Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4240 del 17/02/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 17/02/2017, (ud. 09/01/2017, dep.17/02/2017),  n. 4240

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 15917 del ruolo generale dell’anno

2013 proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla Via dei Portoghesi, n. 12, si

domicilia;

– ricorrente –

contro

s.a.s. MIVAR di C.V., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentato e difeso, giusta procura speciale a margine

del controricorso, dagli avvocati Raffaello Lupi e Claudio Lucisano,

elettivamente domiciliatosi presso lo studio del secondo in Roma,

alla via Crescenzio, n. 91;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, sezione 49, depositata in data 25 maggio

2012, n. 63/49/12;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 9

gennaio 2017 dal Consigliere Dott. Angelina Maria Perrino;

uditi per la contribuente gli avvocati Raffaello Lupi e Claudio

Lucisano;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per l’accoglimento

per quanto di ragione.

Fatto

L’Agenzia delle Entrate ha recuperato maggiore materia imponibile ai fini Iva, irrogando sanzioni ed interessi, giacchè, per quanto ancora d’interesse, ha ritenuto indetraibile l’Iva concernente sconti, promozioni ed abbuoni concessi dalla contribuente ai propri rivenditori.

La società ha impugnato l’avviso, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale; quella regionale ha accolto l’appello dell’Ufficio, ma è stata cassata con rinvio da questa Corte, con ord. n. 4953/11. In esito al giudizio di rinvio, la Commissione tributaria regionale ha respinto l’appello dell’Amministrazione, sostenendo che le operazioni risultanti da fatture/note di credito relative a sconti e ad iniziative promozionali di vario genere debbano essere qualificate come operazioni commerciali e non già come cessioni di danaro.

Avverso questa sentenza propone ricorso l’Agenzia per ottenerne la cassazione, che affida a tre motivi, cui la società reagisce con controricorso.

Diritto

1.- Col primo motivo di ricorso l’Agenzia si duole, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, della nullità della sentenza impugnata, sia sotto il profilo della violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 132 disp. att. c.p.c. e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., in ragione della natura apparente della motivazione, sia sotto quello della violazione degli artt. 383 e 384 c.p.c., per l’inosservanza delle statuizioni dettate da questa Corte.

2.- Conviene osservare che, con l’ordinanza n. 4953/11, questa Corte, nel cassare la sentenza impugnata, ha stigmatizzato che il giudice d’appello era partito “da una premessa non contestata” per desumerne “delle affermazioni apodittiche e non comprensibili dal punto di vista logico”, ed ha aggiunto che carente era la motivazione “quanto alla ricognizione di inapplicabilità del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26 e alla riferibilità di tale contestazione”. Ciò in quanto mancava idonea motivazione in ordine alla detraibilità dell’Iva, che secondo l’Agenzia andava esclusa perchè, sul piano sostanziale, relativa a sconti che, essendo privi di fondamento contrattuale, andavano equiparati a cessioni di danaro che non generavano obbligo di versamento dell’Iva e, sul piano formale, non trovava rispondenza negli adempimenti e nei tempi prescritti dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26.

2.1.- In altre occasioni, difatti, questa Corte ha stabilito, in relazione agli sconti, che, al fine di poter predicare la detrazione dell’Iva, è necessario, come duplice condizione, sul piano sostanziale, che a) sia venga praticato al cessionario o committente, dal cedente o dal prestatore, uno sconto sul prezzo della vendita effettuato; b) la riduzione del corrispettivo al cliente sia il frutto di un accordo, il quale può essere documentale, o verbale, e persino successivo, purchè del medesimo sia fornita la prova, da parte dei soggetti interessati, mediante la trasfusione del patto stesso in note di accredito, emesse da una parte a favore dell’altra, con l’allegazione della causale che, volta per volta, abbia giustificato gli sconti medesimi (tra varie, Cass. n. 26513/11 e n. 23782/15). Sotto quello formale, inoltre, si è rimarcato (tra varie, Cass. n. 11396/15), per accedere al regime della variazione in diminuzione è necessario effettuare, nei tempi previsti, la registrazione della variazione e della relativa causa, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 23, 24 e 25, ed è onere del contribuente dimostrare la corrispondenza delle operazioni mediante l’indicazione di quei dati che risultino idonei a collegarle, attraverso la dimostrazione dell’identità tra l’oggetto della fattura e delle registrazioni originarie e l’oggetto della registrazione della variazione, sì da palesare inequivocabilmente la corrispondenza tra i due atti contabili (in linea, Cass. n. 10939/15).

3.- Nel caso in esame, manca del tutto l’evidenziazione dei “…motivi per i quali andava invece confermata la sentenza emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Milano”, soltanto affermata, ma non motivata.

Il giudice del rinvio avrebbe dovuto riesaminare ex novo la fattispecie sul piano sostanziale e dare conto delle ragioni d’inapplicabilità del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26. Di contro, la Commissione tributaria regionale si è limitata a richiamare l’ordinanza in questione e ad affermare in maniera apodittica l’incomprensibilità della qualificazione delle operazioni come cessioni di danaro, senza spiegare in alcun modo perchè esse dovessero, invece, essere qualificate come sconti inerenti ad ordinarie operazioni commerciali.

4.- La censura va in conseguenza accolta, determinando l’assorbimento del secondo motivo di ricorso, che concerne il vizio di motivazione, nonchè del terzo motivo, che riguarda la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 2, 3 e 26, nonchè dell’art. 2697 c.c..

5.- La sentenza va in conseguenza cassata, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione, affinchè riesamini la vicenda, qualificando le operazioni in questione e dando debitamente conto delle scelte compiute, anche in relazione all’applicabilità del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, provvedendo altresì a regolare le spese.

PQM

la Corte:

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Lombardia in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 9 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2017

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