Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4222 del 21/02/2011

Cassazione civile sez. II, 21/02/2011, (ud. 03/12/2010, dep. 21/02/2011), n.4222

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

D.C.F., titolare della ditta Free Time Tour,

rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al

ricorso, dall’Avv. ABBATE Filiberto, elettivamente domiciliato in

Roma, Largo Ignazio Jacometti, n. 4, presso lo studio dell’Avv.

Claudio Ciarrocchi;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore;

– intimato –

avverso l’ordinanza del Giudice di pace di Roma in data 27 maggio

2006.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3

dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che il Giudice di pace di Roma, con ordinanza emessa il 27 maggio 2006, ha dichiarato inammissibile, per tardività, l’opposizione proposta da D.C.F., titolare della ditta Free Time Tour, avverso il verbale di accertamento della violazione del codice della strada elevato in data 8 febbraio 2006 dalla Polizia municipale di Roma;

che per la cassazione di tale ordinanza il D.C. ha proposto ricorso, con atto notificato al Comune di Roma in data 27 dicembre 2006, sulla base di un motivo;

che l’intimato non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Rilevato che il consigliere designato ha depositato, in data 21 aprile 2010, la proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., nel senso della inammissibilità del ricorso per mancanza del quesito di diritto.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione di cui sopra, alla quale non sono stati mossi rilievi critici;

che questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis cod. proc. civ. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640);

che per questo – la funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità travalicando la risoluzione della singola controversia – il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità: donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si concluda con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai criteri informatori della norma;

che il quesito di diritto non può essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno della censura, ma deve essere esplicitamente formulato, diversamente pervenendosi ad una sostanziale abrogazione della norma (Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9153);

che l’unico motivo, denunciante vizio di violazione di legge, non si conclude con un quesito che individui tanto il principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, il principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata applicazione ad opera della Corte medesima possa condurre ad una decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata;

che lo stesso motivo, là dove prospetta il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, è a sua volta inammissibile, perchè non è stato osservato l’onere, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., del quesito di sintesi;

che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid, pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass., Sez. 3^, 7 aprile 2008, n. 8897; Cass., Sez. 1^, 8 gennaio 2009, n. 189; Cass., Sez. 1^, 23 gennaio 2009, n. 1741);

che, in altri termini, il prescritto quesito di sintesi deve sostanziarsi in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenere questo requisito rispettato quando, come nella specie, solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli – all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis cod. proc. civ. – che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, nonchè le ragioni per cui la motivazione è inidonea a sorreggere la decisione;

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, non avendo l’intimato svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2011

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