Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4242 del 17/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 17/02/2021, (ud. 24/11/2020, dep. 17/02/2021), n.4242

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18723-2019 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– ricorrente –

Contro

DESAN SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28/S, presso lo

studio dell’avvocato GAETANO ALESSI, rappresentata e difesa

dall’avvocato PIETRO RABIOLO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5778/14/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA, depositata il 18/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. COSMO

CROLLA.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

1. La soc. Desan srl proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento avverso l’avviso di accertamento notificato in data 17/11/2010, con il quale l’Agenzia delle Entrate, sulla base del maggior reddito accertato di Euro 130.340, attraverso gli studi di settore, effettuava una ripresa fiscale Ires, Iva e Irap con riferimento all’anno di imposta 2005

2. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso non rilevando la sussistenza delle “gravi incongruenze” che giustificavano l’accertamento standardizzato.

3. La sentenza veniva impugnata dall’Agenzia delle Entrate e la Commissione Regionale Tributaria della Regione Sicilia rigettava l’appello ribadendo che la scarsa consistenza del divario tra quanto dichiarato dalla contribuente e quanto accertato dall’Ufficio, avuto riguardo anche alla realtà imprenditoriale e ai valori assoluti di reddito, non legittimava l’accertamento induttivo.

5. Avverso la sentenza della CTR l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per Cassazione affidandosi ad un unico motivo. La contribuente si è costituita depositando controricorso e memoria difensiva.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.Con l’unico motivo l’Ufficio ricorrente denuncia la violazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies convertito in L. n. 427 del 1993, della L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 1, della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 23, lett. b), del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, nonchè degli artt. 2697 e 2727 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 10, n. 3; in particolare l’Ufficio lamenta che l’impugnata sentenza non avrebbe dovuto procedere all’esame della gravità dell’incongruenza tra il reddito dichiarato e quello accertato posto che a partire dall’1.1.2007 e, quindi, in data anteriore all’accertamento condotto sulla base degli studi di settore, con l’entrata in vigore della L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 23, lett. b) che ha modificato la L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 1 è richiesta la mera incongruenza tra la dichiarazione e l’accertamento induttivo. Sostiene la ricorrente che, in ogni caso, erroneamente la CTR ha ritenuto esclusa dalla tassazione la non grave incongruenza, peraltro riconosciuta in maniera del tutto arbitraria, posto che, così ragionando si giustificherebbe qualunque lieve illegalità fiscale.

2. Il motivo è fondato.

3. Preliminarmente va disattesa l’eccezione di giudicato interno sollevata nella memoria di parte della contribuente.

3.1 Afferma la resistente che il giudice di primo grado ha accolto il ricorso per un duplice ordine di ragioni: la prima consistente nel non reputare lo scostamento del 16% idoneo a integrare gli estremi della grave incongruenza che giustifica il ricorso allo studio di settore; la seconda relativa al fatto che le giustificazioni addotte dalla società contribuente sono state ritenute idonee da sole a giustificare lo scostamento calcolati con l’applicazione dello studio di settore.

3.2 La sentenza di secondo grado, sempre secondo la tesi della società appellata avrebbe confermato, sia pur in modo estremamente sintetico, entrambe le rationes decidendi della Commissione Tributaria Provinciale.

3.3 Dal momento che con il ricorso per Cassazione l’Agenzia delle Entrate ha censurato la sentenza della CTR limitatamente alla questione delle “gravi incongruenze” omettendo di criticare la sentenza sul controverso profilo della idoneità delle motivazioni addotte dal contribuente a giustificare lo scostamento, a giudizio della Desan srl, si sarebbe formato, sul punto, il giudicato Interno.

3.4 Va precisato che, come si desume dalla lettura dell’atto di appello, l’Agenzia delle Entrate, con il secondo motivo di appello, ha sottoposto a censura le argomentazioni della sentenza di primo grado riferite agli elementi attraverso i quali la contribuente aveva giustificato lo scostamento.

3.5 La CTR, contrariamente a quanto assunto dalla parte privata, ha fondato la propria decisione di rigetto dell’appello esclusivamente sulla ritenuta non gravità dell’incongruenza omettendo completamente l’esame dell’altra questione, trattata dal giudice di primo grado ed oggetto di specifico motivo di appello proposto dall’Agenzia, relativa alla giustificazione dello scostamento rilevato dallo studio si settore. Anche laddove i giudici di seconde cure affermano “la correttezza della decisione di primo grado” è per precisare che la CTP “ha ragionevolmente e condivisibilmente argomentato, sulla scarsa consistenza del divario registrato rispetto agli studi di settore”. In ogni caso l’Agenzia delle Entrate anche nel ricorso per Cassazione ha affrontato la questione sulla quale controparte pretende che si sia formato il giudicato affermando che “nel caso de quo, l’Ufficio ha assolto il proprio onere probatorio in quanto nell’avviso di accertamento sono state esposte le ragioni per le quali le giustificazioni di controparte sono state ritenute infondate ed, inoltre sono stati indicati elementi corroboranti il risultato dello studio di settore cosi per come sopra segnalato”

3.6 E’ inoltre infondato l’ulteriore rilievo contenuto nella memoria del contribuente secondo il quale la proposta del relatore determinerebbe una decisione ultra petita in quanto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate si sarebbe limitato a censurare la sentenza della CTR per non aver ritenuto applicabile la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 23, lett. b).

3.7 Come può agevolmente evincersi dalla lettura del ricorso (cfr. pag. 15 e 16) l’Ufficio sottopone a critica l’impugnata sentenza anche con riferimento agli arbitrari criteri con il quale i giudici di seconde cure hanno valutato la non gravità dell’incongruenza.

4.Venendo all’esame del motivo del ricorso, il D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3 convertito in L. n. 427 del 1993 stabilisce che “gli accertamenti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 39, comma 1, lett. d), e successive modificazioni, e D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, art. 54 possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis del presente decreto.

4.1 Successivamente è intervenuto la L. n. 146 del 1998, art. 1 a tenore del quale “Gli accertamenti basati sugli studi di settore, di cui al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62-sexies convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, sono effettuati nei confronti dei contribuenti con periodo d’imposta pari a dodici mesi e con le modalità di cui al presente articolo”. Le parole: “con periodo d’imposta pari a dodici mesi e” sono state soppresse con l’aggiunta, in fine, delle seguenti parole: “qualora l’ammontare dei ricavi o compensi dichiarati risulta inferiore all’ammontare dei ricavi o compensi determinabili sulla base degli studi stesse” dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 23.

4.2 La prima questione da trattare, concerne l’applicabilità al processo in esame della L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 23, che ha modificato la L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 10, a decorrere dall’1-1-2007.

4.3 Secondo il consolidato orientamento di questa Corte l’accertamento induttivo fondato sul mero divario, a prescindere dalla sua gravità, tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto risultante dagli studi di settore è legittimo solo a decorrere dal 1 gennaio 2007, in base alla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 23, che non ha portata retroattiva, trattandosi di norma innovativa e non interpretativa, in quanto, con l’aggiunta di un inciso, ha soppresso il riferimento alle “gravi incongruenze”, prima operato tramite il rinvio recettizio al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, comma 3, convertito, con modificazioni, nella L. 29 ottobre 1993, n. 427 (cfr. Cass., n. 26481/2014; 22421/2016 e 27847/ 2018).

4.4 La L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 1, come modificato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 23, lett. b, con cui è stato soppresso ai fini dell’accertamento basato sugli studi di settore l’originario riferimento alle “gravi incongruenze” di cui al testo originale del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, si applica solo agli avvisi di accertamento emessi in data successiva all’entrata in vigore della L. n. 296 del 2006, quindi dall’1-1-2007 (Cass., 26481/2014, cit; Cass., 30760/2017; Cass., 24621/2017). E’ stato, infatti, affermato che, ai fini della applicabilità della novella del 2006 (L. n. 296 del 2006 in vigore dall’1-1-2007), deve tenersi conto della data di notifica dell’avviso di accertamento e non dell’anno di imposta, eventualmente anteriore all’1-1-2007, in virtù della generale regola tempus regit actum, in assenza di una specifica norma transitoria di contenuto diverso (Cass., 17807/2017).Nella fattispecie in esame l’avviso è stato notificato il 17.11.2010, anche se riferito all’anno 2005, deve applicarsi la L. n. 146 del 1998, art. 10, come modificato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 23.

4.5 Tuttavia questa Corte, sulla scorta della normativa e della giurisprudenza unionale, valorizzando i principi di proporzionalità e capacità contributiva ha affermato il principio secondo il quale il requisito delle “gravi incongruenze” è tuttora richiesto per la legittimità dell’accertamento induttivo attraverso gli studi di settore.

4.6 E stato, infatti, affermato che “la L. n. 146 del 1998, art. 10, comma 4 bis, ribadisce l’applicabilità della disciplina di accertamento sia alle imposte dirette che all’iva, mediante il richiamo sia al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), sia al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54 (“Le rettifiche sulla base di presunzioni semplici di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), secondo periodo, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 2, ultimo periodo, non possono essere effettuate nei confronti dei contribuenti che dichiarino, anche per effetto dell’adeguamento, ricavi o compensi pari o superiori al livello della congruità, ai fini dell’applicazione degli studi di settore di cui al D.L. n. 331 del 1993, art. 62 bis…tenuto altresì conto dei valori di coerenza risultanti dagli specifici indicatori, di cui alla presente legge, art. 10 bis, comma 2, qualora l’ammontare delle attività non dichiarate, con un massimo di 50.000 Euro, sia pari o inferiore al 40 per cento dei ricavi o compensi dichiarati. Non v’è stata, dunque, una abrogazione implicita del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, da parte della L. n. 296 del 2006 (art. 23 comma 23), che ha modificato la L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 10, comma 1” (Cass. 5327/2019, 8855/2019 e 16259/2019).

4.7.Dunque, in assenza di una disciplina derogatoria della normativa generale sugli studi di settore, trova conferma per la legittimità dell’accertamento standardizzato la perdurante necessità che il divario tra i ricavi dichiarati dal contribuente e le risultanze degli studi dia luogo a “gravi incongruenze”.

4.8 Ciò premesso va rilevato come in passato, al fine di individuare divergenze significative tra i ricavi dichiarati e quelli risultanti dagli studi di settore, la nozione di “grave incongruenza” non veniva ricavata avendo riguardo in via assoluta a precise soglie quantitative fisse di scostamento, essendo, invece, la nozione di indici di natura relativa da adattare a plurimi fattori propri della singola situazione economica, del periodo di riferimento ed in generale della stessa storia.

4.9 La più recente giurisprudenza, dal quale questo Collegio non ha motivo di discostarsi, ha individuato come soglia presuntiva e ragionevole di tolleranza, quella, non superiore al 10% degli scostamenti tra i ricavi dichiarati e quelli accertati sulla base degli studi di settore (cfr. Cass. 8855/2019, 7361/2020 e 12304/2020).

4.10 In particolare, si è fatto riferimento al D.P.R. 16 settembre 1996, n. 570, art. 2, comma 1, lett. a (“regolamento per la determinazione dei criteri in base ai quali la contabilità ordinaria è considerata inattendibile, relativamente agli esercenti attività di impresa, arti e professioni”), il quale dispone che “ai medesimi fini indicati nel comma 1, le contraddizioni tra le scritture obbligatorie e i dati e gli elementi direttamente rilevati si considerano gravi e rendono altresì inattendibile la contabilità ordinaria degli esercenti attività di impresa, quando: a)i valori rilevati a seguito di ispezioni o verifiche, anche parziali abbiano uno scostamento, rispetto a quelli indicati in contabilità, superiore al 10 per cento del valore complessivo delle voci interessate, a condizione che tale scostamento non sia riconducibile a errata applicazione dei criteri di valutazione ovvero di imputazione temporale”, ed analogamente al D.P.R. n. 570 del 1996, art. 1, comma 2, lett. b) si prevede che “tali contraddizioni” si considerano “gravi” quando “non risultano indicati in alcuna delle scritture contabili o, in mancanza dell’obbligo di indicazione nelle stesse, in altra documentazione attendibile, uno o più beni strumentali…il cui valore complessivo sia superiore al 10 per cento di quello di tutti i beni strumentali utilizzati…”.

4.11 Nella fattispecie in esame, appaiono all’evidenza delle “gravi incongruenze” ed “anomalie” rilevabili nella condotta fiscale della ricorrente, atteso che dai dati contenuti nello stesso ricorso (pagg. 20 e 21) si evince l’esistenza di scostamenti, significativamente, superiori alla citata soglia del 10%;

4.12 La CTR nel ritenere di scarsa consistenza il divario registrato rispetto agli studi di settore non ha fatto buon governo dei principi sopra esposti atteso che, essendo lo scostamento tra l’importo dei ricavi dichiarati dalla società e quelli calcolati in base agli studi di settore superiore al 16 A) si è largamente superata la soglia del 10% verificandosi, quindi, una divergenza significativa tale da giustificare l’emissione dell’avviso di accertamento.

3 Il ricorso va quindi accolto con cassazione dell’impugnata sentenza e rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia anche in ordina alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Sicilia anche in ordine alla regolamentazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2021

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