Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4249 del 22/02/2011

Cassazione civile sez. III, 22/02/2011, (ud. 12/01/2011, dep. 22/02/2011), n.4249

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 1518-2009 proposto da:

R.S. (OMISSIS), P.M.C.

(OMISSIS), in proprio e nella qualità di eredi legittime

del de cuius P.M., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA GIOVANNI BETTOLO 17, presso lo studio dell’avvocato GOZZI

RICCARDO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

RIVELLINI FRANCESCO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

NUOVA TIRRENA ASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS), PR.CL.

nato a (OMISSIS), ASSITALIA LE ASSICURAZIONI D’ITALIA

S.P.A.;

– intimati –

Nonchè da:

NUOVA TIRRENA ASSICURAZIONI S.P.A. (OMISSIS), in persona del

Direttore Legale Societario Avv. C.S., elettivamente

domiciliata in ROMA, VIALE CARLO FELICE 103, presso lo studio

dell’avvocato BERCHICCI GIANCARLO (STUDIO LEGALE ASSOCIATO

BERCHICCI), che la rappresenta e difende giusta delega in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

P.M.C. (OMISSIS), R.S.

(OMISSIS), in proprio e in qualità di eredi legittime del

de cuius P.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

GIOVANNI BETTOLO 17, presso lo studio dell’avvocato GOZZI RICCARDO,

che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato RIVELLINI

FRANCESCO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrenti all’incidentale –

nonchè contro:

PR.CL. nato a (OMISSIS), ASSITALIA LE

ASSICURAZIONI D’ITALIA SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3417/2008 della CORTE D’APPELLO di ROMA

SEZIONE QUARTA CIVILE, emessa il 4/6/2008, depositata il 03/09/2008,

R.G.N. 297/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2011 dal Consigliere Dott. CARLEO Giovanni;

udito l’Avvocato GOZZI Riccardo;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso previa riunione, accoglimento

del ricorso principale limitatamente ai motivi 4,6 e 7, e del ricorso

incidentale limitatamente al secondo motivo (SS.UU. 26972/08 par.

4.9).

Fatto

SVOLGIMENTO DEL FATTO

Con atto di citazione notificato il 9-11.9.1998 R.S. e P.M.C. esponevano che il loro congiunto P. M., rispettivamente marito della prima e padre della seconda, mentre era alla guida di un motociclo, aveva perso la vita a seguito di un sinistro occorso il (OMISSIS) verso le ore 7,30 in (OMISSIS), causato dalla colpevole condotta di guida tenuta da Pr.Cl., conducente di un’autovettura assicurata presso la Nuova Tirrena S.p.a.. Ciò premesso, in proprio e quali eredi legittime del loro congiunto, convenivano in giudizio il Pr. e la Nuova Tirrena per sentirli condannare in solido al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, da loro subiti.

In esito al giudizio, in cui si costituivano entrambi i convenuti e veniva chiamata in causa l’Assitalia SPA, l’adito Tribunale di Roma dichiarava il concorso di colpa di entrambi i conducenti graduandolo nella misura del 65% a carico del Pr., condannava in solido il Pr. e la Nuova Tirrena Spa al correlativo risarcimento dei danni in favore delle attrici, dichiarava la cessazione della materia del contendere quanto alla domanda riconvenzionale spiegata dal Pr.

nei confronti delle attrici e dell’Assitalia, provvedeva infine sulla regolamentazione delle spese.

La sentenza veniva gravata d’appello dalla Nuova Tirrena la quale lamentava che la responsabilità del sinistro dovesse essere ascritta in via esclusiva o comunque prevalente al P. e che il danno patrimoniale in favore di entrambe le attrici e biologico in favore della P. fosse stato liquidato ad onta della mancanza di prova. Si costituiva l’Assitalia la quale chiedeva dichiararsi la propria carenza di legittimazione passiva per la rinuncia all’azione nei suoi confronti da parte del Pr.. Si costituivano altresì le appellate che proponevano altresì appello incidentale lamentando il mancato riconoscimento del danno esistenziale e la ridotta liquidazione delle spese di lite. Con sentenza depositata il 3 settembre 2008 la Corte di Appello di Roma, in parziale accoglimento degli appelli proposti, dichiarava che la responsabilità del sinistro era ascrivibile al Pr. in ragione del 50% e riduceva la misura del risarcimento danni liquidato in favore delle originarie attrici, compensando le spese di lite. Avverso tale sentenza R. S. e P.M.C. hanno proposto ricorso per cassazione articolato in sette motivi nonchè controricorso in relazione al ricorso incidentale articolato in due motivi presentato dalla Nuova Tirrena Assicurazioni S.P.A. Quest’ultima ha infine depositato memoria difensiva a norma dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare, vanno riuniti il ricorso principale e quello incidentale, in quanto proposti avverso la stessa sentenza. Ciò premesso, procedendo all’esame del ricorso principale, deve evidenziarsi che con le prime due doglianze le ricorrenti hanno dapprima dedotto l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza in quanto la Corte di merito, dopo aver individuato maggiori profili di colpa nella condotta del Pr., avrebbe omesso di graduare l’efficienza causale dei singoli comportamenti concorrenti e fatto ricorso direttamente alla presunzione di pari corresponsabilità di cui all’art. 2054 c.c.;

quindi, hanno dedotto la violazione e falsa applicazione degli artt. 142 e 145 C.d.S. con riferimento alla determinazione, da parte della Corte territoriale, delle, percentuali di responsabilità dei due conducenti.

Le due ragioni di doglianze, che vanno trattate congiuntamente per l’evidente connessione che le lega, essendo entrambe, nella sostanza delle cose, volte a censurare la misura del grado di colpa attribuito ai due conducenti, sono inammissibili. A riguardo, torna opportuno premettere che i giudici di seconde cure non hanno affatto omesso di procedere alla graduazione delle colpe, “cercando salomonicamente conforto nella presunzione di pari corresponsabilità di cui all’art. 2054 c.c.”, come erroneamente deducono le ricorrenti, ma hanno invece provveduto concretamente a soppesare l’efficienza causale delle condotte statuendo che, per quanto riguarda la graduazione delle colpe, il contributo di entrambi i conducenti doveva considerarsi di pari efficacia causale, in quanto si dovevano porre sui piatti della bilancia da una parte le infrazioni commesse dal Pr., per aver impegnato l’incrocio senza la dovuta cautela e senza porsi il più possibile lungo il margine destro, e dall’altra l’infrazione del P., per aver proceduto ad una velocità oltre i 100 km orari laddove secondo il ctu nominato nel giudizio penale, se il motoveicolo avesse viaggiato non oltre i 50 km orari, l’incidente quasi sicuramente non si sarebbe verificato (cfr pag. 5 della sentenza impugnata).

Ciò premesso, si deve osservare che la valutazione degli elementi di prova e l’apprezzamento dei fatti attengono al libero convincimento del giudice di merito, con la conseguenza che deve ritenersi inammissibile la doglianza mediante la quale la parte ricorrente, pur deducendo formalmente un vizio di violazione di legge, oltre che un vizio motivazionale, avanza, in realtà, nella sostanza delle cose, un’ulteriore istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. E ciò, in quanto è preclusa ogni possibilità per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa.

In secondo luogo, con riferimento specifico al preteso vizio motivazionale della sentenza impugnata, deve osservarsi che la contraddittorietà della medesima può dirsi sussistente solo quando nel ragionamento del giudice di merito esista un insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, oppure quando manchi tra le premesse e la conclusione poi adottata dal giudice il necessario rapporto di consequenzialità logica, che deve essere a base del corretto procedimento sillogistico.

Nella vicenda in esame, alla luce delle considerazioni della sentenza sopra riportate deve essere invece esclusa con assoluta certezza la ricorrenza dei presupposti della motivazione contraddittoria così come deve essere escluso il profilo della motivazione omessa o insufficiente, posto che, per potersi configurare il vizio di motivazione su un asserito punto decisivo della controversia, è necessario un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza e che nel caso di specie tale indispensabile presupposto deve ritenersi assolutamente insussistente.

Parimenti inammissibile, sia pure per altri motivi, è una successiva doglianza, la sesta, la cui trattazione viene anticipata per comodità di esposizione e che è conclusa dal seguente quesito di diritto: “se costituisca violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., anche in relazione dell’art. 360, n. 5, interpretare, in difetto di ulteriori elementi di riscontro, il senso delle dichiarazioni rese dalla parte in sede di interrogatorio formale in modo del tutto difforme rispetto al contenuto letterale delle parole”.

L’inammissibilità in tal caso deriva dalla considerazione che, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6, applicabile alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006, i motivi del ricorso per cassazione, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1), 2), 3), 4), devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità – giusta la previsione dell’art. 375 c.p.c., n. 5 – dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, che sì risolva, secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite, in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta – negativa od affermativa – che ad esso si dia, discenda in modo univoco l’accoglimento od il rigetto del gravame (Sez. Un. n. 23732/07). In particolare, il quesito non può risolversi in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo nè nell’invito alla S.C. perchè decida in ordine alla fondatezza della censure come illustrate, così come è avvenuto nella specie, occorrendo invece che il ricorrente nella redazione del quesito proceda all’enunciazione di un principio di diritto diverso da quello posto a base del provvedimento impugnato e, perciò, tale da implicare un ribaltamento della decisione adottata dal giudice a quo, indicandone l’errore o gli errori compiuti e specificando la regola da applicare” (cfr S.U. n. 3519/2008, Cass. n. 19769/08). Ne deriva l’inammissibilità della censura.

Passando all’esame della terza doglianza per violazione dell’art. 346 c.p.c., deve rilevarsi che la censura si fonda sulla premessa che non era stata portata all’esame del giudice di appello la statuizione della sentenza di primo grado relativamente alla base di calcolo della voce di danno patrimoniale in quanto i motivi di appello attenevano al solo ammontare complessivo del risarcimento. Pertanto, il giudice di seconde cure avrebbe violato l’art. 346 c.p.c. nel modificare il sistema e la base di calcolo per la liquidazione della voce del danno patrimoniale prendendo a base del conteggio parametri nuovi, non utilizzati dal giudice di primo grado.

La doglianza è infondata. Ed invero, a parte l’improprio accostamento dell’art. 346 c.p.c. al giudice di appello, benchè la norma citata si riferisca esclusivamente alla figura dell’appellato e non certamente ai limiti dei poteri decisori del giudice dell’impugnazione, si deve considerare che, allorchè dal complesso delle deduzioni e delle richieste formulate nell’appello risulti chiara la volontà dell’appellante di sottoporre al giudice dell’impugnazione tutte le questioni dibattute in primo grado, circa la natura di un rapporto e i diritti e gli obblighi che ne derivano, il giudice deve esaminare l’intera problematica, poichè il principio del tantum devolutum quantum appellatum preclude al giudice l’indagine sui punti della sentenza non investiti dal gravame, solo quando essi non siano compresi neppure per implicito nel thema decidendum perchè non connessi con i temi censurati.

La premessa torna utile perchè nel caso di specie la Nuova Tirrena Assicurazioni nell’atto di appello si era doluta sia sul punto dell’accertamento della responsabilità, ritenendo che dovesse essere ascritta in via esclusiva o prevalente al conducente della moto, sia sul punto della liquidazione del danno patrimoniale e biologico, ritenendo che difettassero i relativi presupposti. Ora, entrambe le doglianze miravano ad una nuova valutazione delle risultanze processuali e tendevano ad ottenere il rigetto della domanda risarcitoria o, in subordine, una nuova e diversa rideterminazione globale delle voci liquidate dal primo giudice. Con la conseguenza che al giudice di appello era ben consentito procedere ad una nuova rideterminazione dei danni sulla base della domanda risarcitoria, avanzata in primo grado dalle parti danneggiate, domanda che per la sua onnicomprensività si riferiva ad ogni possibile voce di danno.

Con la quarta doglianza, le ricorrenti hanno lamentato la violazione degli artt. 1223 e 2056 c.c. per aver la Corte di merito configurato un’ipotesi di “compensatio lucri cum damno” nel caso in cui, a seguito della morte di una persona, sia stata concessa al coniuge superstite avente diritto al risarcimento del danno una pensione di reversibilità, benchè tale erogazione si fondasse su un titolo diverso rispetto all’illecito e non avesse finalità risarcitorie.

Inoltre – e tale rilievo sostanzia la successiva quinta doglianza per violazione delle medesime norme di cui sopra – la Corte di appello avrebbe errato nel tener conto, ai fini della quantificazione del danno risarcibile in favore della figlia della vittima, della pensione di reversibilità percepita esclusivamente dalla vedova.

Entrambe tali doglianze sono fondate. Invero, è orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui “il principio della “compensatio lucri cum damno” trova applicazione solo quando il lucro sia conseguenza immediata e diretta dello stesso fatto illecito che ha prodotto il danno, non potendo il lucro compensarsi con il danno se trae la sua fonte da titolo diverso (tra le tante Cass. n. 4950/2010, Cass. n. 21897/09). In particolare, questa Corte ha già avuto modo di statuire che “in tema di risarcimento del danno da illecito, il principio della “compensatio lucri cum damno” trova applicazione solo quando sia il pregiudizio che l’incremento patrimoniale dipendano dal medesimo fatto. Ne consegue che, in caso di morte di una persona cagionata dall’altrui illecito, non rileva che il coniuge diventi titolare di pensione di reversibilità, fondandosi tale attribuzione su un titolo diverso dall’atto illecito, nè rileva che, in conseguenza del cumulo della pensione di reversibilità e del risarcimento, la vittima si venga a trovare in una situazione patrimoniale più favorevole di quella in cui si sarebbe trovata in assenza dell’illecito”. (Cass. n. 3357/09).

Deriva da quanto sopra che le due censure in esame meritano di essere accolte, ritenendosi in esse assorbita l’ultima doglianza, fondata sul preteso vizio di motivazione omessa insufficiente e contraddittoria della sentenza nella parte in cui la Corte di appello ha stimato il reddito annuo posto a base della liquidazione del danno patrimoniale omettendo di indicare in motivazione il sistema e i parametri del suddetto reddito annuo.

Con l’ulteriore conseguenza dell’accoglimento del ricorso principale nei limiti dei due motivi accolti.

Passando infine all’esame del ricorso incidentale, deve rilevarsi che con il primo motivo di impugnazione la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 e 2054 c.c. e art. 116 c.p.c. per aver la Corte territoriale, trascurando il carattere sussidiario dell’art. 2054 c.c., omesso di considerare che dagli atti di causa erano emersi gli elementi per prescindere dalla presunzione di pari responsabilità in considerazione dell’eccessiva velocità della moto, ritenendo la prevalente responsabilità del conducente la moto, almeno nella misura di due terzi, e valutando le conseguenze ex art. 1227 c.c. imputabili a carico dello stesso P. che le aveva prodotte.

La censura è inammissibile perchè la ricorrente, pur deducendo formalmente un vizio di violazione di legge, avanza, in realtà, nella sostanza delle cose, un’ulteriore istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, inammissibile in sede di legittimità.

Resta da esaminare l’ultima censura, mossa dalla ricorrente incidentale ed articolata sotto il profilo della violazione o falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. e art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la quale è stata conclusa con i seguenti quesiti: 1) in base al recente orientamento della Suprema Corte non esiste in materia di risarcimento del danno da responsabilità civile la figura del cosiddetto danno familiare come titolo autonomo rispetto al danno biologico e morale; 2) deve ritenersi inammissibile la domanda di riconoscimento del danno familiare innanzitutto perchè non può essere contenuta nella generica frase”danni patrimoniali e non ” con riferimento esclusivo all’art. 2043 c.c. che non prevede l’indennizzo di danni non patrimoniali nonchè per affermata e precisata esclusione di applicazione dell’art. 2059 c.c. nonchè per il fatto che quest’ultima norma non prevede come danno non patrimoniale autonomo la figura giuridica della lesione parentale.

Ciò premesso, deve sottolinearsi che costituisce orientamento consolidato di questa Corte quello secondo cui l’ammissibilità del motivo di impugnazione è condizionata alla formulazione di un quesito, compiuta ed autosufficiente, dalla cui risoluzione scaturisce necessariamente il segno della decisione (Sez. Un. 28054/08) e che deve escludersi che il quesito possa essere integrato dalla Corte attraverso un’interpretazione della motivazione (Cass. 14986/09). Nel caso di specie, il quesito formulato, ad onta del duplice contenuto, non presenta i requisiti indicati nè consiste in un interrogativo che contenga, sia pure sintetizzandola, l’indicazione della questione di diritto controversa e la formulazione del diverso principio di diritto rispetto a quello che è alla base del provvedimento impugnato, di cui il ricorrente, in relazione al caso concreto, chiede l’applicazione, in modo da circoscrivere l’oggetto della pronuncia nei limiti di un accoglimento o di rigetto del quesito stesso (Sez. Un. n. 23732/07, n. 20360 e n. 36/07). Ne deriva l’inammissibilità anche di questa seconda doglianza. Il ricorso incidentale deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

In definitiva, la sentenza impugnata deve essere cassata nei limiti dei due soli motivi del ricorso principale, il quarto e quinto, accolti. Con l’ulteriore conseguenza che, occorrendo un rinnovato esame della controversia, la causa va rinviata ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma che provvedere anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il quarto ed il quinto motivo del ricorso principale, assorbito in essi il settimo motivo, dichiara inammissibili il primo, il secondo, il sesto motivo del ricorso principale, rigetta il terzo motivo del ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata nei limiti dei motivi del ricorso principale accolti, con rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, che provvedere anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2011

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