Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4233 del 21/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 21/02/2011, (ud. 16/12/2010, dep. 21/02/2011), n.4233

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – rel. Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 2203/2009 proposto da:

R.M. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 82, presso lo studio dell’avvocato

PENNISI Sebastiano, che lo rappresenta e difende, giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

contro

MINISTRO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 172/2007 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di ROMA del 23/11/07, depositata il 28/11/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/12/2010 dal Consigliere Relatore Dott. CAMILLA DI IASI;

udito l’Avvocato Pennini Sebastiano, difensore del ricorrente che si

riporta agli scritti;

è presente l’Avvocato Generale in persona del Dott. DOMENICO

IANNELLI che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1. R.M. propone ricorso per cassazione nei confronti dell’Agenzia delle Entrate (che resiste con controricorso) e avverso la sentenza con la quale, in controversia concernente impugnazione di avviso di liquidazione relativo a imposta di successione, la C.T.R. Lazio accoglieva solo parzialmente l’appello del contribuente.

2. Il primo motivo (col quale si deduce violazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 34, nonchè vizio di motivazione) è inammissibile, in relazione alla dedotta violazione di legge, per omessa formulazione del relativo quesito di diritto. Con riguardo alla censura per vizio di motivazione è necessario evidenziare che parte ricorrente, pur denunciando in epigrafe contraddittorietà della motivazione, nella indicazione conclusiva prevista dalla seconda parte dell’art. 366 bis c.p.c., individua il vizio denunciato esclusivamente nel fatto che i giudici d’appello, avendo premesso che “l’avviso di liquidazione di imposta e di erogazione sanzioni impugnato è sicuramente generico e di difficile comprensione”, avrebbero pertanto deciso non sulla base delle obiettive risultanze degli atti bensì sulla base di quanto “soggettivamente appaia possibile ritenere”: in tali termini la censura deve ritenersi inammissibile perchè con essa si denuncia non un vizio di motivazione bensì innanzitutto un error in procedendo (violazione dell’art. 115 c.p.c.) per il quale non è stato proposto idoneo quesito. Peraltro, nel momento di sintesi richiesto per la denuncia del vizio di motivazione dalla seconda parte dell’art. 366 bis (che deve presumersi coincidere con l’interrogativo posto alla fine della esposizione del motivo) manca la adeguata esplicitazione del fatto (controverso e decisivo) in ordine al quale si assume che la motivazione sia viziata e manca altresì la chiara indicazione del o dei vizi denunciati nonchè (in relazione alla denuncia di contraddittorietà della motivazione riportata in epigrafe) dei passaggi della decisione impugnata ritenuti tra loro inconciliabili al punto da impedire l’individuazione della ratio decidendi.

Il secondo motivo (col quale si deduce violazione del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 37, in relazione all’art. 588 c.c., per avere i giudici d’appello applicato nei confronti del R., semplice legatario, la presunzione di incremento del 10% per gioielli e danaro) è – contrariamente a quanto affermato nel controricorso – da ritenersi ammissibile, posto che si conclude con idoneo quesito – sia pure non espressamente qualificato come tale e non valorizzato graficamente. Tale motivo tuttavia, nei termini della censura proposta, così come delimitata nel quesito di diritto, risulta manifestamente infondato.

Premesso infatti che, a norma del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 8, il valore globale netto dell’asse ereditario è costituito dalla differenza tra il valore complessivo, al momento dell’apertura della successione, dei beni e dei diritti che compongono l’attivo ereditario e l’ammontare complessivo delle passività deducibili e degli oneri, e che, a norma del successivo art. 9 comma 2, si considerano compresi nell’attivo ereditario denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al 10% del valore globale netto imponibile dell’asse ereditario, anche se non dichiarati, è sufficiente evidenziare che, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, ai fini della determinazione dell’imposta di successione occorre fare riferimento al “valore globale netto dell’asse ereditario” e, concorrendo eredi e legatari, l’imposta di successione deve essere “ripartita tra loro, in proporzione al valore delle rispettive quote di eredità e dei rispettivi legati” ai sensi del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 7, comma 1, nel testo originario, applicabile nella fattispecie ratione temporis (v. Cass. n. 14686 del 2005), con la conseguenza che pure per la determinazione dell’imposta dovuta dal legatario occorre considerare nel calcolo dell’attivo ereditario anche il suddetto 10% del valore globale netto imponibile, e ciò a prescindere dalla natura dei beni oggetto del legato.

3. Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio che liquida in Euro 1.100,00 di cui Euro 1.000,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2011

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