Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4222 del 17/02/2021

Cassazione civile sez. I, 17/02/2021, (ud. 18/01/2021, dep. 17/02/2021), n.4222

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 12121/2019 proposto da:

C.R., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Bosio Davide, giusta procura speciale in calce al

ricorso autenticata dal Vice Console d’Italia L.M. di

(OMISSIS) il 25.3.2019;

– ricorrente –

contro

C.G.E., minore in persona della curatrice speciale

avvocato T.M., domiciliata in Roma, Piazza Cavour,

presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione,

rappresentata e difesa da sè medesima;

– controricorrente –

contro

I.V., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avvocato Accatino Beppe Carlo, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

contro

Ministero della Giustizia, – Autorità Centrali Dipartimento di

Giustizia Minorile e di Comunità, Pubblico Ministero della Procura

della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Torino;

– intimati –

avverso il decreto n. 37/2019 del TRIBUNALE PER I MINORENNI del

Piemonte e Valle d’Aosta, depositato il 06/03/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/01/2021 dal cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale per i minorenni del Piemonte e Valle d’Aosta, con decreto n. 37/2019 depositato il 6/3/2019, ha respinto la richiesta di C.R., presentata il 2/10/2018 all’Autorità Centrale spagnola ed oggetto del ricorso del PM, L. n. 64 del 1994, ex art. 7, comma 2, del dicembre 2018, di restituzione, ai sensi della Convenzione dell’Aja 25/10/1980 e del Regolamento CE 2201/2003, della figlia C.G.E., nata ad (OMISSIS) (luogo anche di residenza della medesima), il (OMISSIS), dall’unione con I.V., che sarebbe stata illegittimamente sottratta al padre, co-affidatario secondo la legge spagnola, e trattenuta in Italia dalla madre, presso il di lei fratello, in (OMISSIS).

In particolare, il Tribunale, dopo audizione delle parti, dando atto del rigetto di analoga richiesta pregressa del padre, con decreto del settembre 2018 (essendosi ritenuto che non vi fosse stato un trasferimento del minore non concordato tra i genitori, venuti insieme in Italia, e che il trattenimento in Italia della minore fosse stato sostanzialmente impedito, ancor prima che dalla volontà della madre, dalla circostanza “che il padre, rientrato in Spagna da solo, aveva indebitamente trattenuto i documenti necessari alla minore per fare ritorno ad (OMISSIS)”), e che il padre aveva successivamente consegnato i documenti necessari al rientro alla madre, ha rilevato la sussistenza di condizioni ostative all’accoglimento dell’istanza, ai sensi dell’art. 13, comma 1, lett. b) della Convenzione dell’Aja, in quanto contraria all’interesse del minore, considerato che la madre, I.V., non risulta avere ad (OMISSIS) un lavoro ed un’abitazione, mentre la stessa, in Italia, ha legami famigliari ed un lavoro, e che persino il Tribunale spagnolo, in data 18/12/2018, ha disposto la collocazione della bambina in Italia presso la madre, dando atto del fatto che “la bambina molto piccola è abitata a vivere con la madre da molti mesi”.

Avverso la suddetta pronuncia, C.R. propone ricorso per cassazione, notificato a mezzo PEC tra il 9/4/2019 e l’11/4/2019, affidato a tre motivi, nei confronti di I.V. e dell’Avv. T.M., in qualità di Curatrice speciale della minore C.G.E. (che resistono con separati controricorsi), e del Pubblico Ministero della Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Torino e del Ministero della Giustizia, Autorità Centrali, Dipartimento Giustizia minorile e di Comunità (che non svolgono difese). Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 3 della Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dei minori dell’Aja del 25/10/1980, avendo il Tribunale basato il giudizio non sull’effettivo interesse del minore ma sull’interesse della madre, che aveva volontariamente abbandonato la residenza ed il lavoro in Spagna; 2) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 13, comma 1, lett. b), della Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori dell’Aja del 25/10/1980, non essendosi il Tribunale dato carico di verificare la sussistenza di un fondato rischio per il minore in caso di suo rientro in Spagna; 3) con il terzo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 13, u.c., della Convenzione sugli aspetti civili della sottrazione internazionale dii minori dell’Aja del 25/10/198, non avendo il Tribunale tenuto conto delle informazioni fornite dall’Autorità centrale o da ogni Autorità competente dello Stato di residenza della minore.

In particolare, si lamenta che il Tribunale abbia dato rilievo ad un provvedimento adottato dal Tribunale spagnolo, nel dicembre 2018-gennaio 2019, al fine semplicemente di regolamentare il diritto dei genitori all’affidamento e visita della minore, in conseguenza della situazione nata dall'”illecito” trasferimento e trattenimento in Italia della bambina posto in essere dalla madre, come già dalla stessa autorità spagnola (il Tribunale di primo grado n. 2 di (OMISSIS)) accertato nella precedente decisione dell’11/9/2018, con la quale era stato ordinato alla I. di ricondurre la minore nel luogo di residenza abituale in (OMISSIS).

2. Le controricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso sia per difetto di procura speciale alle liti, nella specie rilasciata, il 25/3/2019, secondo il combinato disposto dell’art. 83 c.p.c. e del D.Lgs. n. 7 del 2011, art. 28 (con autentica della firma da parte del Vice Console d’Italia, di (OMISSIS)) e depositata unitamente al ricorso ma non allegata alla notifica telematica del ricorso, sia per mancanza dell’attestazione di conformità dell’atto notificato. Nella memoria, il ricorrente ha replicato che la procura alle liti, in quanto conferita a mezzo autentica del Vice Console italiano ad (OMISSIS) (Spagna), forma parificata a quella conferita a mezzo autentica di Notaio in Italia, non doveva essere allegata alla PEC, come non era necessario allegarla al ricorso per cassazione analogico, dovendo il D.M. n. 44 del 2011, art. 18 essere inteso come riferito alla sola procura rilasciata ai sensi dell’art. 83 c.p.c., comma 3, e non del comma 2.

3. Le eccezioni sollevate dalle parti controricorrenti sono infondate.

3.1. La procura alle liti nel procedimento in cassazione, come nel caso di specie, è stata originariamente rilasciata in formato cartaceo e risulta materialmente unita al ricorso ai sensi dell’art. 83 c.p.c., comma 3.

Le controricorrenti eccepiscono che, in sede di notifica via PEC del ricorso per cassazione, la procura speciale alle liti (nella specie con firma autenticata in Spagna da Autorità consolare) non sia stata trasmessa (neppure con atto successivo in copia informatica, con attestazione di conformità).

Ora, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione non occorre che la procura sia integralmente trascritta nella copia notificata all’altra parte, essendo sufficiente che si possa pervenire – mediante esame dell’originale depositato in cancelleria- alla certezza che il mandato sia stato conferito prima della notificazione dell’atto; le disposizioni di cui al D.M. n. 44 del 2011, art. 18, comma 5, sono dirette solo a stabilire quando la procura, che sia stata rilasciata su un documento nativo informatico ovvero nativo analogico, si debba considerare apposta in calce all’atto telematico cui si riferisce (cfr. Cass. 15200/2018).

3.2. Il ricorso del C., come anche ribadito in memoria, è stato redatto in originale telematico e sottoscritto digitalmente, per essere poi, come tale, notificato a mezzo p.e.c.. Ciò risulta non solo dalla copia stampata del messaggio di p.e.c. depositato che indica come gli atti allegati (ricorso e relata di notifica) siano file con estensione “.p7m.” e, dunque, sottoscritti con firma digitale ma dalla stessa attestazione di conformità del difensore della copia cartacea, ove si specifica che il ricorso per cassazione è stato sottoscritto digitalmente.

Ora, come anche chiarito di recente dalle Sezioni Unite, Cass. n. 22438/2018, il processo telematico non è stato esteso al giudizio di cassazione, per cui il ricorso per cassazione può essere depositato nella cancelleria della Corte esclusivamente in modalità analogica (cartacea), sebbene ciò non escluda che il ricorrente possa notificare il ricorso (nativo analogico o nativo digitale; nella specie, trattasi di questa seconda ipotesi) con modalità telematiche, e quindi “ove il ricorso predisposto in originale digitale e sottoscritto con firma digitale sia notificato in via telematica, ai fini della prova della tempestività della notificazione del ricorso, è onere del contro ricorrente disconoscere, ai sensi della disciplina di cui al D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 23, comma 2, la conformità agli originali dei messaggi di PEC e della relata di notificazione depositati in copia analogica non autenticata dal ricorrente”.

Nella specie, risulta in atti (depositata prima dell’adunanza camerale; cfr. Cass. 19078/2018, secondo cui tale la produzione, rilevando sul piano dell’ammissibilità del ricorso, può intervenire ai sensi dell’art. 372 c.p.c. fino all’udienza di discussione ex art. 379 c.p.c. ovvero fino all’adunanza in camera di consiglio ex art. 380 bis c.p.c.) l’asseverazione di conformità all’originale (L. n. 53 del 1994, ex art. 9) della copia analogica del ricorso per cassazione.

4. Tanto premesso, le censure, da trattare unitariamente, sono inammissibili.

La disciplina sulla sottrazione internazionale, di cui alla Convenzione dell’Ala del 1980, resa esecutiva in Italia nel 1994, mira a tutelare il minore contro gli effetti nocivi del suo illecito trasferimento o mancato rientro nel luogo ove egli svolge la sua abituale vita quotidiana, sul presupposto della tutela del superiore interesse dello stesso alla conservazione delle relazioni interpersonali che fanno parte del suo mondo e costituiscono la sua identità (Corte Cost. 231/2001).

L’art. 12 della Convenzione prescrive: “Qualora un minore sia stato illecitamente trasferito o trattenuto ai sensi dell’art. 3, e sia trascorso un periodo inferiore ad un anno, a decorrere dal trasferimento o dal mancato ritorno del minore, fino alla presentazione dell’istanza presso l’Autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato contraente dove si trova il minore, l’autorità adita ordina il suo ritorno immediato. L’Autorità giudiziaria o amministrativa, benchè adita dopo la scadenza del periodo di un anno di cui al capoverso precedente, deve ordinare il ritorno del minore, a meno che non sia dimostrato che il minore si è integrato nel suo nuovo ambiente…”. L’art. 13 stabilisce poi che l’Autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto non sia tenuta ad ordinare il ritorno del minore “qualora la persona, istituzione o ente che si oppone al ritorno, dimostri: a) che la persona, l’istituzione o l’ente cui era affidato il minore non esercitava effettivamente il diritto di affidamento al momento del trasferimento o del mancato rientro, o aveva consentito, anche successivamente, al trasferimento o al mancato ritorno; o 6) che sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, ai pericoli fisici e psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile”. L’Autorità giudiziaria o amministrativa può altresì, sempre secondo l’art. 13, rifiutarsi di ordinare il ritorno del minore qualora essa accerti “che il minore si oppone al ritorno, e che ha raggiunto un’età ed un grado di maturità tali che sia opportuno tener conto del suo parere”.

Con riguardo specifico all’individuazione del concetto di “residenza abituale” recepito dalla convenzione dell’Aja e dal Regolamento UE 2003, esso non coincide, peraltro, con quello di “domicilio”, quale sede principale degli affari ed interessi di una persona, accolto dal codice civile (art. 43 c.c., comma 1), dovendo intendersi, invero, il luogo in cui il minorenne, grazie anche ad una durevole e stabile permanenza ancorchè di fatto, trova e riconosce il baricentro dei suoi legami affettivi, non solo parentali, originati dallo svolgersi della sua quotidiana vita di relazione, non rivestendo alcuna importanza invece – nel giudizio di accertamento della “residenza abituale”, finalizzato all’adozione del provvedimento d’urgenza in questione – “l’alibi di presunte radici culturali, la profondità e significatività del legare affettivo con l’adulto autore della sottrazione o l’avvenuto inserimento scolastico nella città di residenza di quest’ultimo”. Fattori idonei a dimostrare che la presenza fisica di un soggetto in uno Stato non sia in alcun modo temporanea o occasionale e che la residenza del soggetto denoti una certa integrazione in un ambiente sociale e familiare, con riferimento ai minori, sono in particolare la durata, la regolarità, le condizioni e le ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro e del trasloco della famiglia in tale Stato, la cittadinanza del minore, il luogo e le condizioni della frequenza scolastica, le conoscenze linguistiche nonchè le relazioni familiari e sociali del minore nel detto Stato.

Una volta accertato, in capo al genitore richiedente il rimpatrio, l’effettivo esercizio del diritto di affidamento al momento del trasferimento nonchè il luogo costituente residenza abituale del minore, costituiscono pertanto condizioni ostative al rientro il fondato rischio del minore di essere sottoposto a pericoli fisici o psichici o, comunque, di trovarsi in una situazione intollerabile (art. 13, comma 1, lett. b). Altro elemento che il Tribunale dovrà imprescindibilmente valutare è la volontà del minore, quando abbia raggiunto un’età ed un grado di maturazione tali da giustificare il rispetto della sua opinione (Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2017, n. 3319; Cass. civ., sez. I., 26 settembre 2016, n. 18846; Cass. civ., sez. I, 5 marzo 2014, n. 5237).

Quando l’episodio di sottrazione internazionale rimanga circoscritto al territorio dell’Unione Europea, troverà applicazione il procedimento per il rientro del minore previsto dalla convenzione dell’Aja del 1980, integrato dalle disposizioni del successivo reg. n. 2001/2003, che prevale sulla convenzione nelle relazioni tra Stati membri dell’Ue. Va richiamata altresì la convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996, sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l’esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, ratificata dal nostro Paese solo di recente, con la L. 18 giugno 2015, n. 101 ed entrata in vigore il 10 gennaio 2016, che, nell’ambito della più ampia materia della responsabilità genitoriale, contiene alcune disposizioni di rilevanza processuale che riguardano la sottrazione internazionale dei minori.

Nella specie, la sottrazione internazionale ha riguardato minore residente stabilmente dalla nascita (nel (OMISSIS)), ove la famiglia viveva, ad (OMISSIS), in Spagna, all’interno dell’UE quindi.

Questa Corte sin dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 9501 del 1998 ha chiarito che “in tema di illecita sottrazione internazionale di minori, l’art. 13, lett. b), della Convenzione dell’Aja non consente al giudice cui sia richiesto di emettere provvedimento di rientro nello Stato di residenza del minore illecitamente trattenuto da un genitore, di valutare inconvenienti connessi al prospettato rientro, che non raggiungano il grado del pericolo fisico o psichico o della effettiva intollerabilità da parte del minore, essendo questi, e solo questi, gli elementi considerati dalla predetta Convenzione rilevanti ed ostativi al rientro” (nella specie, si è ritenuto irrilevante, ai fini della decisione sul rientro di due minori, affidati provvisoriamente alla madre e residenti in Gran Bretagna, condotti in Italia dal padre per una vacanza e non riconsegnati alla scadenza stabilita alla madre, il lunghissimo periodo di tempo trascorso in Italia ed il loro stabile inserimento nell’ambiente del genitore). Il principio è stato successivamente ribadito (Cass. 2474/2004; Cass. 14792/2014; Cass. 2417/2016).

Sempre questa Corte ha precisato (Cass. 8000/2004; Cass. 5236/2007; Cass. 20365/2011) che il giudizio sulla domanda di rimpatrio non investe il merito della controversia relativa alla migliore sistemazione possibile del minore, cosicchè tale domanda “può essere respinta, nel superiore interesse del minore, solo in presenza di una delle circostanze ostative indicate dagli artt. 12, 13 e 20 della Convenzione, fra le quali non è compresa alcuna controindicazione di carattere comparativo che non assurga – nella valutazione di esclusiva competenza del giudice di merito – al rango di vero e proprio rischio, derivante dal rientro, di esposizione a pericoli fisici e psichici o ad una situazione intollerabile”. Il giudice, nella sostanza, deve attenersi ad un criterio di rigorosa interpretazione della portata della condizione ostativa al rientro, sicchè egli non può dar peso al mero trauma psicologico o alla semplice sofferenza morale per il distacco dal genitore autore della sottrazione abusiva, a meno che tali inconvenienti non raggiungano il grado – richiesto dalla citata norma convenzionale – del pericolo psichico o della effettiva intollerabilità da parte del minore (Cass. 6081/2006).

L’accertamento sulla sussistenza delle uniche condizioni ritenute rilevanti ed ostative al rientro dall’art. 13, lett. b), della Convenzione dell’Aja del 1980 (vale a dire il grado del pericolo fisico o psichico o della effettiva intollerabilità) costituisce indagine di fatto sottratta al controllo di legittimità, esigendo la valutazione di elementi probatori, se la ponderazione del giudice di merito è sorretta da una motivazione immune da vizi logici e giuridici.

Nella specie, il Tribunale, pur implicitamente accertato il “trattenimento” illecito del minore in Italia, contro la volontà di uno dei genitori, dal settembre 2018 (allorchè il padre aveva riconsegnato alla madre i documenti necessari al loro rientro in Spagna), ha negato il suo immediato rimpatrio nel luogo ultimo di residenza abituale, in Spagna, ravvisando condizioni ostative rappresentate dalla mancanza per la madre, ad (OMISSIS), di lavoro e di abitazione, nonchè di capacità economica per far fronte al livello di vita dell’isola legami significativi, famigliari o affettivi, situazione destinata necessariamente a riflettersi negativamente sul rapporto con la figlia, attesa anche la tenera età della bambina (nata nel (OMISSIS)), e quindi sulla stessa minore.

Deve poi rilevarsi che, dagli atti, risulta che la minore, nata, per l’appunto, nel (OMISSIS), è venuta in Italia nel marzo 2018 e, secondo il Tribunale (che ha richiamato il proprio precedente decreto del 20/9/2018), il trasferimento in Italia era stato concordato tra i genitori, venuti insieme nel Paese d’origine di entrambi, ove poi si è avuta la rottura del rapporto affettivo, allorchè quindi la piccola aveva appena compiuto un anno, e che la madre, con la quale la bambina vive, ha trovato in Italia un lavoro e legami famigliari, anche organizzandosi per provvedere alle necessità della figlia (come risultante dalle relazioni dei Servizi Sociali e dall’audizione dei genitori.

La doglianza, laddove tende a ridimensionare la motivazione del giudice di merito, nella parte in cui ha valorizzato la decisione del Tribunale spagnolo del 18/12/2018 -, il quale ha disposto la collocazione della bambina in Italia presso la madre, dando atto del fatto che “la bambina molto piccola è abitata a vivere con la madre da molti mesi”, appare una sorta di diversa interpretazione del dictum del giudice spagnolo, non esaminabile per deficienze di impostazione in relazione al disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c..

5. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Le spese, in considerazione dell’oggetto del contendere, vanno integralmente compensate tra le parti.

Essendo il procedimento esente, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità. Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2021

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