Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4240 del 17/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 17/02/2021, (ud. 24/11/2020, dep. 17/02/2021), n.4240

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. RUSSO Rita – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7502-2019 proposto da:

G.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIUSEPPE

GIOACCHINO BELLI 96, presso lo studio dell’avvocato PAOLO MEREU, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ENRICO ALLEGRO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3447/2/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della LOMBARDIA, depositata il 24/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 24/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. COSMO

CROLLA.

 

Fatto

CONSIDERATO IN FATTO

1. G.P. proponeva ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Milano avverso l’atto di recupero con il quale l’Ufficio irrogava sanzioni crediti Iva inesistenti utilizzati dalla società, della quale il G. era socio, legale rappresentante, sino al 19/10/2009, e amministratore di fatto per il periodo successivo, per compensare oneri contributivi ed erariali per gli anni di imposta 2009 e 2010.

2.La CTP rigettava il ricorso.

3.Proponeva appello il contribuente e la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia rigettava il gravame rilevando il pieno il consapevole coinvolgimento, non smentito dall’interessato e provato dagli accertamenti, eseguiti nel procedimento penale, del G. sia in qualità di amministratore di diritto sia in quelle di amministratore di fatto, nelle operazioni fraudolente in danno di Inps ed Erario.

4.Avverso la sentenza della CTR ha proposto ricorso per Cassazione la parte privata affidandosi a due motivi. L’Agenzia delle Entrate si è costituita depositando controricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

1.Con il primo motivo di impugnazione denuncia il ricorrente violazione e falsa applicazione dell’art. 2639 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per aver la CTR ritenuto erroneamente dimostrata la qualifica del G. come amministratore di fatto.

1.1. Con il secondo motivo si deduce mancanza, insufficienza o incoerenza della motivazione in ordine alla legittimazione passiva del ricorrente e la omessa integrazione del contraddittorio.

2.Il primo motivo è infondato.

2.1 La controversia portata allo scrutinio di questo Collegio ha ad oggetto l’impugnazione di un avviso di recupero con cui l’amministrazione finanziaria, sulla scorta delle risultanze di un p.v.c. redatto dalla G.d.F. a carico della società Edil Group srl, risultata emittente di fatture per operazioni inesistenti, irrogava sanzioni al G. nella veste amministratore di diritto e di fatto della predetta società.

2.2 Sul punto va rilevato come secondo la giurisprudenza il principio secondo il quale “Le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, D.L. n. 269 del 2003, ex art. 7 (conv. con modif. in L. n. 326 del 2003), sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, non potendosi fondare un eventuale concorso di quest’ultimo nella violazione fiscale sul disposto di cui al D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 9, che non può costituire deroga al predetto art. 7, ad esso successivo, che invece prevede l’applicabilità delle disposizioni del D.Lgs. n. 472, ma solo in quanto compatibili” (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 25284 del 25/10/2017) non può ritenersi operante anche nell’ipotesi di società artificiosamente costituita” (cfr. Cass. 10975/2019). Si è infatti precisato che “il menzionato art. 7 intende regolamentare le ipotesi in cui vi sia una differenza tra trasgressore e contribuente, e, in particolare, l’ipotesi di un amministratore di una persona giuridica che, in forza del proprio mandato, compie violazioni nell’interesse della persona giuridica medesima”, ma non nel caso in cui la persona fisica sia “esclusivo beneficiario delle violazioni contestate”, nel qual caso “non sussiste detta differenza, atteso che quest’ultimo è, al tempo stesso, trasgressore e contribuente, e la persona giuridica è una mera fictio, creata nell’esclusivo interesse della persona fisica” (Cass. n. 19716 del 2013, in motivazione; conf. Cass. n. 5924 del 2017, in motivazione).

2.3 I giudici di secondo grado si sono uniformati a tale insegnamento in quanto, con accertamento in fatto non oggetto di specifica censura motivazionale, non deducibile stante la presenza di doppia conforme, hanno affermato che la società è stata costituita come semplice copertura di talchè i benefici fiscali scaturiti dall’evasione sono stati conseguiti esclusivamente dagli amministratori di fatto che quindi rispondono anche delle sanzioni.

2.4 Contrariamente a quanto sostiene il ricorrente nel ricorso, la CTR ha dato conto degli elementi – costituiti dalle risultanze delle indagini effettuate dalla Guardia di Finanza non contestati in maniera specifica dal contribuente – che, si legge in motivazione, “confortano l’attribuzione della qualifica di amministratore di fatto anche per il periodo successivo alla cessazione della carica formale da parte del G. e che consistono nel coinvolgimento dell’appellante in un’associazione a delinquere finalizzata, tramite questa e altre società schermo, alla truffa aggravata ai danni dell’Inps e dell’Erario”.

3-Il secondo motivo è anch’esso infondato.

3.1 E’ ormai noto come (e Sezioni Unite (sentenza n. 8053 del 2014) abbiano fornito una chiave di lettura della riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito in L. 7 agosto 2012, n. 134, nel senso di una riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, con conseguente denunciabilità in cassazione della sola “anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienzà della motivazione”.

3.1 Nella fattispecie la motivazione della sentenza non è connotata da tali deficienze avendo la CTR dato sufficiente contezza delle ragioni poste a base della sua decisione in punto di riconoscimento della qualifica di amministratore di fatto del ricorrente e con riferimento alla questione della responsabilità dell’amministratore nelle ipotesi di società fittiziamente costituita.

3.2 Va infine confermata anche la ratio decidendi cha ha escluso l’applicabilità della disciplina, invocata dal ricorrente del litisconsorzio necessario.

3.3 La giurisprudenza di questa Corte ha infatti affermato che “nelle ipotesi di società di capitali non sussiste il meccanismo – analogo a quello previsto dal combinato disposto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 40, comma 2, e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 5 – della automatica imputazione dei redditi delle società di persone ai soci in proporzione alla partecipazione agli utili” che, come chiarito dalla sentenza di questa Corte a SU n. 14815/08, costituisce il presupposto del litisconsorzio necessario originario tra la società e tutti i soci, salva l’ipotesi – non ravvisabile nel caso in esame – in cui i soci abbiano optato per il regime di trasparenza fiscale ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 116, con conseguente automatica imputazione dei redditi sociali a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi (Cass. 24472/201520507/2017).

4. Conclusivamente il ricorso va rigettato.

5. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che si liquidano in Euro 10.100 per compensi oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 24 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2021

 

 

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