Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4239 del 21/02/2011

Cassazione civile sez. III, 21/02/2011, (ud. 13/01/2011, dep. 21/02/2011), n.4239

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 27606/2009 proposto da:

C.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato

in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 88, presso lo studio dell’avvocato

CICIARELLI Marcello, che lo rappresenta e difende, giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

CONDOMINIO (OMISSIS) in persona dell’amministratore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL BANCO DI S.

SPIRITO 48, presso lo studio dell’avvocato BARDANZELLU Giovanni, che

lo rappresenta e difende, giusta procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 25037/2008 del TRIBUNALE di ROMA del 7.12.08,

depositata il 17/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito per il ricorrente l’Avvocato Marcello Ciciarelli che si riporta

ai motivi del ricorso;

udito per il controricorrente l’Avvocato Giovanni Bardanzellu che si

riporta ai motivi del controricorso.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PIERFELICE

PRATIS che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

quanto segue:

p. 1. C.A. ha proposto ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, contro il Condominio di (OMISSIS) avverso la sentenza del 17 dicembre 2008, con la quale il Tribunale di Roma, provvedendo sull’opposizione all’esecuzione forzata per pignoramento presso terzi iniziata da esso ricorrente contro il detto condominio, ha dichiarato inesistente il diritto di procedere all’esecuzione forzata dello stesso ricorrente, con gravame delle spese di lite in suo danno.

Il Condominio intimato ha resistito al ricorso con controricorso.

p. 2. Essendo il ricorso soggetto alle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 e prestandosi ad essere trattato con il procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c., nel testo anteriore alla L. n. 69 del 2009, è stata redatta relazione ai sensi di detta norma, che è stata notificata agli avvocati delle parti e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

quanto segue:

p. 1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., si sono svolte le seguenti considerazioni:

“(…) 3. – Il ricorso appare inammissibile perchè proposto senza il rispetto del requisito di ammissibilità di cui all’art. 366 bis c.p.c. (applicabile al ricorso nonostante l’abrogazione: L. n. 69 del 2009, art. 58, comma 5) e, quanto al primo motivo, di quello dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Sotto il primo aspetto si osserva che il primo dei due motivi con cui è articolato il ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 113 e 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ed omessa o quantomeno insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5, in tema di efficacia estintiva dell’offerta reale ex art. 1209 c.c., mentre il secondo violazione e falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, quanto agli artt. 1175, 1183 e 1184 c.c. ed omessa o quantomeno insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5, in tema di estinzione dell’obbligazione ex art. 1175 e 1176 c.c..

Entrambi i motivi sembrano enunciare soltanto la violazione di norme di diritto, poichè l’allusione anche ad un vizio di motivazione è contraddetta dal relazionarsi del vizio motivazionale nel primo caso all’art. 1209 c.c., e nel secondo a due norme, il che suggerisce che, in realtà, nei motivi non si illustrino vizi inerenti la quaestio facti, ma al più vizi di violazione delle norme evocate sotto il profilo della c.d. sussunzione erronea della fattispecie concreta sotto determinate norme (in termini Cass. n. 22348 del 2007).

Entrambi i motivi, ricondotti esclusivamente all’art. 360 c.p.c., n. 3, non si concludono con la formulazione del prescritto quesito di diritto.

Il ricorso, in effetti, dopo la chiusura dell’esposizione del secondo motivo, contiene la formulazione di due (asseriti) quesiti di diritto, premettendovi la generica enunciazione in ossequio quindi al disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c., si formulano i seguenti quesiti di diritto e, quindi, facendone precedere l’enunciazione dall’indicazione n. 1) e n. 2.

Senonchè, nè l’uno nè l’altro sono raccordati espressamente al primo o al secondo motivo, sicchè dovrebbe essere la Corte a procedere a tale raccordo, il che, trattandosi di onere che dev’esser assolto dal ricorrente non Le compete.

Ove poi – lo si osserva per mera completezza – si potesse pensare che il raccordo si dovrebbe ravvisare nella indicazione 1) e 2), considerate come di rinvio al 1^ motivo ed al 2^ motivo, la relativa operazione incontrerebbe decisivo ostacolo nella circostanza che nel tenore dei quesiti non v’è omologia fra le norme che in ognuno si indicano e quelle della intestazione di ciascuno dei due motivi, il che renderebbe più che dubbia la riferibilità dei quesiti nel senso ipotizzato.

Viene, dunque, in evidenza il principio di diritto secondo cui la previsione di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., là dove esige che l’esposizione del motivo si debba concludere con il quesito di diritto, non significa che il quesito debba topograficamente essere inserito alla fine della esposizione di ciascun motivo, essendo consentita la elencazione finale o conclusiva di tutti i quesiti, purchè, in tal caso, ciascuno di essi sia espressamente riferito al motivo, con richiamo numerico od alla rubrica delle violazioni addotte, oppure il collegamento al motivo sia inequivocabilmente evidenziato dalla esistenza di un rapporto di pertinenza esclusiva, in modo tale che esso sia agevolmente individuabile, senza necessità di una particolare analisi critica (Cass. (ord.) n. 5073 del 2008).

Se pure si superasse l’ostacolo appena indicato, entrambi i quesiti si presenterebbero inidonei ad assolvere alla funzione e, quindi, allo scopo del quesito di diritto, perchè del tutto astratti e carenti del requisito della c.d. conclusività.

L’art. 366 bis c.p.c., infatti, quando esigeva che il quesito di diritto dovesse concludere il motivo imponeva che la sua formulazione non si presentasse come la prospettazione di un interrogativo giuridico del tutto sganciato dalla vicenda oggetto del procedimento, bensì evidenziasse la sua pertinenza ad essa. Invero, se il quesito doveva concludere l’illustrazione del motivo ed il motivo si risolve in una critica alla decisione impugnata e, quindi, al modo in cui la vicenda dedotta in giudizio è stata decisa sul punto oggetto dell’impugnazione, appariva evidente che il quesito, per concludere l’illustrazione del motivo, dovesse necessariamente contenere un riferimento riassuntivo ad esso e, quindi, al suo oggetto, cioè al punto della decisione impugnata da cui il motivo dissentiva, sì che risultasse evidenziato – ancorchè succintamente – perchè l’interrogativo astratto era giustificato in relazione alla controversia per come decisa dalla sentenza impugnata. Un quesito che non avesse presentato questo contenuto doveva reputarsi un non- quesito (si veda, in termini, fra le tante, Cass. sez. un. n. 26020 del 2008; nonchè n. 6420 del 2008).

Entrambi i quesiti non rispondono a quanto appena descritto.

Si osserva ancora – sempre per assurdo – che, qualora i motivi si intendessero come effettivamente propositivi anche di un vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, che parimenti l’art. 366 bis, non risulterebbe osservato dalla proposizione in chiusura del ricorso (pagine undici in fine e dodici all’inizio) di una formulazione individuatrice del vizio di motivazione. Ciò sempre per il problema di raccordo, che nella specie si aggrava atteso che la proposizione non è neppure numerata.

Il primo motivo, come s’è preannunciato appare inammissibile anche per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, poichè si fa riferimento a dichiarazioni del ricorrente (pagina 6) e ad un fax senza riprodurne il contenuto”.

p. 2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle quali nulla è necessario aggiungere.

Il ricorso è, dunque, dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro mille, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2011

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