Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4237 del 09/02/2022

Cassazione civile sez. trib., 09/02/2022, (ud. 28/01/2022, dep. 09/02/2022), n.4237

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12092/14 R.G., proposto da:

PETROL PA ‘88 S.R.L., P.F., PA.FI.,

P.G., P.M., rappresentati e difesi, in forza di procura

speciale in margine al ricorso, dall’avv.to Salvatore Mileto, e

dall’avv.to Michele Procida, con i quali sono elettivamente

domiciliati in Roma, Viale Giambattista Vico n. 22, presso lo studio

legale Santacroce-Procida-Fruscione.

– ricorrenti principali –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 135/5/13 della Commissione tributaria

regionale dell’Abruzzo, depositata in data 4 novembre 2013, non

notificata.

udita la relazione svolta dal Consigliere Dott.ssa Rosita

D’Angiolella nella Camera di consiglio del 28 gennaio 2022.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. La vicenda che origina il ricorso all’esame nasce da una verifica parziale fiscale della Guardia di Finanza de L’Aquila nei confronti della società DPP-Distribuzione Prodotti Petroliferi s.r.l., nel corso della quale si appurarono varie irregolarità fiscali anche rispetto ai rapporti commerciali tra la società verificata e la società Petrol PA ‘88 s.r.l.; ne seguì p.v.c., notificato alla Petrol P.A. ‘88 s.r.l. in data (OMISSIS), riguardante le annualità d’imposta 2002, 2003, 2004, 2005, 2006 e 2007, dal quale si evinceva che la Petrol PA ‘88 s.r.l., oltre che giovarsi di fatturazione inesistente rispetto a forniture mai effettuate dalla DPP e poste in essere al solo fine di giustificare contabilmente l’uscita di denaro dalle casse societarie, aveva utilizzato autocisterne con dispositivi alterati per effettuare consegne di prodotti petroliferi in quantità inferiori rispetto a quelle pattuite con i clienti ufficiali, per lo più enti pubblici, di modo che il prodotto illecitamente sottratto alla fornitura ufficiale, venisse commercializzato “a nero” a clienti compiacenti, evitando l’imposizione fiscale; gli stessi fatti, dal punto di vista penale, innescarono un procedimento per truffa. Gli elementi sui quali i verificatori avevano basato l’ipotesi di tale meccanismo fraudolento di evasione riguardavano non solo la documentazione contabile ed extracontabile (es. “quadernetti” e timbri contraffatti) facenti capo alla DPP ed alla Petrol ‘88 PA s.r.l., ma anche le intercettazioni telefoniche, effettuate dal nucleo di P.T. di (OMISSIS), dalle quali risultavano le modalità di pagamento a nero con i clienti compiacenti, nonché le rimostranze avanzate dal personale dipendente degli enti pubblici frodati che lamentavano l’eccessivo consumo di gasolio da riscaldamento e, quindi, la limitata durata delle forniture ricevute dalla Petrol PA 88 s.r.l.; inoltre, gran parte del materiale indiziario, era stato tratto dall’esame delle movimentazioni bancarie dei conti correnti personali di tutti i soggetti coinvolti, tra cui soggetti, estranei alla compagine sociale ma familiari dei soci sui cui conti correnti bancari transitavano le somme provento di tali operazioni truffaldine. Pertanto, l’Agenzia delle entrate imputò tali operazioni ai vari soggetti che risultavano coinvolti, nelle varie annualità, in maniera diretta o indiretta alle operazioni fraudolente e, quindi, alla società e ai soci, P.G., Pa.Fi. e U.A., nonché ai soggetti “non soci”, P.F. e P.M.. A seguito di tale verifica, furono emessi più avvisi di accertamento relativi all’annualità 2003, e quindi, nei confronti della società – alla quale si contestava un maggior reddito e finire Irpeg, un maggior valore della produzione fini Irap e maggiori ricavi a fini Iva, rilevati a seguito di accertamenti bancari -, nei confronti di ciascuno dei soci, U.A. (partecipazione del 45%) P.G. (partecipazione al 45%) e Pa.Fi. (partecipazione del 10%) e, per i “non soci”, in ragione al maggior reddito imputato alla società, al netto delle somme rinvenute sui conti correnti personali a loro intestati, furono emessi, sempre per l’annualità 2003, distinti avvisi di accertamento con i quali venivano contestati maggiore Irpef, per redditi diversi, pari ai versamenti ed ai prelevamenti contestati sui propri conti correnti per l’anno in contestazione.

2. Chiuso negativamente il procedimento per adesione intentato dai contribuenti, la società, i soci ed i “non soci”, P.M. e P.F., proponevano distinti ricorsi alla Commissione tributaria provinciale de l’Aquila chiedendone l’annullamento. La CTP adita, con sentenza n. 14 del 21 novembre 2011, riuniti i ricorsi, li accoglieva parzialmente, riducendo la pretesa dell’Ufficio in base alle risultanze della disposta CTU.

3. I contribuenti tutti proponevano appello innanzi alla Commissione tributaria regionale (CTR) che, con la sentenza in epigrafe, respingeva tutte le doglianze tranne quella proposta da Pa.Fi., per il quale accoglieva l’appello sulla base della seguente motivazione: “(…) si accoglie il motivo di appello del contribuente per il quale il contribuente Pa.Fi., socio con partecipazione al 10%, deve essere assoggettato ad imposizione con l’aliquota del 12,5%, difatti il D.P.R. n. 917, art. 87, recita: “le società e gli enti indicati nel testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986 numero 917, art. 87, comma 1, lett. a) e b), operano con obbligo di rivalsa, una ritenuta del 12,50% a titolo d’imposta sugli utili in qualunque forma corrisposti a persone fisiche residenti in relazione a partecipazioni non qualificate”.

4. I contribuenti hanno proposto ricorso in Cassazione avverso tale sentenza, affidato ad otto motivi. Nel ricorso i contribuenti hanno evidenziato che nelle more dei termini di impugnazione è deceduta la socia U.A. e che ad essa sono succeduti P.F., coniuge, P.M. e P.G., figli.

5. L’Agenzia delle entrate ha resistito con controricorso ed ha proposto ricorso incidentale con tre motivi.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il secondo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso principale, vanno esaminati prioritariamente, denunciandoci con essi un vizio di nullità della sentenza e del procedimento che, se sussistente, travolgerebbe l’intera sentenza. Con tali motivi viene denunciato l’omessa pronuncia sul primo motivo di appello, in violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, riguardante la radicale assenza di utili extra-bilancio qualificabili come redditi di capitale in capo ai soci (v. secondo motivo di ricorso, v. pagg.19-22 del ricorso), nonché l’omessa pronuncia sul terzo motivo di appello, con il quale avevano reiterato la contestazione dell’illegittimità della ripresa a tassazione, quale reddito della società, delle somme transitate sui conti correnti oggetto di accertamenti bancari da parte della Guardia di finanza e delle somme oggetto di finanziamento dei soci nei confronti della società eccependo, nello specifico, “l’infondatezza e l’erroneità di tutte le presunzioni mediante le quali l’Ufficio aveva desunto che la merce – pari al 30%- era stata fraudolentemente sottratta e successivamente venduta in nero dalla società” (v. quarto mezzo, pagg. 25-33 del ricorso) ed, infine, la nullità della sentenza e del procedimento per omessa pronunzia sul quarto motivo di appello con il quale avevano contestato l’illegittimità della ripresa a tassazione “per l’insussistenza della contestazione inerente l’indeducibilità dei costi in quanto non era possibile estendere esclusivamente sulla base delle ipotizzata sottrazione in frode del 30% del prodotto ad un solo cliente (Poste Italiane) e per giunta nell’anno 2006, la presunzione di sottrazione del prodotto a tutti i clienti e per tutti gli anni oggetto di verifica (2003, 2004 e 2005).” (v. quinto mezzo, pagg. 33-35 ricorso).

1.2. Tali motivi di ricorso sono inammissibili. In primo luogo, non superano lo scrutinio di ammissibilità, di cui all’art. 360 bis c.p.c., n. 1), non riuscendo ad indicare le ragioni per mutare l’orientamento di questa Corte, secondo cui: “il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fissato dall’art. 112 c.p.c., non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti o in applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall’istante, purché restino immutati il “petitum” (nella specie l’annullamento dell’avviso di accertamento) e la “causa petendi” (nella specie il difetto di motivazione) e la statuizione trovi corrispondenza nei fatti di causa e si basi su elementi di fatto ritualmente acquisiti in giudizio ed oggetto di contraddittorio (Cass. 4 febbraio 2016, n. 2209)” (cfr. Cass., 11/05/2018, n. 11498; id. Sez. 2, 10/05/2018, n. 11289; Sez. 3, 17/01/2018, n. 906; Sez. 6-5, 23/10/2018, n. 26733).

1.3. Ed invero, nel caso in esame, la CTR, dopo ambia esposizione delle vicende in fatto della controversia e delle contestazioni avanzate dai contribuenti sull’accertamento dell’avviso, come reiterate nei motivi di appello, senza allontanarsi dal perimetro del giudizio come delineato dalla pagina 1 alla pagina 18 della sentenza, ha avallato la condotta dell’Amministrazione finanziaria nel pieno rispetto del principio di cui all’art. 112 c.p.c., basando la sua decisione – v. sentenza pag. 20, n. 2 e pag. 21, n. 4 – sui principi assolutamente pacifici affermati da questa Corte riguardanti la presunzione di distruzione ai soci degli utili extra-bilancio della società a ristretta base sociale (o familiare) e sulla mancata prova contraria da parte dei contribuenti (v., ex multis, Sez. 6-5, 24/01/2019, n. 1947; Sez. 5, 22/11/2017, n. 27778; Sez. 5, n. 32959 del 2018; v. Sez. 5, 11/08/2020, n. 16913; Sez. 5, 11/08/2020, n. 16193, secondo cui “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, nel caso di società di capitali con ristretta base partecipativa, ove sia accertata la percezione di redditi societari non contabilizzati, opera la presunzione di loro distribuzione “pro quota” ai soci, salva la prova contraria che i maggiori ricavi sono stati accantonati o reinvestiti dalla società, non occorrendo che l’accertamento emesso nei confronti dei soci risulti fondato anche su elementi di riscontro tesi a verificare, attraverso l’analisi delle loro movimentazioni bancarie, l’intervenuto acquisto di beni di particolare valore, non giustificabili sulla base dei redditi dichiarati”), nonché – v. sentenza pagina 20, n. 1 e pag. 21 n. 3 – sulla riferibilità alla società di tutte le operazioni bancarie non giustificate con la dimostrazione della estraneità di ciascuna operazione ai fatti imponibili (sul D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e sulla riparto dell’onere probatorio, v., ex pluribus, Sez. 6-5, 18/11/2021, n. 35258; Sez. 5, 09/03/2021, n. 6405; Sez. 5, 30/06/2020, n. 13112, secondo cui “in tema di accertamenti bancari, il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, prevedono una presunzione legale in favore dell’erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c., per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l’obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l’efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze”).

1.4. L’inammissibilità dei tre mezzi si trae anche con riguardo alla pacifica giurisprudenza di questa Corte sul rapporto tra omissione di pronuncia e motivazione implicita della sentenza, per cui non ricorre il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata, pur in mancanza di un’espressa statuizione del giudice, comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte e nella specie non v’e’ dubbio che le tante contestazioni formulate in appello dai contribuenti, sulle quali ritengono non vi sia stata pronuncia, siano state implicitamente rigettate (v., Sez. 3, 06/11/2020, n. 24953; Sez. 3, 13/01/2021, n. 459).

1.5. Ancora, non può mancarsi di rilevare che pur denunciandosi la violazione di una norma sul procedimento, i ricorrenti ripropongono censure puramente di merito, come tali inammissibili, in quanto implicanti “una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” (v., Sez. 6-3, 04/04/2017, n. 8758).

2. Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione di legge per violazione e falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, e art. 12, comma 7, nella parte in cui la CTR ha rigettato il primo motivo di appello relativo alla mancata valutazione delle osservazioni presentate dai ricorrenti al p.v.c. In particolare, censurano la statuizione della sentenza ove è affermato che “il motivo viene rigettato posto che l’ufficio fa riferimento, nelle proprie controdeduzioni all’appello, ed anche in atti di accertamento, alle memorie depositate dal contribuente. L’Ufficio specifica di aver tenuto conto anche delle memorie depositato in data 15/12/2008″, chiedendo a questa Corte di stabilire se, a fronte di osservazioni e memorie difensive avverso il p.v.c. nei 60 giorni all’uopo previsti, l’Ufficio possa, nel successivo avviso di accertamento, farvi solo formale e generico riferimento (come accaduto nella specie) oppure sia tenuto a motivare espressamente e concretamente sul rigetto di tali osservazioni (v. pagina 17 del ricorso).

2.1. Anche tale doglianza si risolve in base ai principi costantemente affermati da questa Corte secondo cui l’obbligo di motivazione è soddisfatto, com’e’ logico, ogni qualvolta l’Amministrazione abbia posto il contribuente in grado di conoscere la pretesa tributaria nei suoi elementi essenziali, e, quindi, di contestarne efficacemente l’an” ed il “quantum debeatur” (ex plurimis, cfr. Sez. 5, 25/05/2011 n. 11466; Sez. 5, 18/01/2018, n. 1111; Sez. 65, 11/10/2018 n. 25343).

2.2. Nella specie, le difese azionate dai contribuenti, sia in sede giurisdizionale che in sede di autotutela (i cui contenuti sono stati ampiamente esposti nel ricorso in cassazione e non contestati dall’Amministrazione erariale), non lasciano alcun dubbio sul fatto che gli stessi abbiano avuto modo di ben conoscere l’oggetto e le causali della pretesa tributaria e di frapporre ad essa specifiche difese, con conseguente infondatezza di tale motivo di ricorso.

3. Col terzo mezzo si denuncia la violazione di legge (D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 67, 68, 69,70 e 71, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7), in cui è incorsa la CTR nell’affermare che “la qualifica del reddito peraltro è ininfluente ai fini della misura dell’imposta” nella misura in cui tale statuizione si riferisce anche agli avvisi di accertamento emessi nei confronti dei ricorrenti “non soci” (per l’anno 2003, P.M.), avvisi che, anch’essi, non indicavano né quale fattispecie di reddito “diverso” fosse stato accertato, né per quali ragioni tale reddito fosse qualificabile come “diverso”.

3.1. Tale motivo è inammissibile per carenza di interesse, in quanto impugna una statuizione che non ha rilevanza decisoria. L’argomentazione della sentenza impugnata, censurata col terzo mezzo, è svolta “ad abundantiam”, inidonea, dunque, a costituire una “ratio decidendi” della medesima che, invece, è individuabile nelle argomentazioni precedenti riguardanti la presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio ai soci di società a ristretta base ed ai familiari non soci in quanto gestori di fatto della società (v. n. 4 di pag. 21 della sentenza impugnata). Ed invero, va considerato che i ricorrenti non hanno contestato le risultanze del p.v.c. – riportate nel controricorso alle pagine 4 e ss. – relative alle intercettazioni telefoniche dalle quali P.M. è risultato gestore di fatto della società e che la CTR ha fondato la presunzione della distruzione degli utili extracontabili in favore di P.M. proprio su tale rapporto gestorio da questi instaurato di fatto con la società sicché l’affermazione contenuta nella sentenza di appello secondo cui la qualifica del reddito “e’ ininfluente ai fini della misura dell’imposta”, è chiaramente un “obiter dictum” come tale influente sul dispositivo della stessa, che non può essere oggetto di ricorso per cassazione per difetto di interesse (v. Sez. 1, 10/04/2018, n. 8755).

4. Col sesto mezzo, i ricorrenti si dolgono dell’erroneità della sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’applicazione della L. 24 dicembre 1997, n. 537, art. 14, comma 4 bis, nonché del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 2, ritenendo l’indeducibilità dei costi pari al 30% corrispondente alla percentuale del quantitativo di prodotto presuntivamente sottratto. Il mezzo è infondato.

4.1. La contestazione di cui agli avvisi di accertamento riguardante la ripresa a tassazione di costi indeducibili nasce dal fatto – oggetto anche del parallelo procedimento penale – che la società Petrol P.A. ‘88 s.r.l. aveva posto in essere un’importante operazione truffaldina utilizzando autocisterne alterate che erogavano ai clienti ufficiali quantità di carburante inferiore di quanto era contabilizzato dagli erogatori, quantità che venivano parallelamente commercializzate “a nero” a clienti compiacenti. Dal punto di vista fiscale, tale frode ha determinato il venir meno della simmetria tra costi palesi e ricavi palesi e, siccome i carburanti sottratti circolavano in nero, si realizzavano col profitto del reato componenti positivi occulti per i quali scatta il divieto di deduzione.

4.2. Ora, considerato che il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 2, come convertito nella L. 26 aprile 2012, n. 44, costituente ius superveniens, è applicabile alla controversia in oggetto in forza del successivo comma 3, a tenore del quale: “le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dalla L. 24 dicembre 1997 n. 537, art. 14, comma 4 bis, previgente”, e considerato che tale norma prevede, tra l’altro, che: “La L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4-bis, è sostituito dal seguente: 4-bis. Nella determinazione dei redditi di cui al testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 1, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti attività qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale o (…)” – non pare possa esservi dubbio che la realizzazione di componenti positivi occulti (derivanti dal profitto a nero per il carburante sottratto) sia di diretta riferibilità al comportamento truffaldino posto in essere dai contribuenti, sicché l’indeducibilità non poteva che essere riferita a tutti i costi di tutti i fattori produttivi dell’impresa in quanto in rapporto diretto con il reato (v. circolare Agenzia delle entrate 3 agosto 2012, n. 32/E). Inoltre, la circolazione in nero del carburante e dei ricavi (denaro non contabilizzato e rinvenuto sui vari conti correnti dei soci e dei non soci), intaccando la simmetria tra costi palesi e ricavi palesi, ha fatto venir meno il requisito dell’inerenza all’attività imprenditoriale (art. 109 t.u.i.r.), essendo i costi (e ricavi) espressivi di finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’impresa, collegate, all’evidenza, a porre in essere comportamenti illeciti sia dal punto di vista penale che fiscale.

5. Col settimo mezzo si denuncia la violazione e falsa applicazione di legge e, segnatamente, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, nn. 2 e 7, nella parte in cui la sentenza impugnata nel ritenere che le indagini bancarie su conti intestati a terzi, non violano il divieto di presunzione di secondo grado poiché il fatto noto non è costituito dai maggiori redditi ma dalla ristrettezza della base sociale e dal vincolo di solidarietà tra i soci, ha violato i principi della prova presuntiva affermati da questa Corte in caso di indagini bancarie effettuate nei confronti di familiare del contribuente, secondo cui possono essere compiuti accertamenti sui conti correnti bancari intestati a terzi o familiari solo in presenza di presunzione idonea a ritenere che tali conti siano utilizzati nell’attività commerciale dell’impresa.

5.1. Anche tale mezzo è inammissibile perché imputa alla sentenza impugnata una contrarietà ai principi affermati da questa Corte sugli accertamenti bancari che invece non v’e’. Ed invero al n. 10) di pagina 23 della motivazione, la CTR, dopo aver richiamato il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, e il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, quali norme che autorizzano l’Ufficio a procedere all’accertamento anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ha rigettato il motivo di appello sulla considerazione, in diritto, che l’imputazione alla società delle risultanze degli accertamenti bancari effettuati nei confronti dei terzi è legittimata dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, comma 3, a mente del quale possono essere imputati al contribuente redditi di cui appaiono titolari altri soggetti (interposti) quando sia dimostrato, anche sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, che egli ne sia l’effettivo titolare.

5.2. Tale decisione è corretta in quanto conforme all’indirizzo costantemente affermato da questa Corte – dal quale non si ha motivo di discostarsi – secondo cui, in tema di poteri di accertamento degli uffici finanziari, devono ritenersi legittime le indagini bancarie estese ai congiunti del contribuente persona fisica, ovvero a quelli degli amministratori della società contribuente – in quanto sia il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, n. 7, riguardo alle imposte sui redditi, che il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, riguardo all’IVA autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, ipotesi, questa, ravvisabile nel rapporto familiare, sufficiente a giustificare, salva prova contraria, la riferibilità al contribuente accertato delle operazioni riscontrate su conti correnti bancari degli indicati soggetti (cfr., tra le tante, Sez. 5, 04/08/2010, n. 18083; Sez. 5, 18/12/2014, n. 26829; Sez. 5, 21/01/2021, n. 1174). La presenza di elementi sintomatici (quali il rapporto di stretta contiguità familiare, l’ingiustificata capacità reddituale dei prossimi congiunti nel periodo di imposta, l’infedeltà della dichiarazione, l’attività di impresa compatibile con la produzione di utili e, soprattutto, la mancata giustificazione delle movimentazioni bancarie) consente di non limitare l’accertamento fiscale bancario ai conti bancari o postali o ai libretti di deposito intestati al titolare dell’azienda individuale o alla società, ma di estenderlo anche a quelli intestati a terzi. Correttamente, poi, la CTR ha individuato nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37, commi 3 e 4, la norma che ha consentito l’imputazione alla società delle movimentazioni bancarie di cui apparivano titolari altri soggetti, là dove ha ritenuto dimostrato, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che la società ne era l’effettivo titolare (v. Sez. 5, 05/12/2018, n. 31452).

6. Anche l’ottavo motivo di ricorso principale denunciante la violazione di legge (L. n. 212 del 2000, art. 7, e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42), per aver i secondi giudici ritenuto legittimo l’accertamento e nonostante la mancata allegazione del p.v.c., notificato soltanto alla società, è infondato alla luce del pacifico indirizzo di questa Corte (v. Sez. 5, 02/10/2020, n. 21126) secondo cui in materia di accertamento tributario di un maggior reddito nei confronti di una società di capitali, organizzata nella forma della società a responsabilità limitata ed avente ristretta base partecipativa, e di accertamento conseguenziale nei confronti dei soci, l’obbligo di motivazione degli atti impositivi notificati ai soci è soddisfatto anche mediante rinvio “per relationem” alla motivazione dell’avviso di accertamento riguardante i maggiori redditi percepiti dalla società, ancorché solo a quest’ultima notificato, giacché il socio, ex art. 2476 c.c., ha il potere di consultare la documentazione relativa alla società e, quindi, di prendere visione dell’accertamento presupposto e dei suoi documenti giustificativi.

7. L’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate è fondato nei limiti di cui appresso.

7.1. Con il primo mezzo (“Nullità della sentenza D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 36, art. 132 c.p.c., e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”), denuncia l’error in procedendo, assumendo che, la statuizione di accoglimento dell’appello di Pa.Fi. è meramente apparente, in quanto recante la mera riproduzione del del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 27, comma 1, senza argomentare sulle ragioni del convincimento dei secondi giudici. Il secondo mezzo è articolato in subordine, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omessa motivazione sull’accoglimento dell’appello di Pa.Fi.. Con il terzo mezzo, infine, denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione di legge e segnatamente del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 27 e 38, D.P.R. n. 917 del 1986, trattandosi di utili corrisposti in evasione di imposta e pertanto soggetti alle normali regole di accertamento previste per i redditi di capitali e non, invece, alla regola della ritenuta del 12,5% di cui al D.P.R. cit., art. 27.

7.2. Per quanto assai sintetica, la motivazione della sentenza impugnata non incorre in alcuna delle ipotesi di anomalia motivazionale – che si tramutano in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinenti all’esistenza della motivazione in sé che si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico,” nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr., ex plurimis, Cass., 09/07/2020, n. 14633, in motivazione) – in quanto il riferimento, con la trascrizione dell’intera disposizione, al D.P.R. cit., art. 27, (per errore materiale indicato nella sentenza impugnata come art. 87) sostanzia l’iter logico seguito dal secondo giudice circa l’operatività, da parte della società, della ritenuta, con obbligo di rivalsa, del 12,5% a titolo di imposta sugli utili in “qualunque” forma corrisposti a persone fisiche. Anche in caso di società a ristretta base di cui siano stati accertati utili extracontabili, dunque, a parere dei secondi giudici, opererebbe la disposizione in parola.

7.3. Il secondo motivo di ricorso, articolato in subordine, è inammissibile in quanto oggetto di impugnazione è una sentenza pubblicata in epoca successiva al 12 settembre 2012, data dalla quale è entrato in vigore il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., del n. 5, che consente l’impugnazione per la diversa ipotesi di omesso esame di un “fatto” oggetto di discussione tra le parti e decisivo per il giudizio. Peraltro, il mezzo incorre anche nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012 (nel caso depositato in data 2/11/2012) (cfr. Cass. 22/12/2016, n. 26774; in senso conforme: Cass. Sez. U. 21/09/2018, n. 22430).

8. Il terzo motivo di ricorso incidentale è fondato.

8.1. La CTR nel ritenere operante la ritenuta del 12,5% di cui al D.P.R. cit., art. 27, ha stravolto i principi che vigono per la tassazione dei redditi connessi alla quota di partecipazione dei soci delle società a ristretta base – secondo cui il socio occulto di società palese a ristretta base partecipativa (e familiare) risponde dei ricavi extra-bilancio secondo la presunzione di distribuzione degli utili e in base a regole ordinarie di tassazione – in quanto non ha considerato che, trattandosi di utili extra contabili (a nero) mai pervenuti nella contabilità societaria, non vi è alcuna possibilità di applicare la disciplina agevolativa adoperata (cfr. p. 4.8, Cir. 165/E/1998; v. Sez. 5, 05/02/2021, n. 2766, in tema di ricavi societari occulti).

8.2. Giova ribadire che nell’ipotesi di società di capitali a ristretta base sociale (o a base familiare), è ammessa la presunzione di attribuzione ai soci degli utili extracontabili, che vanno imputati al socio nell’anno in cui sono conseguiti, e sempre che il socio non dimostri che gli utili extracontabili non sono stati distribuiti perché accantonati e reinvestiti nella società. E’ stato chiarito che tale presunzione “non si pone in contrasto con il divieto di presunzione di secondo grado, in quanto il fatto noto non è dato dalla sussistenza di maggiori redditi accertati induttivamente nei confronti della società, bensì dalla ristrettezza dell’assetto societario, che implica un vincolo di solidarietà e di reciproco controllo dei soci nella gestione sociale, con la conseguenza che, una volta ritenuta operante detta presunzione, spetta poi al contribuente fornire la prova contraria” (così, Sez 6-5, 24/01/2019, n. 1947; ex pluribus, sull’operatività della presunzione cfr. Sez. 5, 22/11/2017, n. 27778; Sez. 5, n. 32959 del 2018, n. 32959); è stato, altresì, soggiunto che “e’ legittima la presunzione di distribuzione ai soci degli utili extracontabili, che, attesa la mancanza di una deliberazione ufficiale di approvazione del bilancio trattandosi di utili occulti, deve ritenersi avvenuta nello stesso periodo d’imposta in cui gli stessi sono stati conseguiti.” (così, Sez. 5, 18/12/2015, n. 25468).

9. In conclusione, il ricorso principale deve essere integralmente rigettato. Il ricorso incidentale va accolto limitatamente al terzo mezzo e non essendo necessari ulteriori accertamento di fatto – e in ossequio al principio di ragionevole durata del processo – la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, u.p., con rigetto, anche in parte qua, del ricorso proposto dal contribuente Pa.Fi..

10. Le spese del giudizio di merito rimangono regolate come da statuizione della CTR. Le spese di lite del presente giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale. Accoglie il ricorso incidentale limitatamente al terzo mezzo e, decidendo la causa nel merito, rigetta il ricorso originario del contribuente Pa.Fi..

Condanna i ricorrenti principali al pagamento delle spese di lite del presente giudizio in favore dell’Agenzia delle entrate liquidate in complessivi Euro 7.800,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022

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