Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4231 del 21/02/2018


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Civile Sent. Sez. U Num. 4231 Anno 2018
Presidente: AMOROSO GIOVANNI
Relatore: SCRIMA ANTONIETTA

Data pubblicazione: 21/02/2018

SENTENZA
sul ricorso 4303-2016 proposto da:
SOCIETA’ SOFIGECO CREDITI S.P.A., in persona del legale
rappresentante pro tempore, SAVONA PAOLO, LUBRANO BENEDETTA,
LUBRANO MANNIRONI GRAZIA, LUBRANO ENRICO, LUBRANO
FILIPPO, FIUME VINCENZO, RABBA ABRAMO, MOSCONI BRONZI
MARIA VITTORIA, elettivamente domiciliati in ROMA, LARGO
MESSICO 7, presso lo studio dell’avvocato FEDERICO TEDESCHINI,

che li rappresenta e difende unitamente agli avvocati ENRICO
LUBRANO, FILIPPO LUBRANO e BENEDETTA LUBRANO;
– ricorrenti contro
RINA ESTATE ITALIA S.R.L., LA RINASCENTE S.P.A., in persona dei

in ROMA, VIA DI MONTE FIORE 22, presso lo studio dell’avvocato
STEFANO GATTAMELATA, che le rappresenta e difende;
PRELIOS Società di Gestione del Risparmio S.p.a., in qualità di
gestore del fondo “Retail & Entertainment-Fondo di investimento
alternativo italiano immobiliare di tipo chiuso riservato”, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA DI MONTE FIORE 22, presso lo studio dell’avvocato
STEFANO GATTAMELATA, che la rappresenta e difende unitamente
all’avvocato ALBERTO MARIA FLORIDI;
ROMA CAPITALE, in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21,
presso gli Uffici dell’Avvocatura Capitolina, rappresentata e difesa
dall’avvocato LUIGI D’OTTAVI;
– controricorrenti nonchè contro
CITTA’ METROPOLITANA DI ROMA CAPITALE, REGIONE LAZIO,
MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITA’ CULTURALI E DEL
TURISMO, SOPRINTENDENZA PER I BENI ARCHITETTONICI E
PAESAGGISTICI PER IL COMUNE DI ROMA, UFFICIO DEL GENIO
CIVILE DI ROMA, SOVRINTENDENZA CAPITOLINA AI BENI
CULTURALI, C.M.B. SOCIETA’ COOPERATIVA MURATORI E
BRACCIANTI DI CARPI, SOPRINTENDENZA SPECIALE PER IL

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rispettivi legali rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate

COLOSSEO, IL MUSEO NAZIONALE ROMANO E L’AREA
ARCHEOLOGICA DI ROMA;
– intimati avverso la sentenza del CONSIGLIO DI STATO, depositata in data
9/07/2015.

dell’11/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Immacolata Zeno, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso;
uditi gli avvocati Paola Conticiani per delega dell’avvocato Federico
Tedeschini, Filippo Lubrano, Stefano Gattamelata, Alberto Maria
Floridi e Luigi D’Ottavi.
FATTI DI CAUSA
La vicenda all’esame attiene al procedimento amministrativo svoltosi nella forma della conferenza di servizi per la realizzazione di
un accordo di programma – all’esito del quale veniva rilasciato, con
provvedimento 11 agosto 2011, n. 508, il permesso di costruire per la
riconversione funzionale di un complesso edilizio sito in Roma in via
del Tritone dal n. 58/6 al n. 63/b e in via dei Due Macelli dal n. 13 al
n. 16, destinato ad ospitare in parte la nuova sede de “La
Rinascente”.
I lavori iniziavano nel maggio 2012.
La Società Sofigeco Crediti S.p.a. e alcuni degli attuali ricorrenti
proponevano ricorso contestando il già indicato procedimento e i
relativi provvedimenti attuativi davanti al Tar Lazio.
Nel corso del giudizio intervenivano ad adiuvandum Benedetta,
Enrico e Filippo Lubrano e Grazia Mannironi, proprietari e abitanti di
unità immobiliari adiacenti all’area in questione.

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Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza

I ricorrenti in primo grado censuravano gli atti sopra indicati per
numerosi profili di eccesso di potere e violazione di legge ed
essenzialmente per la mancata considerazione della necessità di
tutela come valore culturale degli immobili in questione (non limitata,
quindi, ad una sola particella del compendio, come asseritamente

paesaggio per il Comune di Roma), nonché per l’errato utilizzo dello
strumento di semplificazione procedimentale dell’accordo di
programma, senza che fosse stata tenuta in adeguata considerazione
la prevista deroga alle disposizioni urbanistiche, ambientali, storicoarcheologiche poste a tutela del centro storico di Roma, nonché per
l’adozione del nulla-osta del Genio civile al di fuori della Conferenza
dei servizi.
Il Tar adito, con sentenza n. 11348/2014, respingeva il ricorso
proposto, in quanto infondato nel merito, rigettando tutte le censure
proposte e lasciando assorbiti i profili di inammissibilità in rito
sollevati dalla parte resistente.
Avverso tale sentenza i ricorrenti e gli interventori in primo grado
proponevano appello dinanzi al Consiglio di Stato.
4. Si costituivano dinanzi al Consiglio di Stato la Prelios Società di
Gestione del Risparmio S.p.a. e, con separato atto, La Rinascente
S.p.a. e Rina Estate Italia S.r.l..
Le appellate riproponevano le censure in rito rimaste assorbite in
primo grado, facendo valere: la tardività del ricorso proposto in primo
grado in relazione alle censure inerenti all’Accordo di programma;
l’inammissibilità dell’intervento dei sigg.ri Lubrano e Mannironi per
tardività e per carenza di interesse; la tardività dei tre ricorsi per
motivi aggiunti proposti dai ricorrenti in primo grado, poi appellanti.
Quanto al merito, Prelios Società di Gestione del Risparmio S.p.a.
e La Rinascente S.p.a. resistevano alle censure di parte appellante,

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avrebbe inteso la Sovrintendenza per i beni architettonici ed il

chiedendo il rigetto dell’istanza istruttoria da quest’ultima formulata
nonché il rigetto per infondatezza degli altri motivi di appello.
Si costituivano in giudizio, con separati atti, anche la Regione
Lazio, Roma Capitale ed il Ministero per i Beni e le Attività Culturali,
tutti resistendo avverso l’appello e chiedendone il rigetto.

2015, rigettava in parte i motivi di appello, confermando, per
l’effetto, la sentenza impugnata

in parte qua

e con diversa

motivazione; in particolare, il Tar adito, tra l’altro, dichiarava
l’irricevibilità del ricorso presentato in primo grado nel luglio 2013,
per i profili relativi all’impugnazione dell’Accordo di programma
sottoscritto in data 22 marzo 2010 (v. sentenza impugnata p. 9 e 11)
e pubblicato sul B.U.R.L. in data 28 luglio 2010, ritenendo che, in
ordine agli interessi privati coinvolti dalla variante urbanistica,
soggetti direttamente interessati fossero unicamente quelli
contemplati dai relativi provvedimenti e non anche i vicini, per i quali
il termine per l’impugnazione decorreva dal giorno di scadenza del
termine per la pubblicazione, ex art. 41 co. 2 cod. proc. amm., e non
dal momento di effettiva conoscenza della lesività dei provvedimenti
da parte dei vicini, come sostenuto dalla parte appellante.
Avverso tale decisione Sogifeco Crediti S.p.a., Vincenzo Fiume,
Maria Vittoria Bronzi, Abramo Rabba, Paolo Savona, Grazia Lubrano
Mannironi, Benedetta Lubrano, Enrico Lubrano e Filippo Lubrano
hanno proposto ricorso per motivi attinenti alla giurisdizione basato
su unico articolato motivo e illustrato da memoria.
Hanno resistito con distinti controricorsi La Rinascente S.p.a. e
Rina Estate Italia S.r.l., Prelios Società di Gestione del Risparmio,
S.p.a. Roma Capitale; quest’ultima ha pure depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. I ricorrenti deducono anzitutto che il proposto ricorso «per
motivi di giurisdizione», «sotto il profilo peculiare del c.d. eccesso di
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Il Consiglio di Stato, con sentenza parziale depositata il 9 luglio

potere giurisdizionale», sarebbe ammissibile, sussistendo, a loro
avviso, il “diniego di giustizia” e “il radicale stravolgimento delle
norme di rito”. Lamentano poi che, nel caso all’esame, «le regole e i
principi che disciplinano la decorrenza del termine di impugnazione
dei provvedimenti amministrativi» sarebbero stati «stravolti da parte

irricevibile il ricorso di primo grado, a causa della erronea
individuazione del

dies a quo per la decorrenza del termine di

impugnazione nel momento della sola “conoscenza” del
provvedimento impugnato, prescindendo dalla sussistenza
dell’ulteriore necessario elemento della sua attuale “lesività”, con
conseguente illegittimo diniego di giustizia in capo ai ricorrenti.
Ad avviso di questi ultimi, infatti, per determinate categorie di
provvedimenti, ovvero quelli aventi portata generale, non vi sarebbe
alcun onere di immediata impugnazione degli stessi, sin dal momento
della loro conoscenza da parte degli interessati, in quanto
tendenzialmente tali provvedimenti non sarebbero in grado di
produrre direttamente effetti lesivi in capo agli eventuali interessati,
sicché, per i provvedimenti in parola, la decorrenza del termine non
coinciderebbe con l’acquisizione della conoscenza da parte
dell’interessato ma con l’attualizzazione della lesione in capo
all’interessato stesso. Quanto evidenziato varrebbe in particolare, per
i ricorrenti, con riferimento ai provvedimenti di pianificazione
territoriale – come quello di cui si discute nella specie -, dovendosi
«distinguere tra disposizioni generali che conformano il territorio,
idonee a trovare immediata applicazione/lesività con conseguente
immediato decorso del termine, rispetto invece a quelle che
disciplinano l’esercizio dell’attività edificatoria, le quali possono
divenire lesive di interessi esclusivamente unitamente a successivi
provvedimenti di attuazione ovvero mediante l’adozione del titolo
abilitativo (es.: permesso di costruire)».
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della sentenza impugnata» laddove detta sentenza «ha dichiarato

Sostengono altresì i ricorrenti che la statuizione impugnata, «oltre
ad essere in rottura con il sistema processuale amministrativo»,
sarebbe «manifestamente erronea poiché costituirebbe una
preclusione alla radice della tutela giurisdizionale con riferimento alla
impugnabilità di una tipologia di provvedimenti amministrativi, in

1.1. Le censure proposte sono inammissibili.
1.2. Ed invero, le decisioni del Consiglio di Stato possono essere
cassate o per motivi inerenti all’esistenza stessa della giurisdizione,
ovvero quando il giudice amministrativo ne oltrepassi, in concreto, i
limiti esterni, realizzandosi la prima ipotesi qualora il Consiglio di
Stato eserciti la propria giurisdizione nella sfera riservata al
legislatore o alla discrezionalità amministrativa (oppure, al contrario,
la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non può formare
oggetto, in via assoluta, di cognizione giurisdizionale), verificandosi,
invece, la seconda ove l’organo di giustizia amministrativa giudichi su
materie attribuite alla giurisdizione ordinaria o ad altra e diversa
giurisdizione speciale (oppure neghi la propria giurisdizione
sull’erroneo presupposto che essa appartenga ad altri), ovvero
quando, per materie attribuite alla propria giurisdizione, compia un
sindacato di merito pur essendo la propria cognizione rigorosamente
limitata alla indagine di legittimità degli atti amministrativi (Cass.,
sez. un., 29/03/2017, n. 8117; Cass., sez. un., ord., 5/06/2006, n.
13176).
1.3. Pertanto, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, dinanzi
alle quali siano impugnate decisioni di un giudice speciale per motivi
attinenti alla giurisdizione, possono rilevare unicamente l’eventuale
superamento dei limiti esterni della giurisdizione medesima, non
essendo loro consentito di estendere il proprio sindacato anche al
modo in cui tale giurisdizione è stata esercitata (Cass. 5/12/2016, n.
24740). Ne consegue che, anche a seguito dell’inserimento della
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violazione dell’art. 24 Cost. e dell’art. 113, commi 1 e 2 Cost.».

garanzia del giusto processo nella nuova formulazione dell’art. 111
Cost., l’accertamento in ordine ad errores in procedendo o ad errores
in iudicando rientra nell’ambito del sindacato afferente i limiti interni
della giurisdizione, trattandosi di violazioni endoprocessuali rilevabili
in ogni tipo di giudizio e non inerenti all’essenza della giurisdizione o

stata esercitata (Cass., sez. un., ord., 16/02/2009, n. 3688).
1.4. Nella specie non ricorre un’ipotesi di rifiuto di giurisdizione
ma eventualmente di errores in procedendo e/o in iudicando, come
tale non sindacabile sotto il profilo dell’eccesso di potere
giurisdizionale, non investendo tali errores la sussistenza ed i limiti
esterni del potere giurisdizionale del giudice amministrativo ma solo
la legittimità dell’esercizio del potere medesimo.
Si evidenzia, in particolare, che, con riguardo all’interpretazione
della legge da applicare (nelle specie, le norme di rito e quelle che
regolano la decorrenza del termine di impugnazione, v. ricorso p. 6 e
7), da parte del Consiglio di Stato – attività che costituisce, il
proprium della funzione giurisdizionale – non è configurabile un
eccesso di potere giurisdizionale, tenuto conto che gli errori
eventualmente commessi nell’interpretare le norme non investono la
sussistenza ed i limiti esterni del potere giurisdizionale del giudice
amministrativo ma solo la legittimità dell’esercizio del potere
medesimo.
Inoltre, pure le doglianze proposte con riferimento alla ritenuta
erroneità della decisione del Consiglio di Stato in quanto contrastante
con gli orientamenti precedentemente assunti dal medesimo Giudice,
è inammissibile, prospettandosi, anche sotto tale profilo, un error in
iudicando, estraneo al sindacato consentito alle Sezioni Unite di
questa Corte sulle decisioni del giudice speciale (Cass., sez. un.,
19/12/2009, n. 26812; Cass., sez. un., 5/12/2016, n. 24742).

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allo sconfinamento dai limiti esterni di essa, ma solo al modo in cui è

1.5. Nel caso all’esame, quindi, va ribadito che non si è in
presenza di una violazione dei limiti esterni della giurisdizione, né
ricorre un radicale stravolgimento delle norme o l’applicazione di una
norma creata dal giudice speciale per la fattispecie (Cass. Sez. Un., 6
maggio 2016, n. 9145; Cass. Sez. Un., 5 settembre 2013, n. 20360),

Un tale rifiuto, idoneo a fondare il ricorso previsto dall’ultimo
comma dell’art. 111 della Costituzione, è solo quello basato
sull’affermazione dell’impossibilità di conoscere la domanda per
estraneità alle attribuzioni giurisdizionali da parte dello stesso giudice
cui quella è sottoposta.
1.6. Alla luce di quanto sopra evidenziato, risulta evidente che
difettano di rilevanza i pure prospettati profili di incostituzionalità, cui
si fa sinteticamente cenno in ricorso (v. p. 7 e 14).
2. Conclusivamente, non trattandosi, nella specie, di questioni di
superamento dei limiti esterni della giurisdizione, né potendosi
configurare un rifiuto di esercizio della funzione giurisdizionale da
parte del Giudice amministrativo,

il

ricorso va dichiarato

inammissibile.
3. Le spese del presente giudizio di cassazione, liquidate come in
dispositivo, seguono la soccombenza tra le parti costituite, mentre
non vi luogo a provvedere per dette spese nei confronti degli intimati,
non avendo gli stessi svolto attività difensiva in questa sede.
4.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il

versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1,
comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore
importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.

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e neppure può rilevarsi il prospettato rifiuto di giurisdizione.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti,
in solido, al pagamento delle spese del presente giudizio di
cassazione, che liquida, in favore di Roma Capitale, in euro 12.000,00
per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli
esborsi liquidati in euro 200,00 e agli accessori di legge, in euro

15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 e agli accessori di legge, in
favore di Prelios Società di Gestione del Risparmio S.p.a., e in euro
6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del
15%, agli esborsi liquidati in euro 200,00 e agli accessori di legge, in
favore di La Rinascente S.p.a. e Rina Estate Italia S.r.l.; ai sensi
dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel
testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012,
n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,
da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis
dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio delle Sezioni Unite
Civili della Corte Suprema di Cassazione, in data 11 aprile 2017.

6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del

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