Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4240 del 19/02/2020

Cassazione civile sez. III, 19/02/2020, (ud. 03/12/2019, dep. 19/02/2020), n.4240

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12991/2018 proposto da:

SEM SOCIETA’ ESCAVAZIONE MARMI SPA IN LIQUIDAZIONE, in persona del

suo liquidatore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FABIO

MASSIMO, 60, presso lo studio dell’avvocato LETIZIA CAROLI,

rappresentata e difesa dagli avvocati UGO CARASSALE, LUIGI COCCHI;

– ricorrente –

contro

E.R. SPA;

– intimata –

nonchè da:

E.R. SPA, in persona del suo amministratore, elettivamente

domiciliata in ROMA, V.LE MAZZINI 6, presso lo studio dell’avvocato

FABRIZIO DIONISIO, che la rappresenta e difende unitamente agli

avvocati GUIDO MUSSI, ROBERTO PAGLIUCA;

– ricorrente incidentale –

contro

SEN SOCIETA’ ESCAVAZIONE MARMI SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1408/2017 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 08/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/12/2019 dal Consigliere Dott. MARILENA GORGONI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Società Escavazione Marmi – S.E.M. S.P.A. – in liquidazione ricorre per la cassazione della sentenza n. 1408-2017 della Corte d’Appello di Genova, articolando un solo motivo, illustrato con memoria.

Resiste con controricorso E.R. S.P.A. che propone anche ricorso incidentale, fondato su due motivi.

La ricorrente espone in fatto di essere stata convenuta in giudizio il 14 febbraio 2007 dalla società R., concessionaria di un agro marmifero, che lamentava di essere stata danneggiata dallo svolgimento di attività estrattive e lavorative, non autorizzate, svolte in località (OMISSIS), che le avrebbero impedito di usare la concessione ottenuta sull’agro marmifero, rendendo quest’ultimo di fatto inaccessibile, e di essere stata privata di materiale lapideo appartenentele che sarebbe stato asportato illegittimamente dal ravaneto. Con provvedimento d’urgenza il Tribunale ordinava all’odierna ricorrente di cessare immediatamente qualsiasi lavorazione sull’area, inibiva l’accesso e l’asportazione dei detriti di marmo dal ravaneto comune e le intimava di ripristinare lo stato dei luoghi.

Per quanto ancora di interesse, la ricorrente spiegava, a sua volta, nel successivo giudizio di merito, domanda riconvenzionale avente ad oggetto la richiesta di condanna dell’attrice al rimborso della metà delle spese per gli interventi relativi alla viabilità ed all’accesso al bacino marmifero (OMISSIS) e per il valore dei miglioramenti arrecati allo stesso.

Il Tribunale adito revocava il provvedimento d’urgenza, condannava l’odierna ricorrente al risarcimento di Euro 400.000,00, al netto di rivalutazione ed interessi, rigettava la domanda riconvenzionale e poneva a carico della S.E.M. S.p.A. il pagamento delle spese di lite.

La decisione veniva impugnata in via principale dalla S.E.M. che insisteva affinchè fosse accertato che il soggetto legittimato a dolersi dei danni lamentati era la società MAP, cui la società R. aveva affittato l’agro marmifero, negando che vi fosse la prova dei danni lamentati dalla società R., insistendo affinchè fosse dichiarata nulla o non utilizzabile la C.T.U. espletata da M..

In va incidentale, la società R. insisteva per ottenere il risarcimento dei danni derivanti dall’illegittima asportazione del materiale lapideo dal ravaneto comune, dall’impossibilità di utilizzare per 10 anni, anzichè per uno solo, l’agro marmifero denominato (OMISSIS) e lamentava l’ingiustificato arricchimento conseguito dalla S.E.M. S.P.A.

La Corte d’Appello di Genova, con la sentenza n. 1408/2017, rigettava integralmente la domanda risarcitoria della società E.R. riguardante il lucro cessante che il giudice di prime cure aveva liquidato in Euro 400.000,00, condannava la società S.E.M. a corrispondere alla società R., a titolo di danno emergente, Euro 160.000,00, respingeva nel resto l’appello principale e quello incidentale, compensava le spese di lite.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 2043,2727,2729 e 2697 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La tesi è che la Corte erroneamente abbia presunto che i detriti asportati dal ravaneto fossero di proprietà comune e che la S.E.M. asportandoli avesse intaccato anche una quota ideale del 50% appartenente alla società R.. Dato che la società R. lamentava di essere stata danneggiata per l’intervenuta sottrazione del marmo avrebbe dovuto dimostrare che il bene effettivamente esisteva e che era di sua proprietà. Nonostante la mancata prova degli elementi costitutivi della domanda la Corte d’Appello avrebbe, violando i principi di distribuzione dell’onere della prova, applicato una doppia presunzione, non grave, non precisa e non concordante, ritenendo che tutto il materiale lapideo fosse di proprietà comune e per parti eguali e che l’attività di asportazione avesse intaccato anche la quota di comproprietà della società R..

Il motivo è inammissibile.

Sia pure veicolando la censura mediante la categoria logica dell’error in iudicando, risulta evidente che la società ricorrente pretende un diverso accertamento di fatti che sono stati oggetto di esame da parte del giudice di merito: pretesa che è in contrasto con i caratteri morfologici e funzionali propri del giudizio per cassazione e che, ove accolta, trasformerebbe quest’ultimo in un ulteriore grado di merito.

Va rilevato, infatti, che la Corte d’Appello con una motivazione, suffragata dai necessari riferimenti di fatto e di diritto, ha ritenuto che il materiale lapideo depositato nel ravaneto era lì accumulato da decenni di attività estrattiva e manutentiva dell’agro marmifero e delle piste di arroccamento svolta dalle due società concessionarie; ha ritenuto, anche avvalendosi della CTU A., che fosse incontroverso che il ravaneto avesse l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè che era collegato, strumentalmente, materialmente e funzionalmente con gli agri marmiferi in concessione esclusiva della società S.E.M. e della società R., in rapporto con questi da accessorio a principale, e sarebbe spettato a chi ne affermava la proprietà esclusiva darne la prova: prova che era mancata, non essendovi nel ravaneto nè ripartizioni perimetrali nè segni divisori, tantomeno risultando che, dopo il 1999, cioè dopo la cessazione dell’attività estrattiva da parte della MAP S.r.L., il ravaneto fosse stato svuotato oppure che contenesse solo detriti provenienti da materiale rinveniente dalla lavorazione della società IN. MAR, cui era succeduta nel 2001 la S.E.M..

Correttamente il giudice a quo aveva ritenuto che non poteva che valere il principio della proprietà in comune del ravaneto e che il danneggiato dall’asportazione ad opera di uno solo dei due concessionari di materiale lapideo non poteva che essere l’altro concessionario comproprietario al 50%. E’ da ritenere che la Corte abbia fatto coerente applicazione dei principi in tema di comunione dei diritti, ritenendo che il ravaneto avesse l’attitudine funzionale al servizio o al godimento dell’attività svolta da entrambe le società concessionarie, che esso fosse stato incrementato nel tempo con materiali provenienti da entrambi gli agri marmiferi, in assenza di prova, che sarebbe spettato dare a chi ne affermava la proprietà esclusiva, cioè alla odierna ricorrente, che esso invece fosse stato incrementato con materiale proveniente da un solo agro marmifero, il proprio, o con quantità di materiali lapidei provenienti in misura prevalente dallo svolgimento della propria proprietà estrattiva.

Ricorso incidentale.

2. Con il primo motivo la ricorrente incidentale deduce l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte d’Appello non avrebbe tenuto conto del fatto che non c’era alcuna prova che il contratto di affitto con cui aveva concesso in affitto alla MAP S.R.L. l’agro marmifero non era stato rinnovato e non era soggetto a proroga automatica ed avrebbe invece dato per scontato che il contratto d’affitto fosse ancora in corso di svolgimento. Tale circostanza trascurata sarebbe da ritenere essenziale perchè la S.E.M. aveva sempre addotto di non aver potuto utilizzare l’agro marmifero denominato (OMISSIS) per almeno dieci anni e non per uno.

3. Con il secondo motivo la ricorrente incidentale deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 959 c.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La tesi è che, essendo la società R. titolare di un diritto paragonabile all’enfiteusi, le competevano tutti i diritti e le azioni spettanti al titolare di un diritto reale a tutela dell’agro marmifero e che era legittimata ad agire contro la S.E.M. che aveva posto in essere un’attività dannosa, occupando il piazzale di cava e rendendolo inaccessibile in conseguenza delle modifiche apportate alla viabilità, dopo che il contratto di affitto con la MAP era cessato con la scadenza del piano di coltivazione nel 1999. La Corte d’Appello, escludendo che avesse diritto ad ottenere il risarcimento del danno per l’illegittima occupazione dell’agro marmifero, avrebbe pertanto erroneamente statuito.

4. I due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente perchè si fondano entrambi su un comune presupposto e cioè sul fatto che il contratto di affitto con la MAP s.r.l. fosse cessato, dopo la scadenza del piano di coltivazione, sono inammissibili.

Non colgono, infatti, la ratio decidendi della sentenza gravata, la quale ha negato il risarcimento del danno perchè, sulla scorta della L.R. Toscana n. 78 del 1998, chiunque intenda procedere alla coltivazione di materiali di cava e o torbiera, su terreni di cui abbia la disponibilità, deve chiederne l’autorizzazione al Comune territorialmente competente, ed era risultato, senza alcuna censura da parte della odierna resistente, che non era stato presentato un progetto di coltivazione all’Autorità comunale da parte della società R. nè da parte della società Map da quando, nella prima metà del 2002, la S.E.M. aveva iniziato ad operare nell’agro marmifero vicino. In altri termini, nè la società R. nè la società Map avevano ottenuto l’autorizzazione a svolgere attività estrattive. Infatti, l’ultimo piano estrattivo risaliva al 3 luglio 1990, era stato presentato dalla società Map ed aveva la durata di cinque anni; successivamente era stato autorizzato un programma di lavori di manutenzione ordinaria con scadenza 31 dicembre 2001, finalizzato ad un eventuale progetto di coltivazione; il piano presentato dalla società Map, con istanza del 28 ottobre 2000, per lo svolgimento di attività estrattiva era stato sospeso con atto del 30 ottobre 2000. E non era risultato che il fallimento dell’istanza presentata dalla società Map nel marzo 2002 al Comune di Massa per l’autorizzazione all’asportazione dei detriti marmorei fosse dipeso dalle condotte della S.E.M., essendo, invece, imputabile a determinazioni di carattere amministrativo.

Solo ad abundantiam la Corte d’Appello aveva ritenuto che quand’anche fosse risultato che il progetto presentato dalla MAP non era stato autorizzato per condotte ascrivibili alla S.E.M. a dolersene avrebbe potuto essere la Map, affittuaria, e non la società R. che non aveva esercitato e non avrebbe in futuro esercitato attività estrattiva.

Tutta l’argomentazione difensiva della società ricorrente è volta a confutare questa parte della statuizione, ma non contiene alcuna censura relativamente all’altra ratio decidendi – in grado di reggere la motivazione della sentenza – che ha negato il risarcimento del danno in ragione del fatto che la società R. non era stata autorizzata, successivamente allo svolgimento di attività estrattiva da parte della S.E.M., a svolgere a sua volta attività estrattiva.

5. Ne consegue che il ricorso principale e quello incidentale devono essere dichiarati inammissibili.

6. Si dispone la compensazione delle spese del giudizio di legittimità tra la ricorrente principale e quella incidentale.

7. Si dà atto della sussistenza, nei confronti di entrambi le società ricorrenti, dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale e quello incidentale. Compensa le spese tra la società ricorrente principale e quella incidentale. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di entrambe le parti ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2020

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