasta con la lettera del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 68, in cui l’oggetto dell’obbligazione solidale è indicato nell’importo degli onorari e delle spese “di cui gli avvocati ed i procuratori che hanno partecipato al giudizio negli ultimi tre anni fossero tuttora creditori per il giudizio stesso”, senza fissare alcuna limitazione alla copertura solidale del credito del professionista verso il proprio cliente, gravante sulle altre parti del giudizio, e senza istituire alcuna equiparazione tra l’estensione di detta copertura e l’estensione dell’obbligo di rifusione delle spese di lite gravate sulla parte soccombente in favore di quella vittoriosa. Nè possono condividersi le conclusioni che la difesa dei ricorrenti pretende di trarre dalle argomentazioni svolte nella sentenza della Corte costituzionale n. 132/4M; tali argomentazioni, infatti, riguardano la ratio del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 68, ma non toccano, nè intendono toccare, l’individuazione del relativo contenuto dispositivo.

D’altra parte, è risalente orientamento di questa Corte che lo speciale procedimento abbreviato di cui alla L. n. 794 del 1942, artt. 28 e 29, (ora L. n. 794 del 1942, art. 28, e D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14) può essere azionato dall’avvocato per ottenere la liquidazione delle spese, dei diritti e degli onorari giudiziali non solo nei confronti del proprio cliente ma, se la controversia si sia conclusa con una transazione, anche nei confronti della controparte (cfr. sent. n. 2229/95); e nessuna disposizione autorizza a ritenere che, quando tale procedimento venga instaurato nei confronti della controparte, la liquidazione degli onorari vada operata in base ai principi che regolano la liquidazione nei confronti del soccombente non in base ai principi che regolano la liquidazione nei confronti del cliente.

Con il terzo motivo si denuncia il vizio di motivazione sulla quantificazione degli onorari del prof. D.N.. I ricorrenti lamentano l’omessa indicazione dei criteri di liquidazione del compenso riconosciuto al professionista, in presenza di atti liquidati in maniera ritenuta abnorme e, peraltro, non riconducibili all’attività del solo prof. D.N.; nel mezzo di gravame si argomenta che il prof. D.N. non avrebbe provato l’effettiva reale entità del suo apporto alla difesa delle società Ventaclub e I Viaggi del Ventaglio, rispetto a quello degli altri due codifensori delle stesse. Il motivo non può trovare accoglimento, perchè si risolve in considerazioni squisitamente di merito, il cui esame in questa sede è precluso dal principio più volte affermato da questa Corte (tra le varie, sent. 11583/04, vedi anche sent. 20289/15) che, in tema di compensi per lo svolgimento di attività professionale, la determinazione degli onorari di avvocato costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice, che, se contenuto tra il minimo ed il massimo della tariffa, non richiede motivazione specifica e non può formare oggetto di sindacato in sede di legittimità.

Il ricorso va quindi, conclusivamente, rigettato in relazione a tutti i motivi nei quali esso si articola.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti, in solido tra loro, a rifondere al controricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida, in Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00, per esborsi ed oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2017

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