Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4241 del 10/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 10/02/2022, (ud. 09/07/2021, dep. 10/02/2022), n.4241

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. SAIEVA Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 26594/2014 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

– ricorrente –

contro

S.A.;

– intimato –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio,

n. 1853/04/14, pronunciata il 6.3.2014 e depositata il 25.3.2014;

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 9 luglio 2021

dal consigliere Dott. Giuseppe Saieva.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza n. 1853/04/14, depositata il 072014, con cui la Commissione tributaria regionale del Lazio ha accolto parzialmente l’appello proposto da S.A. avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale di Rieti, la quale aveva rigettato il ricorso con cui il contribuente aveva impugnato l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate di Rieti che, sulla base delle risultanze di un p.v.c. della Guardia di Finanza di Antrodoco, aveva rilevato che il contribuente, esercente l’attività di coltivazioni agricole associate all’allevamento di animali, produzione carne ed azienda agrituristica, aveva percepito contributi erogati dalla Regione Lazio in relazione ai quali non risultavano realizzazioni di strutture od acquisti di beni strumentali ed aveva considerato i contributi in conto capitale come sopravvenienza attiva da dichiarare nell’esercizio di conseguimento (2004) in mancanza di opzione per la tassazione in cinque anni.

Il ricorso, affidato ad un unico motivo, è stato fissato nell’adunanza camerale del 9 luglio 2021, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c.. Il contribuente è rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

Con un unico motivo l’Agenzia ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, art. 132 c.p.c. e art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), assumendo che la C.T.R. non avrebbe adeguatamente apprezzato l’operato dei verificatori e dell’ufficio, valorizzando le argomentazioni del contribuente, benché prive di qualsiasi supporto documentale.

Il motivo appare meritevole di accoglimento.

Al riguardo va ricordato che il vizio di motivazione ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, (in materia di processo civile ordinario) e del D.Lgs. n. 546 del 1992, omologo art. 36, comma 2, n. 4, (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni sia pervenuto alla propria determinazione, consentendo in tal modo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata. La sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico, o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 07/04/2014; conf. Cass. n. 21257 del 14/08/2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perché dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 9/01/2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse, pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 27/09/2016 e la giurisprudenza ivi richiamata; nonché recentemente sez. 5, n. 17395 del 17/06/2021).

L’Agenzia ricorrente, nel denunciare l’erronea valutazione, da parte dei giudici d’appello, della documentazione prodotta dal contribuente, contesta, in sostanza, la valutazione degli elementi probatori effettuata dalla C.T.R. la quale avrebbe omesso di considerare che gli elementi probatori, utilizzati in sentenza, erano contraddetti da specifici atti processuali (Cass. Sez. 6-5, ord. n. 28174 del 5/11/2018; Cass. Sez. 3, n. 1163 del 21/1/2020; Cass. Sez. 1, ord. n. 3796 del 14/2/2020). Infatti, in simile ipotesi il giudice di legittimità non è chiamato a valutare la prova, ma ad accertare l’esistenza di un dato probatorio non equivoco e insuscettibile di essere interpretato in modi diversi e alternativi. A tale riguardo, questa Corte ha chiarito che “l’informazione probatoria indicata in sentenza e valutata dal giudice mancherebbe del tutto nell’atto, onde il ragionamento svolto dal giudice di merito risulterebbe vanificato ed illogico. Vi sarebbe, perciò, una contraddittorietà tra il dato esistente in atti e quello preso in considerazione dal giudice” (Cass. Sez. 1, n. 10749 del 25/5/2015).

Ciò premesso, va evidenziato come nella specie, la C.T.R. non abbia correttamente valutato l’operato dei verificatori (processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza Brigata di Antrodoco) e dell’Amministrazione finanziaria, privilegiando le argomentazioni del contribuente, benché prive di documentazione probante ex art. 2697 c.c..

In particolare, la C.T.R. ha riportato in motivazione un’errata percezione logico giuridica del valore probatorio che la legge conferisce al registro dei beni ammortizzabili e ad “altra documentazione” nella “quale erano riportati in forma ordinata gli stessi dati al fine di evidenziare il valore storico dei beni, le quote di ammortamento, il residuo da ammortizzare ed eventualmente la parte realizzata con i contributi”, dando erroneamente atto che la Guardia di Finanza aveva rilevato che il contribuente aveva “dedotto (rigo RG 16) quote di ammortamento di Euro 1.896,00 nell’anno 2004, di Euro 4.330,00 nell’anno 2005 e di Euro 4.076,00 nel 2006, senza aver istituito il prescritto registro dei beni ammortizzabili. Alla luce di ciò, non avendo la parte considerato i contributi in conto impianti (…), il contributo riscosso è stato considerato in conto capitale ed in quanto tale recuperato a tassazione come sopravvenienza attiva”.

Invero, la C.T.R., pur distinguendo il sistema di tassazione dei contributi in conto capitale da quelli in conto impianti, ha ritenuto (in assenza di valida documentazione probatoria) che quelli ricevuti dal contribuente fossero in conto impianti e, su tale base, ha annullato il relativo e principale recupero dell’atto impositivo, benché il contribuente non li avesse dichiarati, né come contributi in conto impianti, né in conto capitale, limitandosi semplicemente a far riferimento ad un registro dei beni ammortizzabili mai esibito.

Invero, il contribuente avrebbe dovuto esibire l’apposito registro per dimostrare di aver inserito gli importi in diminuzione dal costo dei beni, ma la mancata istituzione del registro dei beni ammortizzabili (o l’asserito smarrimento) e comunque l’omessa esibizione di altre prove documentali evidenziava l’impossibilità di dimostrare di aver operato una tassazione sul contributo regionale di Euro 49.090,00. Lo stesso, peraltro, non offrendo alcuna controprova, si era limitato ad affermare che “siffatti contributi, non devono essere contabilizzati come sopravvenienze attive” e la CTR, tralasciando di soffermarsi sull’assoluta mancanza di prova a dimostrazione dell’avvenuta tassazione del contributo regionale, si è limitata a dissertare sulle differenze tra contributi in conto esercizio, in conto impianti ed in conto capitale, omettendo completamente di pronunciarsi sulla violazione dell’onere probatorio del contribuente in ordine alla esibizione del registro dei beni ammortizzabili.

La prova della illogicità e della contraddittorietà dell’iter motivazionale seguito dal Collegio, emerge poi dalla affermazione di illegittimità della tassazione della somma di Euro 49.090,00 e dalla conferma, viceversa, del recupero a tassazione della somma di Euro 1.896,00 nella considerazione che il contribuente aveva “indebitamente dedotto costi relativi a quote di ammortamento per le quali non è stato in grado di esibire né il registro dei beni ammortizzabili, né analoga documentazione sulla quale erano riportati in forma ordinata gli stessi dati alfine di evidenziare il valore storico dei beni, le quote di ammortamento, il residuo da ammortizzare ed eventualmente la parte realizzata con i contributi”.

Il ricorso va quindi accolto e la sentenza impugnata cassata con rinvio al giudice a quo, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia gli atti alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 9 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2022

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