Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4228 del 17/02/2021

Cassazione civile sez. I, 17/02/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 17/02/2021), n.4228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19320/2015 proposto da:

Comune di Bagnolo Piemonte, in persona del Sindaco in carica,

elettivamente domiciliato in Roma, Via Pierluigi da Palestrina, 63

presso lo studio dell’Avvocato Gianluca Contaldi, che lo rappresenta

e difende anche disgiuntamente con l’Avvocato Anna Barbero, per

Delib. incarico G.MC. n. 76 del 2015 e procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.M.M., elettivamente domiciliata in Roma, Via Cola

di Rienzo 297 presso lo studio dell’Avvocato Nicola Bosco, che la

rappresenta e difende anche disgiuntamente con l’Avvocato Domenico

Sindico, per procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 732/2015 della Corte di appello di Torino,

depositata il 15/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

28/01/2021 dal Cons. Laura Scalia.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Torino con la sentenza in epigrafe indicata in accoglimento della domanda di determinazione della giusta indennità di esproprio proposta da A.M.M., proprietaria dei terreni agricoli censiti al NCT: foglio (OMISSIS) di mq. 39; foglio (OMISSIS) di mq. 1795; foglio (OMISSIS) di mq. 136, foglio (OMISSIS) di mq. 50, foglio (OMISSIS) di mq. 1427, foglio (OMISSIS) di mq. 120, ricadenti in “Zona Agricola E”, interessati dalla realizzazione di un nuovo polo scolastico, comprensivo di una scuola elementare e secondaria di primo grado, con le relative opere di urbanizzazione, per delibere del Consiglio comunale di Bagnolo Piemonte di adozione di variante allo strumento urbanistico e vincolo preordinato all’esproprio, all’esito di disposta consulenza tecnica, ha determinato in Euro 64.206,00 l’indennità di esproprio in favore dell’attrice ed a carico del Comune di Bagnolo Piemonte che ha condannato al deposito presso la sezione Provinciale del Ministero dell’economia e delle finanze della differenza tra detto ammontare e l’indennità già depositata oltre interessi legali.

L’attrice aveva contestato rammontare dell’indennità stimata dal Collegio peritale D.P.R. n. 327 del 2001, ex art. 21 in Euro 7,00 al mq. che aveva evidenziato il carattere penalizzato dovuto alla pezzatura dei terreni, consistenti in liste strette e lunghe, ed il Comune in riconvenzionale deducendo la stima del Collegio come eccedente la giusta indennità aveva chiesto accertarsi quest’ultima nella misura di Euro 5,15 al mq.

La Corte territoriale ha invece aderito alle conclusioni raggiunte dal nominato consulente d’ufficio valorizzando quanto alla stima da questi operata, pari ad Euro 18,00 al mq., l’aspettativa” di edificazione espressa dalla ubicazione urbanistica dei terreni per una media ponderata tra il valore di un fondo ab origine edificabile e quello segnato da una destinazione agricola che, originaria, resta temperata dall’aspettativa di commerciabilità del terreno in ragione dell’evoluzione degli strumenti urbanistici.

2. Ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza il Comune di Bagnolo Piemonte con otto motivi illustrati da memoria. Resiste con controricorso A.M.M..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32,37 e 40 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La situazione urbanistica dei terreni consente di affermarne la natura agricola e la loro coltivazione e quindi l’assoggettamento della fattispecie in esame all’art. 40 D.P.R. cit. che, passato indenne dalla declaratoria di illegittimità costituzionale di cui alla sentenza n. 181 del 2011, prevede che nel caso di esproprio di un’area non edificabile l’indennità definitiva è determinata in base al criterio del valore agricolo e sulla scorta delle coltivazioni effettivamente praticate sul fondo senza valutazione della possibile ed effettiva utilizzazione diversa da quella agricola.

Erano rimasti inosservati anche i canoni di cui all’art. 32, comma 1, e art. 37, comma 3 D.P.R. cit. nella parte in cui stabiliscono che l’indennità di esproprio è determinata sulla base delle caratteristiche del bene alla data del decreto di esprdprio e che ai fini di stima si considerano le possibilità legali ed effettive di edificazione esistenti al momento di emanazione del decreto di esproprio.

La Corte di merito, in adesione acritica alle conclusioni del nominato consulente di ufficio ed in violazione delle norme indicate, aveva ritenuto di poter stimare i terreni in ragione della loro peculiarità derivante dalla collocazione, distante in linea d’aria 300 metri dai centro comunale, per la quale il valore di mercato, pur nella natura agricola, avrebbe scontato quella vicinanza “nell’aspettativa di un mutamento della destinazione urbanistica”.

Sulle indicate premesse la Corte di appello aveva quindi preso in valutazione, ai fini comparativi, un’area prossima ai fondi stimati – che era stata acquistata dal Comune per Euro 42,62 al mq. in quanto destinata alla realizzazione, poi avvenuta, di una scuola materna pur essendo il terreno inserito nel P.R.G.C. in zona destinata ad aree per attrezzature e servizi – il tutto per un valore che era stato poi ridotto nella natura solo agricola dei fondi dotati di aspettativa edificatoria, apprezzata dal c.t.u. come di possibile realizzazione, all’interno di un libero mercato, per una propensione dovuta alla possibile futura modificazione degli strumenti urbanistici entro un decennio.

Secondo i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, sostenuti dalla riscontrata esistenza nel sistema di due sole categorie dei terreni, edificabili e non, in applicazione del criterio dell’edificabilità legale (art. 37, comma 3 D.P.R. cit.) riconosciuta direttamente dalla legge e/o dagli strumenti urbanistici, le possibilità leali di edificazione vanno escluse tutte le volte in cui per lo strumento urbanistico vigente all’epoca della ricognizione la zona sia stata concretamente vincolata ad un utilizzo agricolo senza che la natura non edificatoria possa essere superata per la diversa destinazione impressa ai suoli limitrofi, introducendosi in tal modo un’edificabilità di fatto, che prescinde dalla classificazione urbanistica dell’area là dove l’edificabilità di fatto ha carattere suppletivo e complementare, utilizzabile in assenza di pianificazione urbanistica o come apprezzamento delle specifiche caratteristiche di un’area legalmente edificabile.

La Corte di merito aveva applicato un criterio di calcolo dell’indennizzo fondato non su connotati oggettivi dei terreni, ma su caratteristiche “presunte per il futuro” attribuendo efficacia decisiva alla natura dei suoli limitrofi in previsione di una “supposta e futura” revisione del P.R.G., in palese contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti per una classificazione potenzialmente edificatoria, tutt’altro che probabile e/o prevedibile, diretta a neutralizzare gli effetti di quella legale agricola.

2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione di legge con riferimento agli artt. 112 e 113 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e nullità della sentenza e del procedimento, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Il Comune aveva richiesto nel corso del giudizio, e ribadito in sede di conclusionale, una integrazione della consulenza tecnica di ufficio per l’accertamento del valore venale del terreno espropriato sulla base delle sue effettive caratteristiche specifiche e quindi ferma l’inedificabilità e tenuto conto della destinazione agricola dello stesso, in risposta al quesito h) formulato nell’ordinanza ammissiva.

Nel contesto degli strumenti urbanistici i terreni ablati dovevano ritenersi non edificabili ed il c.t.u. nominato aveva escluso la sussistenza di ogni concreta potenzialità edificatoria rurale in ragione della loro forma, a lista, che rendeva impraticabile di fatto la realizzazione di un fabbricato rurale.

La sentenza, incorrendo nella violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, aveva omesso di pronunciare sull’istanza istruttoria e violando l’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 3, aveva riportato erroneamente le conclusioni dell’Amministrazione convenuta come quelle rassegnate, originariamente, nella comparsa di costituzione e risposta e non quelle precisate all’apposita udienza del 27 gennaio 2015.

3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116 e 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e la nullità della sentenza e del procedimento in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La Corte di merito aveva omesso di pronunciare sulla richiesta del Comune di discostarsi dalle risultanze della c.t.u. per erroneità del criterio estimativo utilizzato perchè fondato su di un inammissibile criterio di edificabilità potenziale, propositivo del criterio della cd. edificabilità di fatto per una ritenuta vicinanza ad aree edificatorie, con aggiramento dello strumento urbanistico le cui disposizioni escludevano le possibilità legali di edificazione.

4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116 e 132 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La sentenza deve intendersi nulla per apparenza della motivazione nella parte in cui la Corte di appello aveva ritenuto che il Comune, nel contestare la relazione peritale per avere stimato i terreni agricoli espropriati per una loro non ammessa ipotetica “potenzialità edificatoria futura”, avesse in realtà apprezzato nella disposta relazione tecnica l’esistenza di un giudizio di edificabilità di fondi dichiaratamente agricoli. La convenuta Amministrazione aveva invece dedotto l’impossibilità di indennizzare una ipotetica futura e non prevedibile aspettativa di modifica della destinazione urbanistica dei beni espropriati, distaccata dalla realtà.

5. Con il quinto motivo il ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 32, comma 1, art. 37, commi 3 e 6 e art. 40, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La Corte di appello di Torino era incorsa nella violazione degli artt. 32, 37 e 40 citt. in quanto impongono una stima sulla base delle caratteristiche effettive ed oggettive del bene e dopo aver dato atto delle caratteristiche concrete del suolo che per la sua forma “a lista”, con larghezza di circa 15 metri, sarebbe stato impeditivo di un utilizzo edificatorio anche ai soli fini agricoli giusta realizzazione di manufatti, a loro volta, larghi circa 5 metri nel necessario rispetto delle distanze e dai confini, aveva poi finito per determinare l’indennità di esproprio fondando unicamente il proprio giudizio su un potenziale futuro sfruttamento edificatorio del terreno in astratto, ma sconfessato, concretamente, dalla caratteristiche del suolo.

Le limitate dimensioni dell’area e quindi le sue caratteristiche morfologiche escludevano l’edificabilità effettiva dei terreni espropriati. In siffatto contesto la Corte territoriale avrebbe dovuto quantomeno riscontrare la reale attitudine del fondo ablato ad (avvantaggiarsi di una eventuale futura diversa destinazione urbanistica, agganciando tale aspettativa al dato concreto.

6. Con il sesto motivo il ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,115,116 e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

La Corte di appello di Torino si era limitata ad affermare di condividere le conclusioni del c.t.u. così omettendo di valutare il fatto storico dell’oggettiva inadeguatezza dei terreni espropriati, di forma lunga e stretta cd. a lista, allo sfruttamento edilizio per le loro caratteristiche morfologiche, insufficienti alla realizzazione di manufatti e recependo della relazione le sue intrinseche contraddizioni, con conseguente sua nullità.

Il consulente d’ufficio aveva da una parte determinato il valore venale dei beni espropriati muovendo dall’aspettativa di un mutamento di destinazione urbanistica dei terreni in quanto sede di ampliamenti del centro abitato e tanto dopo aver accertato che per la loro forma stretta e lunga era “Improponibile la realizzazione pratica di un fabbricato rurale”.

7. Con il settimo motivo li ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32,37 e 40 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e l’omesso esame di un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La Corte di appello nell’applicare il meccanismo di stima adottato dal nominato consulente tecnico di ufficio dopo aver accertato che i terreni espropriati avevano natura agricola, ai fini comparativi ed in errata applicazione del metodo sintetico-comparativo, aveva individuato un’area, ex Ipab B.D., che, prossima ai terreni di stima, era stata acquistata dal Comune nel 2010 a 42,62 Euro al mq., precisando che l’area era inserita nel P.R.G.C. in zona destinata ad “aree per attrezzature e servizi”, per poi operare una riduzione del valore in ragione della natura agricola dei fondi.

Il metodo sintetico comparativo muove nella sua applicazione dalla natura omogenea degli immobili da stimarsi che come tali godono del carattere della rappresentatività che deve rapportarsi non solo agli elementi materiali, quali natura, ubicazione, consistenza morfologica, e temporali ma, anche e soprattutto, alla condizione giuridica urbanistica. Il terreno utilizzato dalla Corte di appello era unico e non omogeneo perchè di diversa destinazione urbanistica.

La Corte di merito non aveva considerato quali elementi di fatto decisivi per il giudizio le differenti qualità oggettive del terreno preso in comparazione ed indicate nella comparsa di costituzione e risposa, in quella conclusionale e nelle memorie di replica dell’Amministrazione convenuta.

8. Con l’ottavo motivo il ricorrente fa valere la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 327 del 2001, artt. 32,37 e 40 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Allo stesso modo l’utilizzazione da parte del consulente tecnico di ufficio e quindi della Corte di appello nell’applicazione del metodo sintetico-comparativo del solo dato della “posizione adiacente al centro città” aveva determinato che si scartassero illegittimamente, quali elementi da valutare in comparazione, tutte le ventidue compravendite dedotte come parametro di confronto dall’Amministrazione senza dare rilievo ai caratteri dell’omogeneità definita da elementi materiali e dalla condizione giuridico urbanistica.

9. Dei motivi proposti, perchè connessi, deve darsi trattazione congiunta per le ragioni di seguito indicate.

10. Deve in via preliminare tenersi fermo il principio per il quale la mancata o incompleta trascrizione nella sentenza delle conclusioni delle parti costituisce, di norma, una mera irregolarità formale, irrilevante ai fini della sua validità, che là dove poi abbia in concreto inciso sull’attività del giudice, si traduce in vizio con effetti invalidanti della sentenza stessa per omessa pronuncia sulle domande o eccezioni delle parti oppure per difetto di motivazione in ordine ai punti decisivi prospettati dalle parti (Cass. n. 18609 del 22/09/2015; id. Cass. n. 2237 del 04/02/2016).

Viene pertanto in valutazione del dedotto profilo di nullità non quello strutturale, ricalcato sui contenuti dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 3, ma quello che si accompagna all’omessa pronuncia per un divisata intesa del principio di corrispondenza tra quanto richiesto e pronunciato ex art. 112 c.p.c.

La valutazione della dedotta declinazione di nullità della sentenza impugnata è occasione per richiamare i principi affermati da questa Corte di cassazione in ordine all’oggetto del giudizio di determinazione della giusta indennità di esproprio e, infondata, essa non osta ad una piena valutazione delle censure che, più squisitamente afferenti al merito della decisione impugnata, vengono esposte nei termini di seguito indicati.

La contestazione sul criterio di stima adottato nella sentenza che definisce il giudizio di determinazione della giusta indennità di esproprio non introduce una domanda quanto, piuttosto, una argomentazione in diritto che ben può essere disattesa dal giudice del merito nella ritenuta rispondenza a disciplina di legge del criterio altrimenti osservato, sia esso, o meno, di adesione alle conclusioni disposte dalla disposta consulenza tecnica di ufficio.

Nel giudizio di determinazione della cd. giusta indennità il giudice, nel procedere alla liquidazione non è vincolato alla prospettazione di parte attrice, ma deve applicare i criteri previsti dalla legge, anche in assenza di contestazioni al riguardo che non integrano, in ogni caso, una eccezione in senso tecnico ma una mera difesa, non comportando l’allegazione di alcun fatto impeditivo, modificativo o estintivo della pretesa dedotta in giudizio, ma solo la contestazione della fondatezza in diritto della richiesta di controparte (vd., in tal senso, sull’oggetto del giudizio di stima dell’indennità in materia di esproprio, nella prospettiva della “novità” della domanda: Cass. SU 29/01/2001 n. 35; Cass. 07/02/2017 n. 3191).

11. Sulla indicata premessa, resta alla cognizione di questo Collegio la materia, di stretta valenza sostanziale, del criterio estimativo da utilizzarsi nel giudizio di determinazione della indennità di esproprio, criterio legale da individuarsi in base alla classificazione urbanistica del terreno ablato alla cui applicazione resta estraneo, in via meramente paritetica ed alternativa, il criterio della cd. edificabilità di fatto.

11.1. L’area espropriata può essere edificabile solo se, come tale, essa risulti classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici, in applicazione di un criterio di prevalenza o autosufficienza della edificabilità legale.

Una volta escluse le possibilità legali di edificazione dallo strumento urbanistico, esse non possono essere neutralizzate, o altrimenti recuperate, in ragione di una edificabilità di fatto ritenuta per la vicinanza del terreno espropriato ad aree edificatorie; nè la successiva applicazione di un criterio di moderazione volto ad ottenere per l’area non edificabile un valore inferiore a quello accertato secondo la disciplina urbanistica ed il correlato mercato immobiliare per i suoli edificatori, vale a ricondurre a legalità il criterio di stima così osservato.

La regola assoluta già enunciata dalla L. n. 359 del 1992, art. 5-bis, e definitivamente recepita dal T.U. esproprio con il D.P.R. n. 327 del 2001 agli artt. 32 e 37, è infatti quella per la quale un’area va ritenuta edificabile soltanto se, e per il solo fatto che, come tale essa risulti classificata al momento della vicenda ablativa dagli strumenti urbanistici, secondo un criterio di prevalenza o autosufficienza della edificabilità legale (Cass. 13554 del 2012, in motivazione p. 5; che richiama: Cass. 3146/2006; 3838/2004; 10570/2003; vd. anche: Cass. n. 17604 del 18/07/2013; Cass. 30/10/2013 n. 24496; Cass. n. 11261 del 31/05/2016).

All’indicato principio seguono quali necessari corollari che la cd. edificabilità “di fatto” rileva esclusivamente in via suppletiva:

a) in mancanza di strumenti urbanistici idonei ad inquadrare l’area espropriata tra quelle edificabili là dove poi detto valore è correttamente liquidato tenendo conto delle obiettive caratteristiche della zona e della possibile utilizzazione del terreno (Cass. 14/02/2012 n. 2062);

b) in via complementare ed integrativa, agli effetti della determinazione del concreto valore di mercato dell’area espropriata ove qualificata legalmente edificabile, incidente sul calcolo dell’indennizzo (da Cass. SU n. 172 del 2001; Cass. n. 13554 dei 2012, in motivazione p. 5).

Il criterio utilizzato nell’impugnata sentenza, in via complementare ai fini della quantificazione della giusta indennità di esproprio, per terreni urbanisticamente qualificati come ricadenti in “Zona agricola E”, tiene erroneamente conto di una edificabilità di fatto parametrata alla sola vicinanza dei terreni espropriati dal centro abitato, identificato nella sede del municipio del Comune di Bagnolo Piemonte.

Nè il giudizio di moderazione della stima dell’indennità di esproprio rapportata alla natura edificabile dei terreni per naturali e probabili suoi sviluppi può essere affidata ad una arbitraria riduzione in ragione della natura agricola dei terreni; l’indicato processo sortisce infatti il risultato di allontanare l’esito della stima dall’individuazione dell’effettivo valore di mercato cui si ispira l’intera disciplina dell’esproprio per le poste indennitarie che ne vengono al Privato.

11.2. E’ fondata altresì la contestazione portata in ricorso, in cui a ragioni di diritto si correlano dirimenti questioni di fatto, quanto al rilievo che nel processo di qualificazione dei terreni ablati come legalmente edificabili rinviene la loro vocazione agricola e la stretta edificabilità di servizio che a quest’ultima si correla.

Tanto vale per quei passaggi dell’impugnata sentenza che, richiamando gli omologhi contenuti della disposta consulenza tecnica, affermano la non edificabilità dei terreni agricoli per la loro peculiare struttura morfologica che, lunga e stretta o cd. a lista, nel necessario rispetto delle distanze legali dai confini delle proprietà limitrofe, non consentirebbe neppure la realizzazione di manufatti adibiti all’uso agricolo.

La contraddizione si coglie quindi là dove per quello che rimane un non composto salto logico la stima dell’indennità di esproprio viene comunque parametrata ad un’astratta edificabilità in ragione di una parziale valutazione dei luoghi che del criterio dell’edificabilità di fatto ha operato una impropria applicazione e tanto anche a fronte di una valutazione urbanistica delle aree ablate in termini di terreni agricoli, insufficienti, per le dimensioni avute, finanche ad una edificazione di servizio.

L’attuale conformazione dei terreni e la loro valutazione in forza degli strumenti urbanistici applicabili non può rientrare quale mero fattore di moderazione di una stima della indennità di esproprio altrimenti agganciata ad un’astratta edificabilità legale che non risponde ad un mero esercizio qualificatorio destinato a perdere la finalità di correlare la stima al mercato immobiliare.

11.3. Quale ulteriore passaggio si ha che sono altresì fondate le censure svolte in ricorso sul metodo sintetico-comparativo che nell’applicazione avutane nell’impugnata sentenza non vale ad attribuire alla stima dell’indennità di esproprio il carattere dell’effettività nel rispetto della previsione urbanistica.

Il metodo sintetico-comparativo infatti non è destinato a tradursi nella ricerca dei valori più favorevoli nell’ambito di terreni vicini e comunque non distanti da quello espropriato, ma deve risolversi nell’attribuire al bene da stimare il prezzo di mercato di immobili “omogenei” con riferimento non solo agli elementi materiali quali la natura, la posizione, la consistenza morfologica e simili – e temporali, ma, anche e soprattutto, alla condizione e disciplina giuridica urbanistica delle rispettive zone di appartenenza.

Quanto rileva è pertanto la circostanza che gli immobili che ne sono oggetto presentino indubbio carattere di omogeneità con quello da stimare perchè di essi possa ritenersi la rappresentatività (Cass. n. 4783 del 26/03/2012; Cass. 13554 del 2012, in motivazione p. 6; più recentemente: Cass. n. 34743 del 31/12/2019).

11.4. Conclusivamente, l’edificabilità legale è categoria che non può essere affidata ad una prognosi di eventuale incidenza di futuri strumenti rispetto al governo del territorio che per di più risulti impropriamente agganciata alla realtà fattuale attraverso il solo richiamo ai dato della vicinanza dei terreni espropriati dall’abitato di un centro urbano senza riferimento alcuno a strutture di servizio e a collegamenti logistici con lo stesso; l’esito che si vorrebbe in tal modo conseguire di una diversa classificazione urbanistico-legale dell’area ablata ai fini della quantificazione della indennità di esproprio risulterebbe del tutto estraneo all’applicazione del criterio dell’effettività.

12. Tutte le esposte ragioni determinano questo Collegio all’annullamento dell’impugnata sentenza.

13. La Corte di appello in sede di rinvio facendo applicazione del criterio legale di stima dell’area espropriata ai fini della quantificazione della indennità di esproprio, ferma la classificazione urbanistica della prima, dovrà provvedere a verificare l’edificabilità dell’area ablata all’epoca di adozione del decreto di esproprio per gli strumenti urbanistici all’epoca in vigore e per una lettura sostenuta dal criterio dell’effettività del mercato immobiliare, successivamente provvedendo a fare applicazione, ove prescelta, della stima sintetico-comparativa secondo il canone dell’omogeneità dei beni a confronto.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso nei sensi di cui in parte motiva, annulla la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Torino, in altra composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione prima civile, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2021

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