Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4229 del 09/02/2022
Cassazione civile sez. VI, 09/02/2022, (ud. 25/11/2021, dep. 09/02/2022), n.4229
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da
I.A., rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata
in calce al ricorso, dall’Avvocato Lara Petracci, presso il cui
studio elettivamente domicilia in Porto Sant’Elpidio (FM), alla via
Adige n. 113.
– ricorrente –
nei confronti di:
MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore.
– intimato –
avverso il decreto, n. cron. 865/2021, del TRIBUNALE DI ANCONA,
depositato il giorno 06/12/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non
partecipata del giorno 25/11/2021 dal Consigliere Relatore EDUARDO
CAMPESE;
Fatto
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis, I.A., nativo del Pakistan (Regione del (OMISSIS), distretto di (OMISSIS)), ha adito il Tribunale di Ancona impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e del rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari.
1.1. Nel richiedere il riconoscimento delle invocate protezioni, il ricorrente ha esposto: i) di aver lasciato il Paese d’origine in ragione delle minacce di morte e degli attacchi ricevuti per motivi religiosi essendo la sua famiglia l’unica sciita del villaggio; ii) di essere stato membro della Camera di Commercio di (OMISSIS) e di aver ricoperto la carica di vice-presidente in un’associazione pacifista; iii) di aver subito diverse intimidazioni, poi culminate in un attacco con armi da fuoco a seguito del quale aveva deciso di lasciare il Pakistan.
2. Il tribunale ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento di qualsivoglia forma di protezione.
2.1. In particolare, quel giudice: i) ha ritenuto il racconto non credibile, atteso che: “Le dichiarazioni fornite relativamente al suo impegno associativo non risultano adeguatamente circostanziate; la vicenda non ha trovato riscontro all’esito delle ricerche COI; il sito internet della predetta associazione non è risultato accessibile in data (OMISSIS); le informazioni rinvenibili nella pagina (OMISSIS) del Presidente dell’associazione sono in (OMISSIS); tra i documenti accessibili non risultano essere presenti riferimenti corrispondenti a quelli allegati dal ricorrente; le dichiarazioni rese in merito agli atti intimidatori asseritamente subite risultano generiche e non sufficientemente dettagliate”; ii) ha considerato la situazione in Pakistan non riconducibile, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), ad un contesto di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale; iii) ha valutato come insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria alla luce della non credibilità del racconto e dell’esame della situazione nel Paese d’origine svolto ai fini della valutazione per il riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c); iv) in relazione al riconoscimento della protezione speciale come modificata dal D.L. n. 130 del 2020, ha ritenuto che, da parte del ricorrente, non fosse stato dimostrato un radicamento, né lavorativo né relazionale, in Italia, avendo il richiedente asilo tutti i suoi familiari in Pakistan ed un’entrata reddituale in Italia “piuttosto bassa”.
3. Avverso il predetto decreto I.A. ricorre per cassazione, affidandosi a tre motivi. Il Ministero dell’Interno è rimasto solo intimato.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I formulati motivi denunciano, rispettivamente:
I) “Violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. b) e c), e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, in quanto il Tribunale di Ancona, nell’esaminare la sussistenza dei presupposti per la concessione della protezione internazionale, ha limitato l’indagine alla verifica della “vis persecutoria” omettendo di esaminare l’ipotesi di danno grave di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), che pure costituiva oggetto della domanda”. Si lamenta l’erronea applicazione dell’istituto della protezione sussidiaria per non aver il giudice di merito esaminato le ipotesi di danno grave di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), prospettate dal richiedente asilo;
II) “Violazione o falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3 e 5, in merito alla credibilità del richiedente asilo”. Si censura l’erronea applicazione della normativa in materia di credibilità assumendosi che il tribunale abbia errato nell’applicare i parametri di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, senza considerare, in via preliminare, la copiosa documentazione prodotta dal ricorrente;
III) “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonché omesso esame di documenti probatori decisivi circa il fatto oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.”. Ci si duole dell’omesso esame della documentazione prodotta dal ricorrente unitamente al ricorso di primo grado.
2. Le descritte doglianze, scrutinabili congiuntamente per la loro stretta connessione, si rivelano insuscettibili di accoglimento nel loro complesso.
2.1. Invero, il tribunale dorico: i) ha negato attendibilità al racconto del richiedente protezione, quanto alle ragioni che lo avevano indotto a lasciare il proprio Paese, così conseguentemente disattendendo la richiesta di riconoscimento, oltre che dello status di rifugiato, anche della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b); ii) ha escluso, sulla base della consultazione di affidabili ed aggiornate fonti di informazioni (risalenti anche agli anni 2018 e 2019), delle quali ha pure dato puntualmente conto nel provvedimento impugnato, che nella regione del (OMISSIS), in Pakistan, zona di provenienza del ricorrente, sia attualmente riscontrabile una situazione di instabilità politico-sociale di livello così elevato da potere essere qualificata nei termini di quella “violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che consente il riconoscimento nei confronti dello straniero della forma di protezione internazionale di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (cfr. amplius, pag. 3 e ss., del decreto impugnato); ii) quanto alla invocata protezione umanitaria, ha evidenziato l’assenza di stati patologici di rilievo o di peculiari situazioni soggettive attestanti condizioni di vulnerabilità del richiedente protezione, nonché dell’avvenuta, effettiva sua integrazione in Italia.
2.2. Fermo quanto precede, rileva il Collegio che:
i) il tribunale predetto ha esaurientemente esposto le ragioni del proprio convincimento circa la non credibilità di parte del racconto dell’odierno ricorrente (cfr. amplius, pag. 9-10 del decreto impugnato);
ii) la giurisprudenza di legittimità, ancora recentemente (r. Cass. n. 17536 del 2020; Cass. n. 18446 del 2019), ha chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito (cfr., ex multis, Cass. n. 6191 del 2020, in motivazione; Cass. n. 32064 del 2018; Cass. n. 30105 del 2018), il quale deve ponderare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in Cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (tutte fattispecie qui insussistenti), dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr., nel medesimo senso, Cass. n. 18550 del 2020; Cass. n. 17539 del 2020; Cass. n. 3340 del 2019). Deve, peraltro, rimarcarsi che, nella specie, la semplice lettura del decreto oggi impugnato, nella parte in cui ha negato l’attendibilità dell’odierno ricorrente, presenta una motivazione ampiamente in linea con il minimo costituzionale sancito da Cass. SU, n. 8053 del 2014. La censura di asserito mancato esame, su questo punto, della documentazione prodotta innanzi al tribunale si rivela priva di autosufficienza giusta quanto condivisibilmente sancito da Cass., SU, n. 34469 del 2019, a tenore della quale “sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità”;
iir) quanto al diniego della protezione sussidiaria, giova ricordare pure che la valutazione di inattendibilità del racconto del dichiarante osta al riconoscimento, oltre che dello status di rifugiato, anche di quest’ultima quanto alle fattispecie di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b) (cfr. Cass. n. 2959 del 2021, in motivazione), mentre, quanto a quella proposta giusta la lett. c), del medesimo decreto, il provvedimento oggi impugnato ha comunque esaminato la situazione fattuale ed operato la ricostruzione della realtà socio-politica del Paese di provenienza del richiedente, compiutamente indicando le fonti internazionali consultate, debitamente aggiornate, ed ha rilevato che, sostanzialmente, nel Pakistan, Regione del (OMISSIS), non si segnala attualmente una situazione di instabilità politico-sociale di livello così elevato da potere essere qualificata nei termini di quella “violenza generalizzata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”. Va solo rimarcato che, come chiarito da Cass. n. 29056 del 2019, l’eventuale omessa sottoposizione al contraddittorio delle COI (country of origin information) assunte d’ufficio dal giudice ad integrazione del racconto del richiedente, non lede il diritto di difesa di quest’ultimo, poiché, in tal caso, l’attività di cooperazione istruttoria è integrativa dell’inerzia della parte e non ne diminuisce le garanzie processuali, a condizione che il giudice di merito renda palese nella motivazione a quali informazioni abbia fatto riferimento, al fine di consentirne l’eventuale critica in sede di impugnazione; sussiste, invece, una violazione del diritto di difesa del richiedente quando costui abbia esplicitamente indicato le COI, ma il giudice ne utilizzi altre, di fonte diversa o più aggiornate, che depongano in senso opposto a quelle offerte dal ricorrente, senza prima sottoporle al contraddittorio. Nella specie, però, non vi è prova alcuna, né è stato specificamente dedotto dal ricorrente, di aver sottoposto all’attenzione del tribunale le fonti oggi richiamate in ricorso. A tanto deve solo aggiungersi che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitai:” è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 23983 del 2020; Cass. n. 2355 del 2020; Cass. n. 9842 del 2019; Cass. n. 30105 del 2018);
iv) nessuno dei formulati motivi investe, specificamente, il mancato rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;
v) a fronte di tale corretta operazione di sussunzione dei fatti allegati alle norme di legge di cui il ricorrente ha chiesto l’applicazione, le doglianze sviluppate nei motivi di ricorso in esame investono, sostanzialmente, il complessivo governo del materiale istruttorio (quanto alla sussistenza, o meno, della prova dei presupposti per la invocata protezione internazionale ed umanitaria), senza assolutamente considerare che la denuncia di violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ivi formalmente proposte, non può essere mediata dalla riconsiderazione delle risultanze istruttorie (cfr. Cass. n. 2959 del 2021, in motivazione; Cass. n. 195 del 2016; Cass. n. 26110 del 2015; Cass. n. 8315 del 2013; Cass. n. 16698 del 2010; Cass. n. 7394 del 2010; Cass., SU. n. 10313 del 2006), non potendosi surrettiziamente trasformare il giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative (r. Cass. n. 21381 del 2006, nonché le più recenti Cass. n. 8758 del 2017, Cass. n. 2959 del 2021 e Cass., SU, n. 34476 del 2019, che estende analoga conclusione pure al vizio di cui al novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qui formalmente richiamato nel termo motivo).
3. Il ricorso, dunque, va dichiarato inammissibile, senza necessità di pronuncia sulle spese di questo giudizio di legittimità, essendo il Ministero dell’Interno rimasto solo intimato, e dandosi atto, altresì, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (r. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 – che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenra in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 novembre 2021.
Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022