Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4227 del 21/02/2018


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Cassazione civile, sez. lav., 21/02/2018, (ud. 21/11/2017, dep.21/02/2018),  n. 4227

Fatto

RILEVATO

1. Che la Corte d’Appello in epigrafe, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, confermata nel resto, ha rigettato la domanda di P.R., rivolta a ottenere dall’Inps la riliquidazione del trattamento di fine servizio, calcolato in base all’ultima retribuzione dallo stesso percepita quale dirigente di prima fascia presso il Ministero dell’Economia e Finanza e valorizzato con il computo dell’indennità di funzione, percepito per aver svolto l’incarico di Ispettore Tributario (e successivamente di Esperto del Secit – Servizio Consulenti e Ispettori Tributari) per sette anni dal 1997 al 2004. Che, sebbene nel 2000 il P. fosse andato in quiescenza per raggiunti limiti di età, detto incarico era proseguito senza soluzione di continuità fino a naturale scadenza.

2. Che la Corte d’Appello ha ritenuto provata la circostanza che l’appellante avesse ricevuto dal Ministero nel 1997 un incarico fiduciario di durata triennale di Ispettore Tributario presso il Secit, e, dopo la cessazione del rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato col MEF, un incarico di durata quadriennale di Esperto Tributario presso il medesimo Secit. Che in tale settennio complessivo lo svolgimento dell’incarico doveva ritenersi slegato dalle sorti del rapporto d’impiego a tempo indeterminato. Che, in base alla ricostruzione della normativa sul conferimento d’incarico dirigenziale (D.P.R. n. 287 del 1992 e D.P.R. n. 107 del 2001), la clausola della sua risoluzione alla cessazione del rapporto a tempo indeterminato o comunque al compimento del sessantacinquesimo anno di età, contemplata dal precedente D.P.R. n. 10 del 1981 (art. 5), era stata definitivamente superata, il che ha portato il Giudice d’appello a far ritenere ragionevole che l’incarico, conferito in seguito all’emanazione del D.P.R. n. 287 del 1992, non fosse inciso dalla sorte del rapporto d’impiego a tempo indeterminato originario, cessato per il fisiologico raggiungimento dei limiti di età del dipendente.

3. Che la Corte territoriale ha considerato come le due vicende giuridiche (rapporto a tempo indeterminato a seguito di pubblico concorso e incarico dirigenziale a termine) viaggiassero su binari paralleli e distinti, non condividendo medesime origini ed eguali percorsi applicativi. Che pertanto, anche la corresponsione dell’indennità di fine servizio dovesse rispecchiare tale diverso regime, sicchè per gli anni di servizio alle dipendenze del Mef (1960-2000) il dipendente avrebbe percepito l’indennità di buonuscita per gli aventi diritto alla pensione Inpdap, mentre per gli anni di espletamento dell’incarico di Esperto (2000-2004) avrebbe ottenuto il TFR, stante l’avvenuta equiparazione per legge dei trattamenti di fine servizio dell’area pubblica a quelli del settore privato.

4. Che avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione P.R. con quattro motivi, illustrati da memoria, cui resiste l’Inps con tempestivo controricorso. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze rimane intimato.

Diritto

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 287 del 1992, art. 18. In virtù di tale disposizione, secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe dovuto computare il periodo d’incarico presso il Secit come anzianità di servizio a tutti gli effetti, anche dunque ai fini del ricalcolo dell’indennità di fine servizio valorizzata dal computo della cd. indennità di funzione percepita in qualità di esperto del predetto organismo.

2. Che con la seconda censura lamenta violazione dell’art. 112 c.c. per omessa pronuncia circa l’applicazione, alla fattispecie in esame, della disposizione di cui alla L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 267. Che la norma, contenuta nella Legge Finanziaria, prevedeva che al dipendente pubblico iscritto al Fondo di previdenza per il personale civile e militare dello Stato, che avesse avuto passaggi di carriera e di amministrazione senza soluzione di continuità, dovesse essere liquidata alla cessazione definitiva dal servizio un’unica indennità di buonuscita, commisurata al periodo complessivo di servizio prestato. Che la cessazione dal “servizio” di cui alla norma si era verificata secondo il ricorrente nell’anno 2004 in cui era venuto a scadenza l’incarico presso il Secit, e dunque l’indennità di fine servizio doveva essere ricalcolata comprendendovi anche quanto corrisposto per il periodo seguente alla cessazione del rapporto di pubblico impiego.

3. Che nella terza censura parte ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 12 preleggi, atteso che la Corte territoriale, considerando come riduttivo il criterio d’interpretazione letterale seguito dal Tribunale riguardo al D.P.R. n. 287 del 1992, art. 18, ne avrebbe erroneamente limitato il campo applicativo alla durata del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

4. Che nella quarta e ultima censura il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione: a) della L. n. 146 del 1980, artt. 10 e 12 come modif. dal D.Lgs. n. 361 del 1998, art. 2 e della L. n. 29 del 1993, art. 19, comma 2, del D.P.R. n. 107 del 2001, art. 22; b) della L. n. 335 del 1995, art. 1, della L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 56, e del D.P.C.M. 20 dicembre 1999 in materia di trasformazione del TFS in TFR. Che il rapporto d’impiego, proseguito senza soluzione di continuità presso la stessa amministrazione nei cui ruoli il dipendente aveva svolto servizio, avrebbe dovuto ritenersi cessato soltanto alla conclusione dell’incarico assegnato, in quanto il rapporto d’impiego, anche se formalmente concluso, avrebbe dovuto considerarsi “latente”, con la conseguenza che l’incarico presso il Secit non avrebbe potuto essere considerato quale autonomo contratto a termine, ed assoggettato al regime privatistico del TFR. Che, non avendo esercitato, il ricorrente, il diritto di opzione previsto dalla L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 56 per i dipendenti in servizio alla data del 1995, riferito alla possibilità di trasformazione del TFS in TFR, mediante destinazione alla previdenza complementare di una quota (1,5%) della aliquota contributiva relativa all’indennità di fine servizio, anche per il periodo dal 2000 al 2004 avrebbe dovuto continuare ad applicarsi il regime pubblicistico del TFS, dovendosi riconoscere che, contestualmente al collocamento a riposo, il ricorrente o fosse stato riassunto, o che, in alternativa, il rapporto d’impiego fosse proseguito – senza soluzione di continuità – presso altra struttura della amministrazione originaria, con il medesimo risultato dal punto di vista del ricalcolo dell’unica indennità di fine servizio parametrata sulla base dell’ultima retribuzione percepita comprensiva dell’indennità di funzione di cui alla L. n. 146 del 1980, art. 12.

5. Che la prima censura è infondata.

6. Che la L. n. 146 del 1980 istituiva nell’ambito dell’amministrazione finanziaria il Servizio Consultivo e Ispettivo Tributario (art. 9), a cui erano assegnati cinquanta esperti scelti tra i funzionari delle pubbliche amministrazioni con qualifica non inferiore a dirigente, tra i magistrati con qualifica non inferiore a magistrati di appello, tra soggetti non appartenenti alla pubblica amministrazione con elevate competenze specifiche ed esperienza professionale nella materia. Che quanto alla durata dell’incarico, la legge rimandava alle norme generali sulla dirigenza pubblica, le quali ne prevedevano un minimo di tre e un massimo di sette anni. Così l’incarico al Secit, come gli altri incarichi dirigenziali, riescono a mantenere una certa autonomia rispetto al rapporto di lavoro a tempo indeterminato sottostante (D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 19, comma 2 modif. dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 13).

7. Che, per gli Esperti provenienti dalle pubbliche amministrazioni, a tutela della conservazione del loro rapporto di dipendenza dall’amministrazione, la legge ne prevedeva il collocamento fuori ruolo per il tempo dell’incarico (art. 10), e, in aggiunta al trattamento base, la corresponsione di una speciale indennità di funzione non pensionabile, d’importo pari allo stipendio di dirigente generale di livello C, calcolata anche sulla tredicesima mensilità (art. 12).

8. Che, così delineata dalla legge la figura dell’Esperto tributario per le specifiche attività antievasione dell’amministrazione finanziaria, il relativo incarico si configura come un servizio di studio e di consulenza, e la sua indipendenza dall’eventuale rapporto d’impiego pubblico a tempo indeterminato è dimostrata dalla possibilità di estensione anche ad altre categorie, quali magistrati ed esterni alla pubblica amministrazione.

9. Che la Corte territoriale, ricostruendo in modo puntuale sia la disciplina riguardante l’incarico speciale conferito al ricorrente, sia l’incidenza dello stesso sul rapporto d’impiego pubblico negli anni immediatamente precedenti al collocamento in quiescenza (1997-2000), ha escluso, diversamente dal Giudice di prime cure, che la regola sancita dalla L. n. 146 del 1980, art. 10 e confermata dal D.P.R. n. 287 del 1992, art. 18 secondo cui “…il periodo d’incarico è previsto come anzianità di servizio a tutti gli effetti”, potesse applicarsi anche agli anni successivi alla cessazione del rapporto d’impiego a tempo indeterminato, atteso che l’anzianità di servizio non possiede il potere di maturare oltre il periodo di durata dell’originario rapporto con la pubblica amministrazione.

10. Che anche la seconda censura è infondata.

11. Che il mancato richiamo alla Legge Finanziaria n. 662 del 1996 da parte della pronuncia gravata, non può certo essere addotto a fondamento di un vizio di difformità tra il chiesto e pronunciato; che il richiamo appare più che altro un artificio argomentativo per ridare centralità alla tesi difensiva del ricorrente sull’unicità del rapporto di lavoro fino alla scadenza dell’incarico al Secit nel 2004; che pertanto, neanche la seconda censura aggredisce la ratio decidendi, la quale ha affermato che, mentre il rapporto d’impiego pubblico è cessato alla sua naturale scadenza nel 2000, il solo incarico è proseguito fino al 2004, completamente emancipato dagli esiti (e dalla disciplina normativa) della fase nella quale era sorretto dalla sussistenza del rapporto d’impiego a tempo indeterminato, sia pure temporaneamente inoperante per l’immissione fuori ruolo del dipendente incaricato.

12. Che la terza e la quarta censura, esaminate congiuntamente, sono parimenti infondate.

13. Che, al fine di corroborare la posizione del ricorrente, le censure fanno appello alla riforma del sistema previdenziale dell’area pubblica e alla sua omogeneizzazione con l’area privata. Che in particolare, nella riforma introdotta dalla L. n. 335 del 1995, il T.F.R., esteso ai dipendenti contrattualizzati (artt. 2, commi 2 e ss.) viene attratto dal sistema previdenziale tramite l’opzione volontaria del versamento di una quota della predetta indennità nei fondi di previdenza complementare. Che ii fatto che parte ricorrente deduca che il non aver esercitato tale opzione possa aver giustificato la maturazione della sua unitaria indennità di fine servizio col regime pubblicistico dell’indennità di buonuscita è una conclusione priva di pregio.

14. Che la ricostruzione effettuata dalla Corte d’appello, riguardo alla circostanza che, con l’estinzione del rapporto d’impiego, la prosecuzione dell’incarico di expertise fino alla scadenza – del cui svolgimento il P. era nella pienezza del diritto – dovesse rientrare nella disciplina privatistica del TFR, appare correttamente formulata. Che la circostanza per la quale, per la prima parte dell’incarico (1997-2000) il ricorrente avesse percepito il TFS, dipendeva non già dall’asserita ultrattività di un istituto di matrice pubblicistica (D.P.R. n. 1032 del 1973, artt. 3 e 38), sostituito dal TFR per gli assunti nella p. a. a partire dal 1/01/1996, ma dal fatto che la legge che sanciva tale trasformazione si fosse resa garante della gradualità del passaggio, affidandone l’individuazione delle specifiche modalità a successivi accordi sindacali (L. n. 449 del 1997, art. 59, comma 56); che, pertanto, all’epoca cui si riferisce la controversa vicenda, la riforma del trattamento di fine rapporto non era stata portata ancora a compimento presso le amministrazioni statali, essendo stata la sua attuazione resa possibile solo in seguito alla stipulazione dell’accordo – quadro tra Aran e organizzazioni sindacali del 29/7/1999, con cui erano giunte finalmente a definizione le modalità attuative per la realizzazione di tale trasformazione.

15. Che la decisione gravata si rivela altresì aderente alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, che, pronunciandosi su vari casi di ricostruzione dei trattamenti di fine rapporto, nella transizione dal regime pubblicistico dell’indennità di buonuscita a quello privatistico del TFR, per esigenze di armonizzazione dei due sistemi, afferma la possibilità di compresenza dei due diversi regimi riferiti ai distinti periodi di spettanza dei trattamenti di fine rapporto, precisando che l’estensione ai pubblici dipendenti dell’indennità di cui all’art. 2120 c.c., di natura retributiva ma con funzione previdenziale, conserva quale tratto essenziale “..l’insensibilità rispetto all’ultima retribuzione, dovendo essere calcolata sulla base degli accantonamenti annuali dei corrispettivi effettivamente ricevuti” (Così Cass. n.17987/2009; cfr. anche Cass. n.4906/2010). Che pertanto, è corretta la soluzione adottata dalla Corte d’appello, secondo cui è infondata la domanda di valorizzazione della cd. indennità di funzione nel t.f.r., in quanto basata sull’erroneo presupposto della possibilità di ricongiungimento dei due periodi di servizio ante e post quiescenza dal rapporto d’impiego a tempo indeterminato in un unico trattamento di fine servizio erroneamente individuato nella sola indennità di buonuscita di matrice pubblicistica.

16. Che pertanto, essendo le censure infondate, il ricorso è rigettato. Che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza nei confronti dell’Inps. Nulla spese nei confronti dell’intimato Ministero dell’Economia e delle Finanze, in difetto di attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento nei confronti dell’Inps delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4000 per competenze professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 e agli accessori di legge. Nulla spese nei confronti del Ministero dell’Economia e Finanze.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 21 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2018

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