Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4245 del 21/02/2011

Cassazione civile sez. III, 21/02/2011, (ud. 13/01/2011, dep. 21/02/2011), n.4245

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 5095-2010 proposto da:

T. e S.I. INFORMATICA SRL (OMISSIS) in persona del suo legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA

AUGUSTO IMPERATORE 22, presso lo studio dell’avvocato POTTINO GUIDO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GALGANO

FRANCESCO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CALZATURIFICIO LUIGI BARACCHINO & C. SPA (OMISSIS) in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati

TONELLI PIERA, GIANNONI MARIAGIULIA, giusta procura alle liti a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 38/2009 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA del

24.10.08, depositata il 13/01/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. FRASCA Raffaele;

udito per la ricorrente l’Avvocato Pottino Guido che si riporta agli

scritti. E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott.

PRATIS Pierfelice che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Ritenuto quanto segue:

P.1. La T. e S.I. Informatica s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza del 13 gennaio 2009, con cui la Corte d’Appello di Bologna ha rigettato l’appello da essa ricorrente proposto avverso la sentenza resa in primo grado dal Tribunale di Parma nella controversia introdotta dalla s.p.a. Luigi Baracchino &

C. s.p.a. con un’opposizione avverso un decreto ingiuntivo nei suoi riguardi ottenuto dalla ricorrente.

Ha resistito al ricorso l’intimata.

P.2. Essendo il ricorso soggetto alle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 e prestandosi ad essere trattato con il procedimento di cui all’art. 380-bis c.p.c. nel testo anteriore alla L. n. 69 del 2009, è stata redatta relazione ai sensi di detta norma, che è stata notificata agli avvocati delle parti e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

Parte ricorrente ha depositato memoria.

Considerato quanto segue:

P.1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c. si sono svolte le seguenti considerazioni:

“(…) 3. – Il ricorso appare inammissibile per un duplice ordine di ragioni.

La prima è che non sembra avere assolto al requisito della c.d.

esposizione sommaria del fatto sostanziale e processuale, di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, giacchè al riguardo il ricorso si articola dalla fine della prima pagina fino all’inizio della pagina 53, con una struttura che: per sei pagine riferisce la vicenda in fatto anteriore all’insorgenza della controversia, poi riferisce della richiesta di decreto ingiuntivo e, quindi, della citazione in opposizione, riportandone le conclusioni; poi da atto di un’ordinanza istruttoria del Tribunale e riproduce il contenuto di una capitolazione probatoria fino alla pagina 16; quindi riproduce il contenuto di una serie di deposizioni testimoniali fino all’inizio della pagina 34, nella stessa pagina e nella successiva il dispositivo della sentenza di primo grado; di seguito fino alla pagina 47 il contenuto dell’atto di appello e, quindi, fino alle prime righe della pagina 53 la sentenza impugnata.

In tal modo la percezione del fatto sostanziale e processuale dovrebbe risultare non già da un’attività riassuntiva svolta dalla ricorrente e volta ad evidenziarlo in modo funzionale alla trattazione dei motivi, siccome impone l’art. 366 c.p.c., n. 3 con l’uso dell’espressione “esposizione”, bensì – quasi totalmente (salvo che per talune interpolazioni svolte prima della riproduzione degli atti) dalla lettura da parte della Corte di una serie di atti dello svolgimento processuale di merito, che figurano assemblati nel ricorso. Ora, la giurisprudenza della Corte ha già affermato che questa tecnica di redazione del ricorso per cassazione non soddisfa (nel senso che non è idonea al raggiungimento dello scopo suo proprio) il requisito della esposizione sommaria (si vedano: Cass. sez. un. 16628 del 2009; Cass. 15180 del 2010; in relazione al ricorso assemblato, Cass. (ord.) 20393 del 2009, secondo cui “E’ inammissibile per inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 il ricorso per cassazione che pretenda di assolvere a tale requisito mediante l’assemblaggio in sequenza cronologica degli atti della causa, riprodotti in copia fotostatica, senza che ad essa faccia seguire una parte espositiva in via sommaria del fatto sostanziale e processuale, nè in via autonoma prima dell’articolazione dei motivi nè nell’ambito della loro illustrazione”; Cass. (ord.) n. 15631 del 2010, per un’ipotesi di ricorso nella quale le interpolazioni fra gli atti riprodotti non escludevano l’assemblaggio).

La seconda ragione di inammissibilità è rappresentata, invece, dall’inosservanza del requisito di ammissibilità di cui all’art. 366- bis c.p.c., norma applicabile nonostante l’abrogazione disposta dalla L. n. 69 del 2009, art. 47, giusta l’art. 58, comma 5, della stessa legge, che ne dispone l’ultrattività per i ricorsi per cassazione, proposti dopo la sua entrata in vigore contro provvedimenti pubblicati anteriormente ad essa, com’è quello impugnato.

Infatti, l’illustrazione di entrambi i due motivi su cui il ricorso si fonda, dedotti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, non si conclude e nemmeno contiene il c.d. momento di sintesi espressivo della c.d. “chiara indicazione, cui alludeva l’art. 366-bis c.p.c. (si veda, fra tante, Cass. sez. un. n. 20603 del 2007).”.

P.2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, le quali non sono superate in alcun modo dalle argomentazioni della memoria di parte ricorrente.

Queste le ragioni.

Nella memoria si contesta il rilievo di inammissibilità del ricorso per inosservanza del requisito di ammissibilità di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3 evocando la giurisprudenza di questa Corte sulla c.d.

autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso, assumendo che la riproduzione degli atti del giudizio cui si è alluso nella relazione sarebbe stata effettuata a questo scopo.

Senonchè, una volta rilevato che il principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione, enunciato dalla giurisprudenza della Corte anteriormente alla riforma di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 a seguito di essa ha trovato un precipitato normativo espresso nell’art. 366 c.p.c., n. 6 (sulla cui esegesi si vedano, per quanto attiene ai documenti, Cass. n. 22303 del 2008, Cass. sez. un. n. 28547 del 2008 e Cass. sez. un. n. 7161 del 2010;

per quanto attiene agli atti processuale, fra tante, Cass. n. 4201 del 2010), posto che la prescrizione della indicazione specifica nel ricorso degli atti processuali e dei documenti su cui il ricorso e, quindi, il motivo o i motivi, si fondano, nient’altro esprime che l’esigenza contenutistica del ricorso per cassazione a suo tempo ricostruita dalla giurisprudenza sulla c.d. autosufficienza, si rileva che nella struttura del paradigma quoad contenuto-forma del ricorso fissata ora nell’art. 366 c.p.c. (sul punto rimasto immutato dopo la riforma della L. n. 69 del 2009) il requisito di cui al n. 6 e quello di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3 sono espressamente previsti come due requisiti distinti. Ne consegue che il loro profilo contenutistico deve – salvo supporre che il legislatore del 2006 abbia fatto una riforma inutile essere ricostruito diversamente. Ciò non significa che esposizione sommaria del fatto sostanziale e processuale e indicazione specifica degli atti e documenti debbano topograficamente essere parti del ricorso necessariamente distinte, ma implica che certamente che debbano assolvere ad una distinta funzione.

L’esposizione del fatto serve a consentire alla Corte di cassazione di percepire quale è stata la vicenda sostanziale oggetto del giudizio, come è stata articolata nelle difese delle parti, quale sia stato lo svolgimento di tali difese nel processo di merito, ivi compreso l’esercizio del diritto di impugnazione. E tanto al fine di consentire alla Corte di comprendere – in un processo come quello di cassazione, che è scritto e privo sostanzialmente di istruzione e, quindi, di momenti di colloquio in udienza fra le parti ed il giudice – se e come i motivi di ricorso si collochino nella vicenda processuale.

L’indicazione specifica di cui all’art. 366, n. 6 serve alla Corte di percepire dove le allegazioni illustrative del o dei motivi del ricorso debbano trovare riscontro e l’eventuale riproduzione del loro contenuto e prima ancora l’indicazione del se e dove siano reperibili nel processo di cassazione (nel quale il ricorrente ed il resistente hanno comunque un distinto onere di produzione, agli effetti di cui all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4) gli atti processuali ed i documenti su cui essi si fondano. E ciò in modo che la Corte possa se del caso riscontare la fondatezza delle allegazioni senza ricercare riscontri in via del tutto soggettiva, conforme alla circostanza che in un giudizio di impugnazione, tanto più a critica limitata e senza istruzione, non v’è spazio per correggere eventuali errori di riscontro della Corte.

L’ora chiara distinzione fra i due requisiti di cui si discute, peraltro, trovava già conferma nella giurisprudenza sull’autosufficienza, la quale, anche là dove talvolta spiegava l’esposizione di cui al n. 3 come funzionale all’autosufficienza (si veda, ad esempio, Cass. n. 15808 del 2008 e Cass. n. 7825 del 2006), tuttavia sottolineava la funzionalizzazione di oneri di riproduzione di atti e documenti ai motivi e, quindi, non solo non propugnava certo una trascrizione o riproduzione di tutti o di buona parte degli atti del processo di merito, ma nemmeno esigeva riproduzioni se non per quanto di interesse ai fini dello scrutinio del o dei motivi. Il che, talvolta, poteva anche rendere necessario una trascrizione integrale di uno o più atti, ma non una tecnica espositiva come quella del ricorso in esame.

Cass. se. un. n. 11653 del 2006, evocata dalla ricorrente come giustificativa delle riproduzioni censurate nella relazione – là dove ebbe a statuire che “Il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è volto a garantire la regolare e completa instaurazione del contraddittorio e può ritenersi soddisfatto, senza necessità che esso dia luogo ad una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi, laddove il contenuto del ricorso consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata.” – non giova affatto alla sua prospettazione, posto che allude alla “chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione”.

Comunque, ogni sovrapposizione fra esposizione sommaria ed autosufficienza, nel regime del D.Lgs. n. 40 del 2006 sarebbe priva di fondamento e giustificazione.

Nella specie il Collegio ritiene, dunque, pienamente fondato il rilievo di inammissibilità ai sensi dell’art. 366, n. 3.

P.3. Con riferimento al rilievo di inammissibilità ai sensi dell’art. 366-bis c.p.c. (che, peraltro, risulta svolto in aggiunta al primo rilievo, di per sè assorbente) nella memoria si sostiene che il requisito della c.d. “chiara indicazione” sarebbe assolto dalle due proposizioni finali dell’illustrazione di ciascun motivo.

L’assunto non è condivisibile.

Il primo motivo si conclude con le seguenti due proposizioni:

“Ma il punto decisivo della controversia era proprio quello si stabilire se il malfunzionamento dipendesse dal programma in sè oppure dall’errata installazione ovvero dalla incompatibilità del programma con la struttura di rete della società Baracchino s.p.a.

Orbene, poichè allo stato degli atti la società Baracchino non ha fornito nè la prova della corretta installazione da parte dell’ing. B.L. dei programmi acquistati dalla Tesi informatica, è evidente la insufficienza della motivazione della sentenza impugnata”.

La prima proposizione, si legge nella memoria, riassumerebbe “il punto decisivo della controversia”, la seconda “le ragioni della insufficienza della motivazione della sentenza impugnata”.

Il secondo motivo si conclude con le seguenti due proposizioni:

“Alla luce delle predette deposizioni emerge chiaramente la insufficienza della motivazione, la quale si limita a addurre che i testi ing. B.L., M.A. (rectius:

A.) e Ma.Al. avrebbero implicitamente confermato il contenuto della lettera della B. del 15 settembre 1998, quando al contrario emerge chiaramente dalle deposizioni che nessun teste indotto dalla B. ha confermato il contenuto della predetta missiva e nessuno in data successiva al 30 luglio 1998. Anzi risulta esplicitamente e chiaramente il contrario dalle deposizioni dei testi m.e., V.U. e A. C., che la Corte d’Appello di Bologna trascura incongruamente ed illogicamente. Orbene, con tutta evidenza la decisione oggetto della presente impugnativa è frutto di una valutazione del tutto parziale ed arbitraria delle prove escusse, con palese contraddittorietà ed insufficienza della motivazione circa i punti decisivi della controversia”.

Anche in questo caso a ciascuna delle due proposizioni nella memoria si assegna il valore indicato per quelle di cui al primo motivo.

Il Collegio rileva che le proposizioni riportate nemmeno usano i concetti normativi – fatto controverso e ragioni di decisività – supposti dall’art. 366-bis c.p.c.. E nemmeno le usano le brevi argomentazioni della memoria.

Non solo: le proposizioni riportate con riferimento al primo motivo fanno riferimento allo “stato degli atti”, così rinviando del tutto genericamente all’illustrazione del motivo per percepire quale sia il difetto di motivazione denunciato e non fornendo affatto alcuna chiara, seppur sommaria, indicazione nè del fatto controverso nè delle ragioni di decisività del vizio motivazionale. Le proposizioni relative al secondo motivo si risolvono non solo nuovamente nel rinvio all’illustrazione del motivo (là dove la prima inizia con “alla luce delle predette deposizioni”), ma anche nella generica indicazione che taluni testi non avrebbero detto quello che la Corte territoriale avrebbe fatto loro dire e che anzi il contrario sarebbe stato confermato da altri testi.

Nessuna specificazione delle ragioni di decisività di tale contrasto si fornisce.

Non è dato, dunque, comprendere come le proposizioni in discorso avrebbero assolto a quanto ritenuto dalla giurisprudenza di questa Corte richiamata dalla relazione.

4. Il ricorso è, pertanto, dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro tremiladuecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2011

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