Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4238 del 21/02/2011

Cassazione civile sez. III, 21/02/2011, (ud. 13/01/2011, dep. 21/02/2011), n.4238

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 20255/2009 proposto da:

C.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA PESCAGLIA 71 – scala A – interno 14, presso lo studio

dell’avvocato FABRIZIO FERRARA, rappresentato e difeso dall’avvocato

VENTURA Giacomo, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

SARA ASSICURAZIONI SPA (OMISSIS) in persona del suo legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MARTIRI DI

BELFIORE 2, presso lo studio dell’avvocato ALESSI GAETANO,

rappresentato e difeso dall’avvocato CAMPIONE Antonio, giusta procura

speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

B.F., M.G., MILANO SPA – DIVISIONE NUOVA MAA

SPA, B.E., MA.GI.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 216/2008 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA del 16.7.08, depositata il 13/10/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

13/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. PIERFELICE

PRATIS.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

quanto segue:

p. 1. C.R. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza del 13 ottobre 2008, con la quale la Corte d’Appello di Caltanissetta ha rigettato l’appello da lui proposto avverso la sentenza resa dal Tribunale di Gela nella controversia da lui introdotta contro M.G., Ma.Gi. e la Nuova MAA Assicurazioni s.p.a., nonchè contro B.F., B.E. e la Sara Assicurazioni s.p.a., per ottenere il risarcimento dei danni per le lesioni personali subite in conseguenza di un sinistro stradale verificatosi nel (OMISSIS), allorchè il C., trasportato sul ciclomotore di proprietà di M. G. e condotto da Ma.Gi. ed assicurato per la r.c.a presso la MAA, era venuto a collisione con altro ciclomotore condotto da B.E., di proprietà di B.F. ed assicurato presso la Sara.

Ha resistito al ricorso soltanto la Sara.

2. Essendo il ricorso soggetto alle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 e prestandosi ad essere trattato con il procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c. nel testo anteriore alla L. n. 69 del 2009, è stata redatta relazione ai sensi di detta norma, che è stata notificata agli avvocati delle parti costituite e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

quanto segue:

p. 1. Nella relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., si sono svolte le seguenti considerazioni, che si riproducono letteralmente, con la sola aggiunta dell’indicazione in carattere neretto del numero di una sentenza delle Sezioni Unite, che era stato omesso:

“(…) 3. – Il ricorso appare manifestamente fondato quanto al primo motivo.

Con esso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2947 c.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Nel motivo si precisa anzitutto che la sentenza di primo grado aveva riconosciuto la concorrente responsabilità delle due conducenti dei ciclomotori e la corresponsabilità dello stesso C. nella misura del 25% e condannato le due conducenti ed i proprietari al pagamento di una somma a titolo risarcitorio tenendo conto della detta corresponsabilità, mentre aveva dichiarato prescritta la pretesa risarcitoria nei confronti delle due società assicuratrici ai sensi dell’art. 2947 c.c., comma 2, le quali – a differenza degli altri convenuti, rimasti contumaci – l’avevano eccepita. Si rileva, quindi, che la Corte d’Appello, sull’appello del C. sulla declaratoria della prescrizione, ha disatteso l’impugnazione che tendeva a sostenere che erroneamente il primo giudice aveva negato che il corso di quella prescrizione ai sensi di quella norma fosse stato interrotto nei confronti delle due società. La Corte territoriale avrebbe, però, trascurato di considerare che, avendo il fatto illecito natura di reato di lesioni colpose a carico delle due conducenti – come aveva accertato e dichiarato il Giudice di primo grado con statuizione che nessuno aveva impugnato e, quindi, coperta da cosa giudicata interna – la prescrizione applicabile non era quella dell’art. 2947 c.c., comma 2, ma quella del comma 3 della stessa norma, la quale, in riferimento alla prescrizione penale del reato – la cui applicazione non era ostacolata dalla circostanza che per mancanza di querela non avesse avuto corso il procedimento penale e l’accertamento del reato da parte del giudice penale, essendo sufficiente l’accertamento incidentale del giudice civile, giusta il principio espresso da Cass. sez. un. n. 27337 del 2008 – comportava che la prescrizione fosse quinquennale e non fosse decorsa al momento della citazione introduttiva del giudizio, che era stata formulata due anni e nove mesi dopo la verificazione del sinistro.

3.1. – L’assicurazione resistente, di fronte a tale motivo, ha eccepito una prima ragione di inammissibilità, che è priva di fondamento.

Sostiene, infatti, che l’invocazione in questa sede della applicabilità nel caso di specie della prescrizione di cui all’art. 2947 c.c., comma 3, rappresenterebbe una controeccezione nuova che il ricorrente avrebbe dovuto prospettare fin dal giudizio di primo grado nei termini per la determinazione del thema decidendum ai sensi dell’art. 183 c.p.c.. Si tratterebbe, dunque, di una questione che a maggior ragione non potrebbe introdursi in sede di legittimità, donde l’inammissibilità del motivo.

L’assunto non appare fondato.

La deduzione che la prescrizione applicabile sarebbe stata quella di cui all’art. 2947 c.c., comma 3, e non quella del secondo comma di tale norma integra certamente una controeccezione avverso l’eccezione di prescrizione ai sensi dell’art. 2947 c.c., comma 2, ma, in tanto non è controeccezione la cui rilevazione è riservata al monopolio della parte che si sia vista eccepire una prescrizione prevista da una certa norma e sostenga che il regime prescrizionale applicabile è diverso, posto che l’ordinamento prevede che costituisca eccezione di parte solo l’eccezione di prescrizione (Cass. sez. un. n. 15661 del 2005, che ha affermato che l’interruzione della prescrizione è rilevabile d’ufficio). D’altro canto, che si tratti di controeccezione rilevabile anche d’ufficio è conforme alla giurisprudenza della Corte, la quale è ferma nel ritenere valido il principio per cui, proposta un’eccezione di prescrizione estintiva, l’individuazione del termine applicabile nella specie in ture è attività che può essere compiuta anche dal giudice d’ufficio.

Si veda, al riguardo Cass. sez. un. n. 10955 del 2002, che ha così statuito: In tema di prescrizione estintiva, elemento costitutivo della relativa eccezione è l’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio, mentre la determinazione della durata di questa, necessaria per il verificarsi dell’effetto estintivo, si configura come una quaestio iuris concernente l’identificazione del diritto stesso e del regime prescrizionale per esso previsto dalla legge. Ne consegue che la riserva alla parte del potere di sollevare l’eccezione implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare il menzionato elemento costitutivo e di manifestare la volontà di profittare di quell’effetto, non anche di indicare direttamente o indirettamente (cioè attraverso specifica menzione della durata dell’inerzia) le norme applicabili al caso di specie, l’identificazione delle quali spetta al potere – dovere del giudice, di guisa che, da un lato, non incorre nelle preclusioni di cui agli artt. 416 e 437 cod. proc. civ., la parte che, proposta originariamente un’eccezione di prescrizione quinquennale, invochi nel successivo corso del giudizio la prescrizione ordinaria decennale, o viceversa; e, dall’altro lato, il riferimento della parte ad uno di tali termini non priva il giudice del potere officioso di applicazione (previa attivazione del contraddittorio sulla relativa questione) di una norma di previsione di un termine diverso”.

Assodato che la deduzione che il termine di prescrizione applicabile è diverso da quello invocato dall’eccipiente integra lo svolgimento di un’attività di rilevazione di una controeccezione non riservata alla parte, ma rilevabile anche d’ufficio, nella specie l’evocazione dell’art. 183 c.p.c., e del regime delle preclusioni al thema decidendum ad essa correlato (che coincide con l’esaurimento della fase di trattazione scritta), con le conseguenti implicazioni ai fini dell’ambito del giudizio di appello e di quello di cassazione, apparirebbe pertinente soltanto se nella specie si fosse in presenza di una controeccezione di diverso regime della prescrizione la cui rilevazione si è concretata anche – prima che nella rilevazione delle sue conseguenze giuridiche – nell’allegazione di circostanze di fatto nuove non introdotte in precedenza ritualmente nel giudizio.

Nella specie, invece, la rilevazione della controeccezione avvenuta in questa sede di ricorso di legittimità non si è concretata nella previa introduzione di circostanze di fatto nuove, bensì solo nell’indicazione di conseguenze giuridiche di circostanze di fatto già accertate (verificazione del sinistro, delle conseguenze sulla persona del ricorrente e della connotazione di colpevolezza delle condotte dei conducenti) presenti in giudizio ed anzi qualificate in iure dalla sentenza di primo grado in modo irretrattabile, cioè nel senso dell’essere stato l’illecito anche un illecito penale di lesioni personali colpose.

Ne discende che l’attività di deduzione della controeccezione rilevabile d’ufficio si è articolata esclusivamente nella rilevazione di conseguenze giuridiche dei fatti legittimamente acquisiti nelle fasi di merito e, quindi, in una mera attività di argomentazione in iure. Tale attività, che costituisce l’essenza dell’attività di c.d. rilevazione dell’eccezione rilevabile anche d’ufficio (c.d. eccezione in senso lato) è un’attività che sfugge alle preclusioni del thema decidendum disciplinate nell’art. 183 c.p.c.. Esse concernono l’introduzione nel processo dei fatti e, per le eccezioni in senso lato, dei fatti che ne costituiscono il fondamento, mentre non riguardano – nè per la parte nè per il giudice – l’attività di mera rilevazione delle loro conseguenze giuridiche se tali fatti risultano introdotti ritualmente nel processo nei termini indicati dall’art. 183. Rilevare un’eccezione in senso lato, infatti, è attività che (a differenza di quanto accade per le eccezioni in senso stretto, dove allegazione del fatto e rilevazione della sua efficacia giuridica ad istanza di parte debbono coincidere, nel senso che non è possibile che l’eccezione sia proposta se la parte non ne rileva l’efficacia giuridica) può coincidere con l’introduzione nel processo del fatto storico che la giustifica, cioè che, una volta qualificato giuridicamente, comporta effetti estintivi, modificativi od impeditivi del diritto oggetto del giudizio, ma può anche non coincidervi, il che avviene se il fatto o i fatti storici integratori vengono introdotti nel processo ma nè la parte nè il giudice ne colgono il rilievo giuridico, cioè ne rilevano l’efficacia giuridica (si pensi all’introduzione di un fatto storico che correttamente qualificato è interruttivo della prescrizione, al quale invece la parte, introducendolo, attribuisca il carattere di rinuncia ad eccepire la prescrizione). Siffatta attività di rilevazione per le eccezioni in senso lato si colloca al di fuori della fissazione del thema decidendum e ben può avvenire fino alla decisione di primo grado, nel giudizio di appello e nella stesso giudizio di cassazione, nel quale – in ragione della struttura del medesimo, nel quale non v’è istruttoria – sconta il limite che la Corte deve poterlo percepire e, quindi, rilevare senza svolgere accertamenti di fatto, cioè sul modo di essere dei fatti per come sedimentati nel giudizio di merito, il che può avvenire se il contraddittorio delle parti e la sentenza rivelino pacificamente il fatto storico integratore dell’eccezione in senso lato. E semmai, l’attività di rilevazione comporta in questo caso che si debba sollecitare il contraddittorio delle parti ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

Ciò premesso, si osserva che la deduzione svolta con il motivo in ordine all’essere applicabile l’art. 2947 c.c., comma 3, ha assunto la rilevanza di attività di rilevazione di una controeccezione in senso lato sulla base di fatti incontestati, onde essa è pienamente ammissibile e qualora la Corte fosse stata investita della vicenda senza la formulazione della controeccezione, come sarebbe potuto accadere se il ricorrente avesse impugnato la decisione della Corte territoriale di negare l’interruzione della prescrizione qualificata ai sensi dell’art. 2947 c.c., comma 2, la Corte bene avrebbe potuto rilevare d’ufficio la controeccezione stessa ed accogliere il motivo in quanto tendente a negare la prescrizione del diritto verso le assicurazioni.

In ordine alle argomentazioni qui svolte, si rileva che è stato affermato che in tema di prescrizione estintiva, elemento costitutivo della relativa eccezione è l’inerzia del titolare del diritto fatto valere in giudizio, mentre la determinazione della durata di questa, necessaria per il verificarsi dell’effetto estintivo, si configura come una quaestio iuris concernente l’identificazione del diritto stesso e del regime prescrizionale per esso previsto dalla legge;

sicchè la riserva alla parte del potere di sollevare l’eccezione implica che ad essa sia fatto onere soltanto di allegare il menzionato elemento costitutivo e di manifestare la volontà di profittare di quell’effetto, non anche di indicare direttamente o indirettamente (cioè attraverso specifica menzione della durata dell’inerzia) le norme applicabili al caso di specie, l’identificazione delle quali spetta al potere-dovere del giudice. Ne consegue che il riferimento della parte ad uno di tali termini o norme non priva il giudice (anche nel processo secondo il rito ordinario) del potere officioso di applicazione (previa attivazione del contraddittorio sulla relativa questione) di una norma di previsione di un termine diverso (Cass. n. 9768 del 2005).

Si rileva ancora che è stato, altresì, ritenuto che in tema di giudizio di legittimità, con riferimento alla prescrizione della domanda di risarcimento del danno, integra l’inammissibile prospettazione di una nuova questione la deduzione con la quale il ricorrente, che nel giudizio di merito abbia agito a titolo di responsabilità extracontrattuale e si sia visto dichiarare estinto il diritto per il decorso del termine prescrizionale breve dell’art. 2947 cod. civ., censuri la sentenza per non aver ritenuto applicabile alla fattispecie la prescrizione ordinaria decennale dell’art. 2946 cod. civ., correlata alla responsabilità contrattuale del convenuto.

Siffatta questione non comporta la mera, diversa qualificazione giuridica del medesimo fatto, bensì l’accertamento del fatto nuovo e diverso, costituito dalla pretesa esistenza di obblighi derivanti dal contratto e della relativa violazione (Cass. n. 25500 del 2006).

Giusta i principi esposti ed i precedenti ora richiamati, poichè non si è avuta l’introduzione di alcuna elemento di fatto ed anzi nessun accertamento di fatto è sollecitato dal motivo là dove postula l’applicabilità dell’art. 2947 c.c., comma 3, l’eccezione di inammissibilità del motivo stesso per novità sembra infondata, essendosi trattata di una legittima attività di sola rilevazione della controeccezione in senso lato.

3.2. – Infondata è anche l’eccezione ulteriormente proposta dalla resistente di infondatezza della postulazione di applicabilità della prescrizione ai sensi dell’art. 2947, comma 3, riguardo alla sua posizione di garante: è sufficiente rimandare la resistente alla lettura della L. n. 990 del 1969, art. 26 e di Cass. n. 3559 del 1998.

3.3. – Poichè viene, dunque, in rilievo il principio di diritto richiamato dal ricorrente con l’invocazione della citata sentenza delle Sezioni Unite, l’eccezione di prescrizione, in accoglimento del primo motivo, dev’essere disattesa.

3.4. – L’accoglimento del primo motivo sembra, dunque, imporre la cassazione della sentenza impugnata ed anzi, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, se il Collegio lo riterrà, potrà decidere nel merito dell’appello ed accoglierlo, non occorrendo accertamenti di fatto ulteriori, con la conseguenza che le due società assicuratrici dovrebbero subire la stessa condanna cui la sentenza di primo grado ha fatto luogo nei confronti dei due conducenti e dei due proprietari.

4. Il secondo motivo dovrebbe rimanere assorbito”.

p. 2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle quali nulla è necessario aggiungere.

La sentenza impugnata è, dunque, cassata in accoglimento del primo motivo ed in relazione a quanto in esso dedotto, mentre il secondo motivo resta assorbito.

Ciò sulla base dei seguenti principi di diritto:

“Rilevare un’eccezione o una controeccezione in senso lato, cioè non riservata al potere di rilevazione della parte, è attività che (a differenza di quanto accade per le eccezioni in senso stretto, dove allegazione del fatto e rilevazione della sua efficacia giuridica ad istanza di parte debbono coincidere, nel senso che non è possibile che l’eccezione sia proposta se la parte non ne rileva l’efficacia giuridica) può coincidere con l’introduzione nel processo del fatto storico che la giustifica, cioè che, una volta qualificato giuridicamente, comporta effetti estintivi, modificativi od impeditivi del diritto oggetto del giudizio o del fatto integratore dell’eccezione, ma può anche non coincidervi, il che avviene se il fatto o i fatti storici integratori vengono introdotti nel processo in un dato momento ma nè la parte nè il giudice ne colgono il rilievo giuridico, cioè ne rilevano l’efficacia giuridica (si pensi all’introduzione di un fatto storico che correttamente qualificato è interruttivo della prescrizione, al quale invece la parte, introducendolo, attribuisca il carattere di rinuncia ad eccepire la prescrizione). Ne consegue che, avuto riguardo alle preclusioni per la fissazione del thema decidendum fissate nel rito ordinario dall’art. 183 c.p.c., nelle sue varie versioni, la rilevazione dell’eccezione o della controeccezione in senso lato d’ufficio o ad istanza di parte, mentre resta preclusa dopo il verificarsi di quelle preclusioni se comporta l’introduzione nel processo di fatti storici non allegati prima di detta verificazione, resta invece possibile allorquando si fondi su fatti storici già allegati prima di essa e ben può avvenire fino alla decisione di primo grado, nel giudizio di appello e nello stesso giudizio di cassazione, nel quale – in ragione della struttura del medesimo, nel quale non v’è istruttoria – sconta soltanto il limite che la Corte deve poter percepire e, quindi, rilevare il fatto integratore dell’eccezione o controeccezione in senso lato senza dover svolgere accertamenti di fatto, cioè sul modo di essere dei fatti per come sedimentati nel giudizio di merito, il che può avvenire se il contraddittorio delle parti e la sentenza rivelino pacificamente il fatto storico integratore dell’eccezione in senso lato. Ove l’attività di rilevazione avvenga d’ufficio da parte della Corte è necessario sollecitare il contraddittorio delle parti ai sensi dell’art. 384 c.p.c.”.

“In tema di prescrizione, la deduzione che la prescrizione applicabile sarebbe stata quella di cui all’art. 2947 c.c., comma 3, e non quella del comma 2 di tale norma integra una controeccezione avverso l’eccezione di prescrizione ai sensi dell’art. 2947 c.c., comma 2, la cui rilevazione non è riservata al monopolio della parte ma può avvenire d’ufficio e, dunque, si connota come una controeccezione in senso lato. L’attività di rilevazione di detta controeccezione (come in genere per ogni eccezione o controeccezione in senso lato) può richiedere l’allegazione di fatti storici nuovi oppure basarsi sui fatti già allegati dall’eccipiente. Ne consegue che, con riferimento al giudizio di cognizione ordinario ed alle preclusioni dell’attività di allegazione dei fatti individuate dall’art. 183 c.p.c., nelle sue varie versioni, la sua rilevazione, d’ufficio o ad istanza di parte, ove non richieda l’introduzione di fatti storici nuovi ma si fondi su fatti storici allegati entro il verificarsi delle dette preclusioni, resta possibile sia per l’ulteriore corso del giudizio di primo grado, sia in appello, sia, con il solo limite che non richieda accertamenti di fatto, in cassazione, dove non integra questione nuova inammissibile”.

p. 2.1. Sussistono le condizioni per decidere a questo punto sul merito relativamente all’appello proposto dal C. contro la Sara e la Milano là dove la sentenza di primo grado aveva rigettato la domanda nei loro riguardi quali società assicuratrici per la r.c.a. dei responsabili civili in ragione della pretesa prescrizione.

L’appello sul punto va accolto e tanto comporta che le due società debbano essere condannate, in solido con i soggetti già riconosciuti responsabili dalla sentenza di primo grado, al pagamento della stessa somma e – con le medesime decorrenze e termini – degli stessi accessori per i quali essi furono condannati.

p. 2.2. La cassazione e decisione nel merito così disposta interessa soltanto i rapporti processuali fra il C. e le due società e comporta che debbano regolarsi le spese dell’intero giudizio quanto ad essi.

Riguardo alle spese del giudizio di primo grado e del giudizio di appello, in ragione della circostanza che l’attività di rilevazione della controeccezione è avvenuta soltanto in questa sede di legittimità ed a nulla rilevando che avrebbe potuto compiersi anche d’ufficio, il Collegio ritiene doversi compensare le spese per giusti motivi.

Le spese del giudizio di cassazione seguono, invece, la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e cassa la sentenza impugnata in relazione. Dichiara assorbito il secondo motivo.

Pronunciando nel merito e decidendo sull’appello proposto da C.R. avverso la sentenza n. 247/05 del Tribunale di Gela nei confronti della Milano Assicurazioni s.p.a., Divisione Nuova MAA e della Sara Assicurazioni s.p.a., condanna le medesime al pagamento in favore del medesimo ed in solido con i soggetti contro cui fu pronunciata la condanna da parte di detta sentenza delle stesse somme, con gli accessori nella stessa misura e con le stesse decorrenze indicate fino al saldo effettivo. Compensa fra il ricorrente e le dette società le spese dei gradi di merito. Condanna in via solidale dette società alla rifusione al ricorrente delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in euro duemila, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2011

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