Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4241 del 21/02/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 4241 Anno 2018
Presidente: FRASCA RAFFAELE
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA

ORDINANZA
sul ricorso 27382-2016 proposto da:
MURA PIER GIOVANNI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
CRESCENZIO 19, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO
RAMPIONI, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente contro
AVIVA ITALIA S.P.A., in persona del procuratore speciale pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, ROMEO ROMEI, 27,
presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO ROMAGNOLI, che la
rappresenta e difende;
– controricorrente nonché contro
DAU LELIO S.R.L.;
– intimata –

Data pubblicazione: 21/02/2018

avverso la sentenza n. 184/2016 della CORTE D’APPELLO DI
CAGLIARI – SEZIONE DISTACCATA DI SASSARI, depositata il
19/04/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 20/07/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA

FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 11/2013 il Tribunale di Tempio Pausania- sezione
dL-staccata di Olbia, in parziale accoglimento della domanda proposta
da Aviva Italia S.p.a. e volta alla condanna in solido dell’impresa Dau
Elio S.r.l. e di Pier Giovanni Mura alla restituzione della somma di €
150.000,00, condannò il solo Mura a rimborsare quanto versato dalla
società assicuratrice agli eredi di Mario Degortes, deceduto sul luogo
del lavoro, e regolò le spese di lite.
Avverso la sentenza di primo grado Pier Giovanni Mura propose
appello cui resistettero con distinti atti gli appellati.
La Corte di appello di Cagliari – Sezione distaccata di Sassari, con
sentenza depositata in data 19 aprile 2016, rigettò l’appello,
confermò la sentenza impugnata e condannò l’appellante alle spese di
quel grado di giudizio.
Avverso la sentenza della Corte di appello Pier Giovanni Mura ha
proposto ricorso per cassazione basato su tre motivi, cui ha resistito
Aviva Italia S.p.a. con controricorso.
Dau Lelio S.r.l. non ha svolto attività difensiva in questa sede.
A seguito di deposito di proposta, il Presidente ha fissato
l’adunanza della Corte con decreto comunicato alle parti ex art. 380
bis cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il Collegio ha disposto la redazione dell’ordinanza con
motivazione semplificata.

Ric. 2016 n. 27382 sez. M3 – ud. 20-07-2017
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SCRIMA.

2. Con il primo motivo, rubricato «Violazione dell’art. 183 e 184
cod. proc. civ. introdotto dalla L. 353 del 1990 e dell’art. 112 cod
proc. civ.», il ricorrente deduce che la Corte di merito avrebbe
erroneamente ritenuto che la Aviva Italia S.p.a. avesse proposto
domanda ex art. 2055 e 1299 cod. civ., sostenendo che, nell’atto

sarebbe «l’obbligazione espromissoria, che vedeva il ricorrente – nella
ricostruzione dell’istituto … assicurativo – nella veste di obbligato
originario e responsabile in solido ex art. 1272 in forza del “preteso
accordo raggiunto”».
Ad avviso del ricorrente, solo nelle note ex art. 183 cod. proc.
civ., l’istituto assicurativo avrebbe introdotto una domanda nuova e,
pertanto, inammissibile, richiamando l’art. 1916 cod. civ., pur in
totale assenza di stretto vincolo di consequenzialità tecnica e logica
con le difese dei convenuti.
2.1. Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, in quanto,
in violazione dell’art. 366, n.6, cod. proc. civ., non sono stati riportati
i brani dell’atto di citazione e delle note ex art. 183 cod. proc. civ. su
cui si fonda la tesi del ricorrente della novità della domanda proposta
nelle predette note.
3. Con il secondo motivo, rubricato «Violazione e falsa
applicazione dell’art. 2697 cod. civ. – Violazione dell’art. 115 – 116
cod. proc. civ.», deduce il ricorrente che la Corte di merito avrebbe
posto a fondamento della responsabilità dell’occorso in capo a lui la
comunicazione notizie di reato inviata dall’Azienda Sanitaria Locale n.
2 di Olbia, l’allegato n. 3 della stessa, ossia il verbale n. 38/2005,
nonché un allegato menzionato nell’accertamento degli agenti della
Asl n. 2.
In particolare il Mura sostiene che nella sentenza impugnata si
afferma che dal predetto accertamento si evince che la qualifica di

Ric. 2016 n. 27382 sez. M3 – ud. 20-07-2017
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introduttivo dell’attrice. «la causa petendi esclusivamente invocata»

direttore dei lavori sarebbe stata ricavata dalla copia del piano di
sicurezza e di coordinamento in possesso del committente D&D
Costruzione Generali S.r.l. e che, non essendo la copia di tale piano di
sicurezza agli atti del processo civile, la Corte territoriale avrebbe
basato la sua statuizione «non su una produzione documentale ma su

piano». Inoltre, nella sentenza impugnata è affermato che detta
circostanza non era stata smentita dalla prova testimoniale, mentre il
Mura non aveva indicato chi altri avrebbe ricoperto la carica in parola.
Ad avviso del ricorrente, la Corte di appello, nel suo libero
apprezzamento della prova, avrebbe violato l’art. 2697 cod. civ,
essendo l’attrice tenuta a fornire la prova della qualifica professionale
del Mura; inoltre, la comunicazione dell’Asl n. 2 indirizzata alla
Procura della Repubblica di Tempio Pausania del 19 settembre 2005
introdurrebbe al riguardo elementi tutt’altro che univoci e la Corte
territoriale avrebbe omesso di vagliare le sommarie informazioni
assunte dagli Agenti della Asl n. 2 allegate alla comunicazione di
notizie di reato e in particolare della dichiarazione di Franco Cuguttu.
Sostiene, quindi, il ricorrente che non sarebbe condivisibile la
sentenza impugnata nella parte in cui la Corte di merito avrebbe fatto
discendere la sua responsabilità nel sinistro de quo apoditticamente,
sull’assunto che il Mura rivestisse la qualifica di direttore dei lavori;
asserisce che tale direttore sarebbe chiamato a rispondere solo se
responsabile della sicurezza e se allo stesso sia affidato il compito di
sopraintendere alla esecuzione dei lavori con possibilità di impartire
ordini alle maestranze e ciò sia per convenzione sia quando risulti che
lo stesso si sia in concreto ingerito «nell’organizzazione
professionale» e deduce che la prova di tanto non sarebbe agli atti.
Ad avviso del ricorrente, quindi, la motivazione della sentenza
impugnata sarebbe carente, illogica e contraddittoria «in punto di
prova ai fini: 1) della qualifica di direttore dei lavori; 2) della qualifica
Ric. 2016 n. 27382 sez. M3 – ud. 20-07-2017
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una dichiarazione de relato inerente aia presa visione del predetto

con condotte per le quali il direttore dei lavori assuma profili di
responsabilità; 3) della qualifica di responsabile per la sicurezza».
Inoltre, secondo il Mura, in atti non vi sarebbe «prova della somma
corrisposta da parte attrice nell’asserita transazione non essendo
stata prodotta la quietanza che avrebbe dovuto provare il

3.1. Il motivo è inammissibile.
La denuncia di violazione dell’art. 2697 cod. civ. e degli artt. 115
e 116 cod. proc. civ. non risulta veicolata secondo quanto più volte
indicato da questa Corte circa le modalità di denuncia della violazione
delle predette norme.
Questa Corte ha, infatti, più volte ribadito (v. da ultimo Cass.,
sez. un., 5/08/2016, n. 16598, in motivazione) che la violazione
dell’art. 2697 cod. civ. si configura se il giudice di merito applica la
regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè
attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era
onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate
sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre per dedurre la
violazione del paradigma dell’art. 115 è necessario denunciare che il
giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove
dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la
prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la
violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la
regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o
contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove
non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori
dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione
del mezzo probatorio (fermo restando il dovere di considerare i fatti
non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio, previsti dallo
stesso art. 115 c.p.c.), mentre detta violazione non si può ravvisare
nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte
Ric. 2016 n. 27382 sez. M3 – ud. 20-07-2017
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pagamento» al cui rimborso era stato condannato il Mura.

dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune
piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma
dell’art. 116 cod. proc. civ., che non a caso è rubricato alla
“valutazione delle prove” (v. anche Cass. 5/09/2006, n. 19064; Cass.
17/06/2013, n. 15107; Cass. 10/06/2016, n. 11892).

tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa
applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. non può porsi per
una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice
di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che
quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte
dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia
disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle
prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova,
recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti
invece a valutazione (Cass, ord., 27/12/2016, n. 27000).
È stato, altresì, più volte ribadito da questa Corte che, in tema di
valutazione delle risultanze probatorie, in base al principio del libero
convincimento del giudice, la violazione degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti
del vizio di motivazione di cui all’art. 360, primo comma, n. 5), del
codice di rito, e deve emergere direttamente dalla lettura della
sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in
sede di legittimità (Cass. 30/11/2016, n. 24434; Cass. 20/06/2006,
n. 14267).
Nel caso all’esame, essendo applicabile, ratione temporis, l’art.
360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54
del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla legge n. 134 del
2012, il vizio motivazionale deve essere censurato nei limiti consentiti
dal predetto articolo nella sua nuova formulazione.

Ric. 2016 n. 27382 sez. M3 – ud. 20-07-2017
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E’ stato pure precisato dalla giurisprudenza di legittimità che, in

Alla luce del nuovo testo della richiamata norma del codice di rito,
non è, infatti, più configurabile il vizio di insufficiente e/o
contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma
suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo
per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non

sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del n. 4) del
medesimo art. 360 c.p.c. (Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928; v. pure
Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300) e va, inoltre, esclusa qualunque
rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione
(Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità al principio
affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053
del 7/04/2014, secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art.
360, primo comma, n. 5, c.p.c., deve essere interpretata, alla luce
dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come
riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla
motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia
motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente
rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé,
purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a
prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia
— nella specie all’esame non sussistente — si esaurisce nella
“mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”,
nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed
obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del
semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
Le Sezioni Unite, con la richiamata pronuncia, hanno pure
precisato che l’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., così come
da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico
denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto
Ric. 2016 n. 27382 sez. M3 – ud. 20-07-2017
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potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione

storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della
sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se
esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).
Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt.

ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato
omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti
esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di
discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo
restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per
sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto
storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in
considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato
conto di tutte le risultanze probatorie.
Nella

specie,

con

le

censure

motivazionali

formulate

nell’illustrazione del motivo all’esame, il ricorrente, lungi dal proporre
delle doglianze che rispettano il paradigma legale di cui al novellato
n. 5 dell’art. 360 del codice di rito, ripropone — come peraltro
chiaramente espresso laddove si lamenta a p. 9 del ricorso «carente,
illogica e contraddittoria motivazione» — inammissibilmente lo stesso
schema censorio del n. 5 nella sua precedente formulazione,
inapplicabile ratione temporis.
Si rileva, infine, che con il mezzo all’esame, si tende ad una
rivalutazione del merito non consentita in sede di legittimità.
4. Con il terzo motivo, rubricato «Violazione e falsa applicazione
dell’art. 2056 c.c. e violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5) c.p.c.», il
ricorrente lamenta che non sia stato compiuto alcun accertamento dal
Tribunale e dalla Corte di merito in ordine alla quantificazione del
danno subito dagli eredi del defunto.

Ric. 2016 n. 27382 sez. M3 – ud. 20-07-2017
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366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cp.c., il

4.1. Il motivo all’esame, pur a non volerlo ritenere “un non
motivo” (v. al riguardo Cass. 31/08/2015, n. 17330), è comunque
inammissibile per assoluta genericità.
5. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.
6.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da

non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti della
società intimata, non avendo la stessa svolto attività difensiva in
questa sede.
7.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il

versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1,
comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente
al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del
presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per
compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli
esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge; ai sensi
dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel
testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012,
n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis
dello stesso art. 13.

dispositivo, seguono la soccombenza, tra le parti costituite, mentre

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