Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4225 del 09/02/2022

Cassazione civile sez. II, 09/02/2022, (ud. 24/01/2022, dep. 09/02/2022), n.4225

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 6403/2017 R.G. proposto da:

MG METAL S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’avv. Stefano Chiariglione, con domicilio

eletto in Roma, Via Gallonio n. 18, presso l’avv. Marcello Frediani.

– ricorrente –

contro

ITT ITALIA S.R.L., in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dagli avv.ti Riccardo Montanaro e Guido

Francesco Romanelli, con domicilio in Roma, via Cosseria n. 5.

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 1607/2016,

depositata in data 14.9.2016.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno

24.1.2022 dal Consigliere Giuseppe Fortunato.

 

Fatto

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1. La ITT Italia s.r.l. ha proposto opposizione dinanzi al tribunale di Pinerolo avverso il decreto ingiuntivo n. 283/2011, ottenuto dalla MG Metal s.r.l. a titolo di corrispettivo per l’effettuazione del servizio di recupero e smaltimento rifiuti, eccependo che la società creditrice si era resa inadempiente, poiché parte dei quantitativi per i quali era stato chiesto il compenso era stata abbandonata in due siti abusivi (Racconigi e Quart), come accertato dalla Procura della Repubblica di Aosta e di Saluzzo. Ha contestato la decorrenza degli interessi sul credito, chiedendo di revocare l’ingiunzione e di respingere la domanda di pagamento.

Si è costituita l’opposta, esponendo che tutti i rifiuti illegittimamente stoccati erano stati poi smaltiti a carico della stessa MG Metal e che, con la consegna della quarta copia del formulario rifiuti, la ITT era stata sollevata da qualsivoglia responsabilità, tanto che solo l’amministratore dell’opposta era stato sottoposto a procedimento penale.

Il tribunale ha accolto l’opposizione, condannando la ITT s.r.l. al pagamento della minor somma di Euro 28.374,69.

La pronuncia è stata parzialmente riformata in appello.

La Corte torinese, richiamata la disciplina in tema di smaltimento dei rifiuti, ha escluso che il rilascio della quarta copia del formulario fosse sufficiente a sollevare la M.G. Metal da responsabilità, osservando che risultavano irregolarmente smaltiti non solo i quantitativi di rifiuti rinvenuti presso i siti abusivi, oggetto delle prime indagini penali, ma anche ulteriori quantitativi rinvenuti in stato di abbandono presso la sede operativa dell’opposta, ubicata in (OMISSIS). Il rapporto informativo della Guardia forestale del 3.6.2010 aveva attestato l’uscita dall’area aziendale senza documenti giustificativi di almeno altri 300-400 big bags di materiale, sicuramente riconducibili alla ditta Mg Metal nonché “l’estremo ed oggettivo degrado dell’area industriale gestita”.

Secondo la pronuncia, le parti avevano intrattenuto un rapporto sostanzialmente unitario relativo al servizio di smaltimento dei rifiuti industriali, onnicomprensivo e caratterizzato da continuità e predeterminazione delle singole prestazioni, per modo che la prova dell’inadempimento anche solo di una parte di esse consentiva alla committente ITT Italia S.r.l. ai sensi dell’art. 1460 c.c. di eccepire la non debenza della controprestazione “riguardo e a motivo non già dell’irregolare effettuazione dei singoli traporti, bensì della irregolarità dello smaltimento dei residui industriali nel suo complesso”.

La cassazione della sentenza è chiesta da M.G. Metal con ricorso in 3 motivi.

La ITT Italia resiste con controricorso e con memoria illustrativa.

2. Deve respingersi l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata in memoria: l’impugnazione contiene una compiuta esposizione delle vicende di causa e dei fatti rilevanti, con individuazione delle questioni in diritto e delle censure mosse alla sentenza di appello, rispondendo ai requisiti prescritti dall’art. 366 c.p.c. e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4.

3. Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 1460 c.c. ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sostenendo che la ricorrente era stata incaricata dello smaltimento di circa 1300 tonnellate di rifiuti non pericolosi e che il servizio era stato effettuato in modo irregolare per una percentuale del totale di appena il 4% dell’intero quantitativo, non essendo possibile rifiutare il pagamento per tutte le prestazioni, non configurandosi neppure un unico rapporto contrattuale ad esecuzione continuativa. Peraltro la ITT, non solo non era stata sottoposta a procedimento penale per l’irregolare smaltimento, ma non aveva subito alcun pregiudizio, dato che i rifiuti erano stati comunque condotti in discarica a spese della ricorrente.

Il motivo è infondato.

Costituisce statuizione in fatto, non superata dalle generiche contestazioni sollevate in ricorso, che le parti non avevano concluso una pluralità di appalti distinti, ciascuno relativo allo smaltimento e al trasporto delle singole quantità di rifiuti, ma un contratto unico a carattere continuativo, con predeterminazione delle singole prestazioni e per un corrispettivo unitario, a sua volta predeterminato (cfr. sentenza, pag. 8).

L’ingiunzione di pagamento si riferiva al pagamento del servizio di smaltimento di circa 1300 tonnellate di rifiuti, eseguiti in tempi diversi, per i quali la ITT aveva già versato un acconto di Euro 51.685,18.

Deve perciò considerarsi che il contratto di appalto, anche nei casi in cui la sua esecuzione si protragga nel tempo, non può – in genere considerarsi ad esecuzione continuata o periodica e, pertanto, non si sottrae alla regola generale, dettata dall’art. 1458 c.c., della piena retroattività di tutti gli effetti della risoluzione, anche in ordine alle prestazioni già eseguite (Cass. 3455/2015; Cass. 6181/2011; Cass. 8247/2009).

A tale regola sfuggono gli appalti di servizi e quelli aventi ad oggetto attività di manutenzione periodica, che, per il loro carattere di durata, impediscono la ripetibilità delle prestazioni già eseguite (Cass. 27640/2018; Cass. 15705/2013; Cass. 4818/1977), salvo il risarcimento del danno per quelle non eseguite.

In tali rapporti, quale quello in esame, l’esecuzione ha luogo per coppie di prestazioni da eseguirsi contestualmente e con funzione corrispettiva, per cui rispetto alle reciproche prestazioni eseguite il rapporto deve intendersi esaurito senza alcun effetto restitutorio (in caso di risoluzione): l’esecuzione di queste prestazioni attua, progressivamente, l’equilibrio contrattuale senza che si renda necessaria alcuna restituzione (Cass. 10383/ 1998; Cass. 7169/1995; in motivazione, Cass. 7165/1999).

Data la struttura del rapporto e le modalità della sua esecuzione, ciascuna prestazione già eseguita costituisce un adempimento integrale e completo, cui deve conseguire una controprestazione corrispondente, senza possibilità di sollevare un’eccezione di inadempimento con riferimento all’intera esecuzione del contratto. Qualora la prestazione sia economicamente scindibile, l’eccezione “inadimplenti non est adimplendum” è in grado di paralizzare la richiesta della controprestazione relativa alla parte della prestazione non eseguita, ma non già quella relativa alla parte di prestazione eseguita, che non sia stata restituita né offerta in restituzione e che anzi sia stata utilizzata o regolarmente effettuata.

Detta eccezione può essere utilmente fatta valere solo allorché attenga temporalmente e logicamente alla prestazione di riferimento, rispetto alla controprestazione richiesta all’eccipiente (cfr. Cass. 7550/2012), ma sempre con esclusione dei casi in cui anche le prestazioni eseguite non abbiano soddisfatto le ragioni del creditore o non siano conformi al contratto, situazione in cui la parte può comunque rifiutare il pagamento a fronte di un’irregolare esecuzione del rapporto (Cass. 10383/1998; Cass. 2753/1989; Cass. 7169/1995; Cass. 1566/1971; Cass. 2632/1966).

2.1. Ciò posto, correttamente la Corte di merito ha negato in toto il diritto al compenso, essendosi palesata una situazione di complessiva irregolarità del servizio che legittimava la proposizione, da parte del committente, dell’eccezione di inadempimento volta a paralizzare l’intera pretesa azionata in via monitoria.

Costituisce circostanza di fatto la cui sussistenza è accertata per vera dalla Corte di appello, che le irregolarità nell’effettuazione del servizio di trasporto e smaltimento avevano riguardato non i soli quantitativi abbandonati presso due siti abusivi, ma anche ulteriori quantitativi rivenuti presso la sede operativa di (OMISSIS) della Mg Metal in stato di abbandono e per i quali non era stata possibile determinare l’esatta entità o il numero di colli di rifiuti di provenienza ITT, che, secondo la stessa difesa della M.G. Metal, erano presenti “in quantitativo superiore a quello di legge”.

In tale situazione, competeva alla ricorrente l’onere di produrre le certificazioni attestanti l’avvenuto smaltimento dei rifiuti e l’esatto adempimento rispetto alle prestazioni cui si riferiva la domanda di pagamento.

Difatti, come ha spiegato la sentenza, affinché maturasse il diritto al compenso non era sufficiente il semplice trasporto e lo smaltimento dei materiali, comunque effettuato, né l’assolvimento di adempimenti di carattere puramente amministrativo (la consegna della quarta copia del formulario D.Lgs. n. 152 del 2006, ex art. 193 che documentava il passaggio dei rifiuti dal produttore al destinatario), quanto la prova che l’appaltatore avesse efficacemente adempiuto la prestazione in conformità con le previsioni normative poste a tutela dell’ambiente, integrative degli accordi intercorsi, situazione che poteva dipendere solo dalla produzione dei certificati attestanti l’effettuazione del servizio, rilasciati dagli impianti ove lo smaltimento era avvenuto nel rispetto degli obblighi di legge.

Le contrarie deduzioni delle ricorrenti, circa l’irregolare smaltimento di appena il 4% del quantitativo complessivo, appaiono motivatamente – pertanto- disattese dalla Corte distrettuale sia sulla scorta del ben maggiore quantitativo di materiali irregolarmente trattato, sia in base alla necessità che, per tutte le prestazioni cui si riferiva la richiesta di pagamento, occorreva opportunamente documentare l’effettuazione del servizio in conformità della normativa di settore, rispondendo pienamente alle aspettative del committente.

4. Il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 1458 c.c.., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la pronuncia omesso di disporre – una volta pronunciata la risoluzione – l’integrale restituzione del corrispettivo delle prestazioni regolarmente eseguite, non essendo possibile eseguire la restituzione in natura.

Il motivo è inammissibile, trascurando come, secondo la Corte di merito, non vi fosse alcuna prova della corretta esecuzione dell’appalto, neppure limitatamente alle prestazioni diverse da quelle oggetto delle prime indagini penali, non avendo l’opposta prodotto le certificazioni dei siti comprovanti la regolarità dello smaltimento. Per altro verso, eventuali effetti restitutori potevano scaturire esclusivamente da una statuizione di risoluzione del contratto, che, nella specie, non risulta adottata (avendo la Corte di merito accolto una mera eccezione di inadempimento), né risulta che – peraltro la restituzione sia stata oggetto di un’apposita domanda della ricorrente, non potendo esser disposta d’ufficio (Cass. 10917/2021; Cass. 2075/2013).

5. Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per aver la sentenza trascurato che l’ultima fattura era stata emessa nell’aprile 2010, i lavori di smaltimento erano stati completati nel marzo 2011 e l’opposizione era stata proposta nel luglio 2011, sicché l’inadempimento era stato eccepito a prestazioni già eseguite e senza che la resistente avesse subito alcun pregiudizio, dato che l’integrale smaltimento dei quantitativi era stato effettuato successivamente e che nessuna conseguenza penale era stata addebitata alla ITT, che aveva anche ottenuto una provvisionale di Euro 10.000, conseguendo un ingiustificato arricchimento.

Il motivo è inammissibile, presupponendo che l’esecuzione del contratto fosse stata regolare, circostanza che la Corte di merito ha escluso con giudizio in fatto logicamente motivato, mancando la prova dello smaltimento dei rifiuti in conformità con le previsioni normative poste a tutela dell’ambiente, integrative del contratto.

Il fatto che la resistente non avesse subito alcun pregiudizio dall’irregolare adempimento del contratto non rendeva di per sé esigibile il prezzo (art. 1460 c.c.), potendo rilevare solo a fini risa rcitori.

Il ricorso è respinto, con aggravio di spese secondo soccombenza.

Si dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, pari ad Euro 200,00 per esborsi, ed Euro 5300,00 per compensi, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali, in misura del 15%.

Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile, il 24 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022

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