Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4246 del 19/02/2020

Cassazione civile sez. III, 19/02/2020, (ud. 29/01/2020, dep. 19/02/2020), n.4246

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso iscritto al n. 11370/208 R.G. proposto da:

A.A., C.M.C., A.G. E

A.D., rappresentati e difesi dall’avv. TOMASELLI Edmondo, con

domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Collatina n. 91;

– ricorrente –

contro

Società Reale Mutua di Assicurazioni s.p.a., in persona del

procuratore speciale N.E.M., rappresentata e difesa

dall’Avv. Claudio Russo, con domicilio eletto presso il suo studio

in Roma, viale Bruno Buozzi, n. 53;

– controricorrente –

HDI Assicurazioni s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. Michele Arditi, con

domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Costantino Morin,

n. 45;

– controricorrente –

UnipolSai Assicurazioni s.p.a., in persona del procuratore speciale

F.E., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Marco Ferraro e

Stefano Giove, con domicilio eletto presso il loro studio in Roma,

viale Regina Margherita, n. 278;

– controricorrente –

P.E., rappresentata e difesa dall’Avv. Luca Petrucci, con

domicilio eletto presso il suo studio in Roma, via Premuda, n. 6;

– controricorrente –

Azienda ASL Roma (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore;

– intimata –

M.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1668 della Corte d’appello di Roma depositata

il 13 marzo 2017;

Udita la relazione svolta in camera di consiglio dal Consigliere

Dott. Cosimo D’Arrigo;

letta la sentenza impugnata;

letti il ricorso, i controricorsi e le memorie depositate ai sensi

dell’art. 380-bis-1 c.p.c.

Fatto

RITENUTO

Il (OMISSIS) A.M. decedeva presso l'(OMISSIS), dove era stato trasportato con richiesta di TSO a causa di uno stato di agitazione.

I genitori A.A. e C.M.C. e i fratelli G. e A.D., in proprio e in qualità di eredi, convenivano, dinanzi al Tribunale di Roma, i due medici del pronto soccorso P.E. e M.F., nonchè l’Azienda ASL Roma (OMISSIS), domandando il risarcimento dei danni patiti per la morte del loro congiunto.

I convenuti si costituivano contestando la fondatezza della domanda risarcitoria e chiedendo di essere comunque manlevati dalle rispettive compagnie assicurative, che chiamavano in giudizio.

Si costituivano la HDI Assicurazioni s.p.a. e la UnipolSai Assicurazioni s.p.a., per la Asl Roma (OMISSIS), e la Reale Mutua Assicurazioni s.p.a., distintamente per la P. e il M.; le compagnie assicurative contestavano la fondatezza della domanda principale e, in subordine, chiedevano che l’eventuale accoglimento della domanda di manleva fosse contenuto nei limiti delle rispettive polizze assicurative.

Il Tribunale di Roma rigettava la domanda e condannava gli attori al pagamento delle spese di giustizia in favore dei due medici e della Azienda Asl Roma (OMISSIS), compensandole fra questi ultimi e le rispettive compagnie assicurative.

La sentenza veniva appellata in via principale dagli A. e dalla C. e in via incidentale dalla Reale Mutua Assicurazioni s.p.a.

La Corte d’appello di Roma accoglieva l’impugnazione principale limitatamente alla doglianza in materia di spese, che difatti compensava fra le parti anche per il primo grado. Rigettava nel resto i gravami.

Avverso tale sentenza A., G., A.D. e C.M.C. hanno proposto ricorso per cassazione, articolando due motivi di ricorso. Hanno resistito con controricorso P.E., la HDI Assicurazioni s.p.a., la UnipolSai Assicurazioni s.p.a. e la Reale Mutua Assicurazioni s.p.a.

L’Azienda ASL Roma (OMISSIS) e M.F., già contumaci in appello, non hanno svolto in questa sede attività difensiva.

Il Procuratore generale non ha ritenuto di presentare le proprie conclusioni scritte.

I ricorrenti hanno depositato memorie scritte ai sensi dell’art. 380-bis-1 c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO

Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la “violazione e falsa applicazione di legge – art. 360 c.p.c., n. 3”. In concreto, essi censurano la sentenza d’appello nella parte in cui ha escluso che la condotta dei medici avesse concorso a causare l’evento e in quella in cui ha posto in danno degli attori-appellanti le conseguenze del mancato accertamento circa le cause dell’evento.

Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, in quanto non sono indicate le norme di diritto asseritamente violate.

Detta indicazione non è richiesta per ragioni puramente formali, ma è necessaria per individuare le ragioni di doglianza e i limiti entro cui dovrà e potrà muoversi il sindacato di legittimità. Sebbene non si tratti di un requisito autonomo, la cui mancanza ne determini certamente l’inammissibilità, affinchè questa sanzione possa essere evitata occorre che dall’illustrazione del motivo si desumano chiaramente le norme e i principi violati, così sopperendo alla mancata espressa indicazione in rubrica (Sez. 3, Sentenza n. 25044 del 07/11/2013 Rv. 629102 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 4233 del 16/03/2012 Rv. 621660 – 01). Quest’eventualità non ricorre nel caso di specie, in quanto i ricorrenti, lungi dall’elaborare vere e proprie censure di diritto, si soffermano sull’analisi di una serie di circostanze fattuali che, a loro dire, avrebbero dovuto comportare un diverso esito della lite.

Viene in rilevo, sotto questo profilo, una seconda ragione di inammissibilità.

La doglianza, infatti, sembra sollecitare un riesame nel merito della vicenda, investendo questa Corte di questioni che sono estranee al giudizio di legittimità.

Ciò è vero specialmente nella parte iniziale del motivo, in cui i ricorrenti non muovono alcuna censura alla sentenza impugnata ma si limitano a dubitare dell’accertamento in fatto compiuto dalla corte territoriale che, a loro dire, inspiegabilmente avrebbe escluso il trattamento farmacologico tra le possibili concause dell’evento. Un giudizio “singolare” considerato – proseguono i ricorrenti – che la stessa Corte capitolina, nell’accoglimento del terzo motivo d’appello relativo alle spese del giudizio di primo grado, ha riconosciuto che le cause del decesso dell’ A. erano incerte.

Invero, l’incertezza cui fa riferimento la Corte d’appello non riguarda le cause del decesso (individuate nel concorso di obesità, ipertrofia miocardica, cardiopatia ipertensiva, arteriosclerosi coronarica diffusa e lo stato di ubriachezza, che ha influito negativamente con i farmaci somministrati). Piuttosto, la corte di merito pone l’accento sulle ragioni che hanno indotto gli attori ad intraprendere la lite: “la drammaticità della vicenda vissuta dagli odierni appellanti, infatti, pur non costituendo di per sè una valida ragione per disporre la compensazione delle spese di giudizio, indice ad una valutazione della soccombenza del tutto speciale non essendo azzardato sostenere che la tragicità dell’evento spinga in modo molto forte ad avanzare istanze giudiziarie volte ad un approfondimento della situazione nella speranza (non tanto e non solo di vedersi risarcita la perdita del congiunto) di ottenere una convincente spiegazione degli eventi accaduti. L’oggettiva incertezza sulle ragioni del decesso del giovane congiunto (di anni trenta al momento del ricovero) condotto al pronto soccorso con la speranza ed aspettativa di essere assistito (anche se non definitamente curato dalla grave patologia di cui era portatore) e riportato poi al suo domicilio, possono determinare una valutazione giustificativa della mancata applicazione della regola della soccombenza” (pag. 9).

Dunque, non sussiste neppure quella contraddittorietà della motivazione che – a prescindere dai noti limiti in cui un simile vizio può costituire motivo di ricorso per cassazione a seguito della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – i ricorrenti sembrano adombrare nel ricorso.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 In particolare, si dolgono della circostanza che la corte territoriale non abbia ritenuto opportuno procedere alla rinnovazione della c.t.u., disattendendo la richiesta formulata con l’atto di appello.

I ricorrenti censurano, inoltre, l’accertamento probatorio del nesso di causalità effettuato dalla Corte d’appello, che avrebbe “omesso di valutare punti decisivi della controversia, non assolvendo all’onere di rendere congrua ed adeguata motivazione su un aspetto determinante”.

Il motivo è inammissibile.

Anzitutto, viola l’art. 348-ter c.p.c., comma 5, dal momento che la Corte d’appello ha interamente confermato la ricostruzione in fatto contenuta nella sentenza di primo grado (c.d. “doppia conforme”). In tali circostanze, l’art. 348-ter c.p.c., comma 5, fa divieto di denunciare il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, a meno che – e non è questo il caso il ricorrente non dimostri che la ricostruzione dei due gradi non era stata conforme.

In secondo luogo, non può dirsi neppure che i ricorrenti abbiano davvero denunciato l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 Rv. 629831 – 01). Anzi, non può parlarsi neanche genericamente di “omesso esame”, posto che, nello stesso ricorso, a pag. 32, dopo aver indicato quali censure furono mosse nell’atto di appello alla sentenza di primo grado, i ricorrenti affermano “su tali censure la Corte di Appello si è espressa (…) ha disatteso le censure”.

E’ di tutta evidenza, quindi, che i ricorrenti abbiano – in realtà inteso sollecitare una diversa ricostruzione, in fatto, degli elementi probatori, inammissibile in questa sede e riservata al prudente apprezzamento del giudice di merito.

Per quanto concerne la mancata rinnovazione della c.t.u., occorre rammentare che accogliere o rigettare l’istanza di riconvocazione del consulente d’ufficio per chiarimenti o per un supplemento di consulenza rientra nel potere discrezionale del giudice di merito e l’eventuale provvedimento negativo non può essere censurato in sede di legittimità, deducendo la carenza di motivazione espressa al riguardo, quando dal complesso delle ragioni svolte in sentenza, in base ad elementi di convincimento tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e valutate con un giudizio immune da vizi logici e giuridici, risulti l’irrilevanza o la superfluità dell’indagine richiesta (Sez. 3, Sentenza n. 15666 del 15/07/2011, Rv. 619230 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 21525 del 20/08/2019, Rv. 655207 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 17906 del 25/11/2003, Rv. 568429 – 01).

Anche sotto questo profilo, pertanto, il motivo deve essere respinto.

In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico dei ricorrenti in solido, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, nella misura indicata nel dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, sicchè va disposto il versamento, da parte degli impugnanti soccombenti, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione proposta, senza spazio per valutazioni discrezionali (Sez. 3, Sentenza n. 5955 del 14/03/2014, Rv. 630550).

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Dispone che, in caso di utilizzazione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione scientifica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti riportati nella sentenza.

Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2020

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