Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4248 del 22/02/2011

Cassazione civile sez. III, 22/02/2011, (ud. 12/01/2011, dep. 22/02/2011), n.4248

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. CARLEO Giovanni – rel. Consigliere –

Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 573-2009 proposto da:

V.G. (OMISSIS), P.F.

(OMISSIS), M.G. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GIUSEPPE GIOACCHINO BELLI 27,

presso lo studio dell’avvocato GENTILE GIAN MICHELE, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUFFRE’ FRANCESCO

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

S.M. (OMISSIS), EDITRICE LA STAMPA S.P.A.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore e per

esso del procuratore dr. C.A., L.L.F.

(OMISSIS), considerati domiciliati “ex lege” in ROMA presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e difesi

unitamente dagli avvocati RICCI SANTE e PASTORE FRANCO giusta delega

in atti; CO.TE. (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in ROMA, V. PACUVIO 34, presso lo studio dell’avvocato

ROMANELLI GUIDO, che la rappresenta e difende, giusta procura

speciale del Dott. Notaio ATTILIO CASTELLANI in REGGIO CALABRIA

23/1/2009, REP. n. 108418;

R.C.S. PERIODICI S.P.A., O.P. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ORAZIO 3, presso lo studio

dell’avvocato MALAVENDA CATERINA, che li rappresenta e difende per il

primo giusta delega in calce al controricorso, per il secondo giusta

procura in calce agli atti di citazione notificati;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1317/2008 della CORTE D’APPELLO di TORINO 3^

SEZIONE CIVILE, emessa il 4/4/2008, depositata il 26/09/2008, R.G.N.

1281/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2011 dal Consigliere Dott. CARLEO Giovanni;

udito l’Avvocato GENTILE Gian Michele;

udito l’Avvocato ROMANELLI GUIDO;

udito l’Avvocato BOCCIA IOLANDA (per delega dell’Avv. RICCI SANTE);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per la manifesta fondatezza

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL FATTO

Con citazione notificata il 2 febbraio 2005 i magistrati V. G., M.G. e P.F. esponevano che il 13 settembre 2004 un dispaccio dell’Agenzia Ansa aveva dato notizia di una conferenza stampa, organizzata dalla sig.ra Co.Te., avente ad oggetto alcune vicende giudiziarie per risarcimento danni promosse contro di lei da quattro magistrati, tra cui i sopraindicati attori; che la notizia era stata ripresa da alcuni giornalisti, tra cui L.F., autore di una serie di articoli apparsi sul quotidiano (OMISSIS) e sui settimanali “Specchio” ed “Oggi”; che nel corso della conferenza stampa la Co. aveva reso dichiarazioni diffamatorie in loro danno e che analogo contenuto diffamatorio era riscontrabile nei servizi di stampa; ciò premesso, gli attori convenivano in giudizio Co.Te., L.L.F., nei direttori dei giornali S.M., Pi.Ri., B.C. d., O.P., nonchè negli editori la S.p.a.

Editrice La Stampa e la S.p.a. R.S.C. Periodici chiedendo che venissero condannati al risarcimento solidale dei danni quantificabili in Euro 50.000 nonchè al pagamento della sanzione pecuniaria di cui al L. n. 47 del 1948, art. 12 ed alla pubblicazione della sentenza. In esito al giudizio, il Tribunale di Torino dichiarava cessata la materia del contendere fra gli attori e le convenute Pi. e B.d., dichiarava inammissibile, perchè nuova, una domanda attrice proposta nel corso del giudizio, rigettava le altre domande avanzate dagli attori. Avverso la relativa decisione gli attori proponevano gravame. La Corte di Appello di Torino rigettava l’impugnazione condannando gli appellanti al pagamento delle spese del giudizio. Avverso quest’ultima sentenza i ricorrenti hanno infine proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi riferiti alla Co. ed in ulteriori due motivi, riferiti alle altre parti. La Co., O.P. e RCS Periodici Spa, L.L.F. e l’Editrice la Stampa S.p. a. resistono con controricorso ed hanno depositato, così come gli stessi ricorrenti, memorie difensive a norma dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La prima doglianza, rivolta dai ricorrenti nei confronti della Co., articolata sotto il profilo della carenza e/o insufficienza della motivazione su punto controverso e decisivo per il giudizio, si fonda sulla premessa che la detta Co., prospettando ai giornalisti nella conferenza stampa che con l’esposto al CSM si era limitata ad una semplice e generica denuncia dell’ignavia del sistema giudiziario in Calabria e tacendo che con l’esposto aveva invece mosso gravi e calunniose accuse nei confronti di tre magistrati nominativamente indicati, aveva per ciò stesso presentato i tre magistrati nell’odiosa veste di autori di un persecutorio sopruso, trascinandola in Tribunale. Ora, nel ritenere che i tre magistrati non potessero dolersi di non essere stati nuovamente accusati di ogni nefandezza in conferenza stampa e nel ritenere che dalle dichiarazioni rese in conferenza, in sè e per sè, non potesse derivare alcuna lesione della reputazione degli appellanti, la Corte di merito sarebbe incorsa nel vizio motivazionale dedotto omettendo di valutare la falsità delle dichiarazioni della Co., in quanto reticenti e quindi contrastanti con la verità dei fatti, con conseguente inconfigurabilità del diritto di critica per mancato rispetto della verità. Ed invero – così continuano i ricorrenti – se esprimere opinioni e valutazioni su fatti e vicende costituisce legittima manifestazione del pensiero, ciò deve avvenire alla duplice condizione che esse rispettino la verità dei fatti e non ledano la sfera altrui mentre nel caso di specie era falso che l’esposto della Co. contenesse solo una generica denunzia dell’ignavia del sistema giudiziario in Calabria, e non accuse circostanziate nei confronti dei tre magistrati, e che le sentenze costituissero una grave ingiustizia di Stato. Tali rilievi erano stati precisati dagli appellanti. Con la conseguenza che diventerebbe irragionevole e carente di ogni correlazione logica con le censure avanzate l’affermazione della Corte secondo cui l’opinione della Co.

di essere oggetto di una persecuzione e di non aver offeso nessuno sarebbe stata rispondente alla verità dei fatti.

Inoltre – e tali rilievi sostanziano la seconda doglianza, anch’essa rivolta nei confronti della Co. per violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. – affermando che le dichiarazioni in questione non avessero contenuto lesivo, essendosi la donna limitata ad esprimere, relativamente alle sentenze di condanna subite, le proprie legittime opinioni, la Corte avrebbe trascurato che la diffamazione si consuma anche mediante mere reticenze, omissioni o analoghe forme di sostanziale alterazione della verità.

I motivi in questione possono essere trattati congiuntamente, proponendo profili di censura sostanzialmente connessi. A riguardo, occorre innanzitutto porre in evidenza che, così come è stato rilevato dalla Corte di merito, le dichiarazioni della Co.

da valutare ai fini della decisione erano e sono soltanto quelle di cui alla conferenza stampa in quanto, con riferimento al contenuto dell’esposto presentato al C.S.M., è stato già tenuto un altro giudizio conclusosi con la condanna della stessa Co. al risarcimento danni in favore degli odierni ricorrenti.

La premessa torna utile in quanto nel ricorso per cassazione in esame i ricorrenti, dopo aver trascritto lunghi brani dell’esposto presentato dalla Co. al C.S.M., hanno spesso posto l’accento sulle frasi che vi erano contenute, sia pure al fine di lamentare che il contenuto dell’esposto avrebbe dovuto essere riferito dalla Co. nella conferenza per evitare che essi fossero presentati nell’odiosa ed inveritiera veste di persecutori ed apparissero come autori di un sopruso e non già nella loro posizione di vittime di un’ingiusta aggressione, legittimamente risarcite.

In linea di principio, l’assunto dei ricorrenti merita attenzione poichè la rappresentazione dei fatti, incompleta e reticente, può essere idonea ad alterare sostanzialmente la verità dei fatti medesimi quando siano tralasciati alcuni aspetti della vicenda così strettamente collegati ai primi e così significativi, anche solo soggettivamente per chi l’abbia dovuto subire, da mutare in maniera rilevante la valutazione di determinati comportamenti e la portata di taluni avvenimenti. E ciò, soprattutto, quando i fatti riferiti in maniera incompleta siano accompagnati da sollecitazioni emotive ovvero da sottintesi, accostamenti insinuazioni obbiettivamente idonei a fuorviare gli ascoltatori ingenerando in loro suggestive quanto false rappresentazioni della realtà oggettiva.

Ma se questo è vero, non può trascurarsi che, nel ricorso in esame, i ricorrenti si sono limitati a trascrivere solo frasi isolate, estrapolate dal discorso pronunciato dalla Co. nel corso della conferenza stampa così come erano state riportate da agenzie (l’ANSA) o da quotidiani (La Stampa). Con la conseguenza che non è consentito a questa Corte sulla base del solo ricorso conoscere quali siano state in effetti le omissioni e le reticenze oggettivamente attribuibili alla resistente e se esse siano state tali da alterare effettivamente ed in misura sostanziale la verità dei fatti così da produrre gli effetti lesivi della reputazione dei ricorrenti, da quest’ultimi lamentati.

Ciò premesso, deve osservarsi che, in base al consolidato orientamento di questa Corte, il ricorso per cassazione – in ragione del principio di cosiddetta “autosufficienza” – deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito.

Considerato che nella specie non è stato permesso il necessario controllo sulla base delle sole deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative mediante l’esame diretto degli atti di causa, precluso alla Corte di cassazione, in applicazione del principio di autosufficienza sopra richiamato, le censure in esame devono essere pertanto dichiarate inammissibili.

Passando al terzo motivo di impugnazione, rivolto nei confronti dei giornalisti ed articolato sotto il profilo della carenza e/o insufficienza e contraddittorietà della motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, deve premettersi che la doglianza si fonda sulla premessa che, a contestazione delle conclusioni cui era pervenuto il Tribunale, secondo cui i servizi di stampa contestati risultavano rispettosi dei limiti che condizionano il legittimo esercizio del diritto di cronaca giornalistica, gli appellanti avevano osservato che sarebbe stato invece necessario controllare la veridicità delle affermazioni rese dalla Co. nella conferenza stampa sia per l’inverosimiglianza del fatto che la donna potesse essere stata condannata in sede penale, nei tre gradi di giudizio, per delle semplici e generiche doglianze su ritardi ed insufficienze della giustizia locale sia per l’estrema facilità del controllo e dell’accesso alle sentenze. Orbene a tali censure la Corte di merito aveva replicato osservando che nessun illecito poteva essere addebitato ai giornalisti nel semplice riferire le dichiarazioni della Co. mentre, quanto ai commenti e all’atteggiamento “adesivo”, essi non sembravano tali da aver travisato i fatti. Ne risultava l’assoluta carenza, superficialità ed inadeguatezza logica della motivazione, con cui erano stati elusi gli specifici profili di doglianza.

Inoltre – e tali rilievi sostanziano l’ultima doglianza, anch’essa rivolta nei confronti dei giornalisti per violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. – la Corte di merito avrebbe omesso di considerare che grava sul giornalista l’autonomo obbligo di verificare la notizia e che, nell’ipotesi della conferenza stampa, il legittimo esercizio di cronaca è subordinato alla condizione che il giornalista, riferendo fedelmente le dichiarazioni e le affermazioni dell’intervistato, mantenga una posizione di imparzialità e terzietà astenendosi da valutazioni e commenti che significhino condivisione ed adesione. Infine, la Corte territoriale avrebbe trascurato che il legittimo esercizio del diritto di critica è subordinato alla condizione che essa rispetti la verità dei fatti che ne costituiscono l’oggetto.

Anche tali motivi, riportati nella loro essenzialità, vanno trattati congiuntamente, proponendo profili di censura sostanzialmente connessi.

A riguardo, occorre premettere che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, in tema di azione di risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, deve essere tenuta ben ferma e presente la distinzione tra l’esercizio del diritto di critica (con cui si manifesta la propria opinione, la quale non può pertanto pretendersi assolutamente obiettiva e può essere esternata anche con l’uso di un linguaggio colorito e pungente, purchè non leda la integrità morale del soggetto) e di quello di cronaca (che può essere esercitato purchè sussista la continenza dei fatti narrati, intesa in senso sostanziale – per cui i fatti debbono corrispondere alla verità, sia pure non assoluta, ma soggettiva – e formale, con l’esposizione dei fatti in modo misurato, ovvero contenuta negli spazi strettamente necessari (cfr Cass. n. 17172/07, conformi Cass. n. 28411/08, n. 25/09).

Ciò premesso, qualora come nel caso di specie la narrazione di determinati fatti sia esposta insieme alle opinioni dell’autore dello scritto, in modo da costituire nel contempo esercizio di cronaca e di critica, la valutazione della continenza non può essere condotta sulla base di criteri solo formali, richiedendosi, invece, un bilanciamento dell’interesse individuale alla reputazione con quello alla libera manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita (art. 21 Cost.); bilanciamento ravvisabile nella pertinenza della critica all’interesse dell’opinione pubblica alla conoscenza non del fatto oggetto di critica, ma di quella interpretazione del fatto, che costituisce, assieme alla continenza, requisito per l’esimente dell’esercizio del diritto di critica (Cass. n. 25/09).

Ed è appena il caso di sottolineare come nell’esercizio del diritto di critica, mirante per definizione non ad informare ma a fornire giudizi e valutazioni personali, ben possano essere adoperate espressioni di commossa partecipazione alla vicenda che si racconta e di indignazione nei confronti di determinate situazioni che si siano venute oggettivamente a determinare, con l’intento di coinvolgere emotivamente i lettori al fine di indurli a condividere le proprie valutazioni, in quanto nell’esercizio del diritto di critica ed altresì in quello contestuale di cronaca e di critica, non si richiede al giornalista di porsi nella veste di osservatore neutro ed imparziale. Ciò, naturalmente, purchè le espressioni usate non si risolvano in un’aggressione gratuita e distruttiva dell’onore e della reputazione dei protagonisti dei fatti descritti.

Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto che “quanto ai commenti ed all’atteggiamento adesivo, al di là di espressioni colorite che rientrano comunque nell’ambito del lecito, essi non sembrano tali da aver travisato i fatti che appunto sono e stanno nei termini sopra riferiti. I commenti negativi dei giornalisti riguardano l’esito della vicenda, con la vittima della mafia…che finisce condannata ed esposta alle conseguenze della condanna: e ciò non comporta per gli attori altra esplicita accusa che quella di pretendere il risarcimento per essere stati ingiustamente coinvolti dalla Co. nelle proprie accuse. Se il giornalista sottolinea l’aspetto paradossale di tale esito, e se ritiene che moralmente la Co. non dovrebbe essere perseguita nemmeno quando ha torto, sol perchè è un’eroina della lotta alla mafia, forse sarà in errore ma non si vede perchè non possa esprimere tale suo convincimento: i tre attori non sono stati accusati di perseguire la Co. al di là ed al di fuori del loro diritto, ma si è voluto valutare negativamente da un punto di vista morale il fatto indubitabile che la Co. essi perseguono. Si tratta di un’ opinione, come tale lecita, al pari di quella che nel raffronto fra la difesa dei propri diritti da parte della Co. nei confronti dell’aggressione mafiosa, e quella della loro onorabilità da parte dei tre magistrati, dovrebbe essere la prima esigenza a prevalere, col sacrificio della seconda: altra opinione forse discutibile ma altrettanto lecita e contro la quale gli appellanti non possono opporre un bel nulla, poichè potrebbero dolersi solo dell’ attribuzione di un fatto non vero o dell’offesa gratuita”.

Ora, la valutazione del superamento o meno dei limiti del diritto di cronaca e di critica si risolve in giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione corretta, congrua e coerente (tra le tante cfr Cass. 15510 del 2006, 3284 del 2006, 11455 del 2003, 11420 del 2002, 11060 del 2002) e nel caso di specie, alla luce dei passi salienti della motivazione della sentenza, come sopra riportati, risulta con chiara evidenza come il giudice di seconde cure abbia argomentato adeguatamente sul merito della controversia con una motivazione sufficiente, logica, non contraddittoria e rispettosa della normativa in questione. Nè d’altra parte il motivo del ricorso in esame è riuscito ad individuare effettivi vizi logici o giuridici nel percorso argomentativo dell’impugnata decisione. Giova aggiungere inoltre che il controllo di logicità del giudizio di fatto – consentito al Giudice di legittimità – non equivale alla revisione del “ragionamento decisorio” in quanto essa si risolverebbe, sostanzialmente, in una nuova valutazione delle risultanze processuali, estranea alla funzione assegnata dall’ordinamento al Giudice di legittimità.

Alla stregua di tutte le superiori considerazioni ne deriva il rigetto del ricorso. La delicatezza delle questioni affrontate giustifica la compensazione delle spese tra tutte le parti in causa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese di questo giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 22 febbraio 2011

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