Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4249 del 10/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 10/02/2022, (ud. 26/01/2022, dep. 10/02/2022), n.4249

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. NONNO Giacomo Maria – rel. Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 8109/2014 R.G. proposto da:

GMG s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via Carlo Conti Rossini n. 13,

presso lo studio dell’avv. Ivan Canelli, rappresentato e difeso

dall’avv. Manlio Mannino giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Campania n. 393/50/13, depositata l’1 ottobre 2013.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26 gennaio

2022 dal Consigliere Giacomo Maria Nonno.

 

Fatto

RILEVATO

CHE:

1. con la sentenza n. 393/50/13 del 01/10/2013, la Commissione tributaria regionale della Campania (di seguito CTR), accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate (di seguito AE) nei confronti della sentenza della Commissione tributaria provinciale di Benevento (di seguito CTP) n. 110/01/12, che aveva parzialmente accolto i ricorsi riuniti di GMG s.r.l. avverso due avvisi di accertamento per IRES, IRAP e IVA relative agli anni d’imposta 2007 e 2008;

1.1. come si evince anche dalla sentenza impugnata, gli avvisi di accertamento – per quanto ancora interessa in questa sede – erano stati emessi in ragione dell’utilizzazione, da parte della società contribuente, di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, con conseguente disconoscimento dei costi dedotti e dell’IVA detratta;

1.2. la CTR accoglieva l’appello dell’Agenzia delle entrate facendo presente che: a) la ditta G.C., fornitrice di GMG s.r.l., è risultata inesistente sulla base di molteplici elementi indiziari; b) GMG s.r.l., al di là delle affermazioni contenute nella sentenza penale, non ha provato di essere a conoscenza che il fornitore della prestazione era soggetto diverso dal fatturante; c) ne conseguiva la legittimità dell’operato dell’Ufficio, con conseguente rigetto degli originari ricorsi;

2. GMG s.r.l. impugnava la sentenza di appello con ricorso per cassazione, affidato a tre motivi;

3. AE resisteva in giudizio con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1. con il primo motivo di ricorso GMG s.r.l. contesta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, evidenziando che la sentenza della CTR si sarebbe pronunciata su di una contestazione fiscale diversa da quella prospettata da AE (riguardante operazioni oggettivamente e non soggettivamente inesistenti) e che la ricorrente avrebbe fornito la prova dell’esistenza delle prestazioni;

1.1. il motivo è inammissibile sotto un duplice profilo;

1.2. in primo luogo, ove il ricorrente intenda solo contestare la qualificazione giuridica delle operazioni indicate dalla CTR come soggettivamente e non oggettivamente inesistenti, avrebbe quanto meno dovuto trascrivere le parti rilevanti dell’avviso di accertamento e del processo verbale di constatazione cui si fa riferimento, risultando altrimenti la censura priva di specificità;

1.3. secondariamente, la ricorrente tende ad accreditare una diversa interpretazione degli stessi fatti storici già valutati dalla CTR, sicché la censura implica la proposizione di un vizio di insufficiente motivazione e si rivela inammissibile anche alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014; conf. Cass. n. 21257 del 08/10/2014; Cass. n. 23828 del 20/11/2015; Cass. n. 23940 del 12/10/2017; Cass. n. 22598 del 25/09/2018);

1.4. del resto, spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 331 del 13/01/2020; Cass. n. 19547 del 04/08/2017; Cass. n. 24679 del 04/11/2013; Cass. n. 27197 del 16/12/2011; Cass. n. 2357 del 07/02/2004);

2. con il secondo motivo di ricorso si contesta violazione e falsa applicazione della L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14 bis, comma 4, come modificato dal D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, commi 1, 2 e 3, conv. con modif. nella L. 26 aprile 2012, n. 44, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la CTR indebitamente ritenuto la indeducibilità dei costi (sulla quale, in verità, non si è nemmeno soffermata) e la indetraibilità dell’IVA; sotto quest’ultimo profilo, GMG s.r.l. evidenzia che non grava sul contribuente l’onere di provare l’elemento soggettivo con riferimento alla conoscenza della inesistenza del fornitore;

2.1. il motivo è fondato;

2.2. secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della detrazione dell’IVA, “l’Amministrazione finanziaria, la quale contesti che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, ha l’onere di provare, anche solo in via indiziaria, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta; la prova della consapevolezza dell’evasione richiede che l’Amministrazione finanziaria dimostri, in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere, con l’ordinaria diligenza in rapporto alla qualità professionale ricoperta, che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale, ossia che egli disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto sulla sostanziale inesistenza del contraente; incombe sul contribuente la prova contraria di aver agito in assenza di consapevolezza di partecipare ad un’evasione fiscale e di aver adoperato, per non essere coinvolto in una tale situazione, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, né la regolarità della contabilità e dei pagamenti, né la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi” (così Cass. n. 9851 del 20/04/2018, alla cui motivazione integralmente si rimanda; conf., tra le tante, Cass. n. 11873 del 15/05/2018; Cass. n. 17619 del 05/07/2018; Cass. n. 21104 del 24/08/2018; Cass. n. 27555 del 30/10/2018; Cass. n. 27566 del 30/10/2018; Cass. n. 5873 del 28/02/2019; Cass. n. 15369 del 20/07/2020);

2.2.1. non e’, invece, mai detraibile l’IVA afferente ad operazioni oggettivamente inesistenti, con riferimento alle quali l’Amministrazione finanziaria “ha l’onere di provare che l’operazione non è mai stata posta in essere, indicandone i relativi elementi, anche in forma indiziaria o presuntiva, ma non anche quello di dimostrare la mala fede del contribuente, atteso che, una volta accertata l’assenza dell’operazione, non è configurabile la buona fede di quest’ultimo, che sa certamente se ed in quale misura ha effettivamente ricevuto il bene o la prestazione per la quale ha versato il corrispettivo” (Cass. n. 28628 del 18/10/2021; conf. Cass. n. 18118 del 14/09/2016);

2.2.2. grava, invece, sul contribuente l’onere di provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, non potendo (anche in questo caso) tale onere ritenersi assolto con l’esibizione della fattura, ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, in quanto essi vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia (Cass. n. 28628 del 2021, cit.);

2.3. la deducibilità dei costi va, invece, verificata alla luce del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8 conv. con modif. nella L. 26 aprile 2012, n. 44;

2.3.1. il comma 1 della menzionata disposizione ha sostituito la L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4 bis, nel modo che segue: “Nella determinazione dei redditi di cui al testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 1, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o, comunque, qualora il giudice abbia emesso il decreto che dispone il giudizio ai sensi dell’art. 424 c.p.p., ovvero sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 del citato codice fondata sulla sussistenza della causa di estinzione del reato prevista dall’art. 157 c.p.. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione ai sensi dell’art. 530 c.p.p., ovvero una sentenza definitiva di non luogo a procedere ai sensi dell’art. 425 c.p.p., fondata sulla sussistenza di motivi diversi dalla causa di estinzione indicata nel periodo precedente, ovvero una sentenza definitiva di non doversi procedere ai sensi dell’art. 529 c.p.p., compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilità in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi”;

2.3.2. il D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, prevede, altresì, che “ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi”, applicandosi in tal caso solo una sanzione amministrativa;

2.3.3. tenuto conto del disposto del comma 3 – per il quale le disposizioni di cui al citato comma 1 “si applicano, in luogo di quanto disposto dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4-bis, previgente, anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell’entrata in vigore” dello stesso comma 1, “ove più favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al citato comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi” – appare evidente che le innovazioni sopra richiamate hanno portata retroattiva e sono state nella specie puntualmente richiamate già dalla CTP;

2.3.4. le disposizioni in parola trovano applicazione nel caso di operazioni sia soggettivamente sia oggettivamente inesistenti;

2.3.5. nel primo caso, questa Corte ha già avuto occasione di rilevare, anche sulla scorta della relazione al disegno di legge di conversione del D.L. n. 16 del 2012, che, poiché nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti i beni acquistati – di regola (e salvo il caso, ad esempio, in cui il “costo” sia consistito nel “compenso” versato all’emittente il falso documento) – non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, non è più sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relativi a dette operazioni; ferma restando, tuttavia, la verifica della concreta deducibilità dei costi stessi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (cfr. Cass. n. 10167 del 20/06/2012; Cass. n. 24426 del 30/10/2013; Cass. n. 26461 del 17/12/2014; Cass. n. 25249 del 07/12/2016; Cass. n. 27566 del 2018, cit.; Cass. n. 32587 del 12/12/2019; Cass. n. 4645 del 21/02/2020);

2.3.6. con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti grava sul contribuente l’onere di provare la fittizietà di componenti positivi che, ai sensi del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 2, ove direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni e servizi non effettivamente scambiati o prestati, non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi (Cass. n. 7896 del 2016, cit.; Cass. n. 22430 del 2014, cit.; Cass. n. 25967 del 20/11/2013).

2.4. nel caso di specie, la CTR non si è attenuta ai superiori principi di diritto;

2.4.1. con riferimento all’IVA ha ritenuto assolto da AE l’onere di provare l’elemento soggettivo sulla base degli elementi indiziari riguardanti la semplice inesistenza del fornitore, il che contrasta con i principi giurisprudenziali più sopra menzionati, non essendo stati indicati quegli elementi ulteriori idonei a ritenere la consapevolezza di GMG s.r.l.;

2.4.2. con riferimento ai costi, la CTR ha del tutto omesso di considerare che, anche in caso di consapevolezza della frode da parte della società contribuente, gli stessi – essendo stato escluso il reato, come evidenziato dalla stessa CTR – vanno riconosciuti ove ritenuti di competenza, inerenti, certi, determinati o determinabili, giudizio di fatto che va demandato al giudice del rinvio;

3. con il terzo motivo di ricorso si contesta, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per avere la CTR omesso di valutare la sentenza di non luogo a procedere emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Benevento, prova di cui all’art. 116 c.p.c., comma 1;

3.1. il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;

3.2. il motivo è infondato nella parte in cui si afferma che la CTR non avrebbe preso in considerazione la sentenza penale, che, invece, è stata espressamente valutata e legittimamente ritenuta non rilevante;

3.3. il motivo è inammissibile nella parte in cui la società ricorrente vorrebbe ottenere una nuova valutazione delle risultanze della sentenza penale, così surrettiziamente ottenendo un diverso giudizio del merito della controversia;

4. in conclusione va accolto il secondo motivo di ricorso, rigettati gli altri; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla CTR della Campania, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 26 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

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