Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4221 del 17/02/2021

Cassazione civile sez. I, 17/02/2021, (ud. 18/01/2021, dep. 17/02/2021), n.4221

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10537/2019 proposto da:

C.M., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Pesca Mario, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.I., in qualità di genitore del minore A.S.,

domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile

della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato

Melchionda Nicola Maria, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di

Salerno, Procuratore Generale presso la Corte Suprema di Cassazione;

– intimati –

avverso la sentenza n. 98/2019 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, del

24/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/01/2021 dal cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Salerno, con sentenza n. 284/2019, depositata in data 24/1/2019, ha confermato la decisione di primo grado, che – su domanda della madre, P.I., nell’interesse del figlio, ex art. 270 c.c., a seguito di passaggio in giudicato di altra pronuncia, del 2014, con la quale era stata accolta l’azione di disconoscimento della paternità proposta da A.C., marito separato della P., – aveva dichiarato che A.S., nato ad (OMISSIS), è figlio di C.M., condannando quest’ultimo al pagamento a favore della madre del minore, P.I., di Euro 16.750,00, a titolo di rimborso di una quota di mantenimento del figlio a carico del padre, a decorrere dalla pubblicazione della sentenza di disconoscimento della paternità (nel (OMISSIS)), nonchè al versamento di un assegno mensile di Euro 250,00, a decorrere dal marzo 2018, a titolo di contributo al mantenimento del minore, oltre adeguamento Istat, respinte la domanda di risarcimento del danno esistenziale patito dal minore per la mancanza della figura paterna, avanzata dalla P., e la domanda riconvenzionale del C., di condanna dell’attrice al risarcimento di danno morale.

In particolare, i giudici d’appello hanno rilevato che correttamente il Tribunale aveva dato rilievo decisivo soprattutto al rifiuto del presunto padre di sopporsi a prelievo di materiale biologico per esame del DNA, nell’ambito di una consulenza tecnica d’ufficio espletata, nonchè alle testimonianze assunte del marito della P., A.C., e di amico della P., C.R., dalle quale era emerso che la P. aveva raccontato, ad un anno dalla nascita del bambino, di avere una relazione sentimentale, dal 2004, con il C.M. e che questi era il padre del piccolo S., nato allorchè essa era ancora convivente con il marito, da cui si era poi separata nel (OMISSIS); la Corte territoriale precisava poi che, interpretata la domanda introduttiva del giudizio, doveva ritenersi che la P., pur qualificandosi quale genitore esercente la potestà sul minore, avesse, nella sostanza, ai fini della richiesta di contributo al mantenimento del figlio, per il passato e per il futuro, agito sia in proprio, al fine di recuperare la quota spettante all’altro genitore, avendo provveduto integralmente al mantenimento prima della dichiarazione di paternità, sia nell’interesse del minore, al fine di ottenere un contributo periodico, dopo l’accertamento della paternità effettiva; in ordine al quantum, ad avviso della Corte d’appello, la misura fissata del contributo futuro (nessuna contestazione essendo stata avanzata sulla quota dovuta per il passato) doveva ritenersi congrua, quale “minimo necessario” per il soddisfacimento delle esigenze primarie di vita, avuto riguardo all’età del minore ed alle relative necessità di mantenimento e di inserimento sociale nel contesto territoriale di riferimento e tenuto conto del corrispondente obbligo assolto dal genitore convivente con il mantenimento diretto; veniva quindi respinta doglianza del C. in relazione al fatto che egli era stato condannato al rimborso dei due terzi delle spese processuali, compensate per un terzo, alla P., malgrado questa fosse stata ammessa al patrocinio a favore dello Stato, con conseguente necessità di riduzione del 50%, per carenza di legittimazione del C., trattandosi di questione attinente, semmai, al rapporto tra il cliente ammesso al beneficio ed il difensore che si era dichiaratosi antistatario.

Avverso la suddetta pronuncia, C.M. propone ricorso per cassazione, notificato il 26/3/2019, affidato ad otto motivi, nei confronti di P.I. (che resiste con controricorso).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, dell’art. 2697 c.c. in punto di mancata prova da parte dell’attrice P. di essere il genitore esercente la responsabilità genitoriale sul minore S., presupposto dell’azione proposta, e della conseguente inammissibilità della domanda, per carenza di legittimazione attiva, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio; 2) con il secondo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 269, 273 c.c. e 2697 c.c., non avendo la Corte d’appello respinto la domanda, malgrado non fosse stato depositato l’estratto riassuntivo autentico dell’atto di nascita del minore, non essendovi così alcuna certezza che il medesimo non fosse stato già riconosciuto dal suo padre naturale; 3) con il terzo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., “n. 5”, dell’art. 274 c.c., per non avere la Corte d’appello dichiarato l’inammissibilità dell’azione per manifesta infondatezza della domanda, non avendo la P. “mai affermato che il padre naturale del minore A.S. fosse l’attuale ricorrente”, avendo anzi la stessa, nel giudizio per disconoscimento della paternità, promosso dal di lei marito, negato la circostanza; 4) con il quarto motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., “n. 5”, degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 274 e 269 c.c., censurando l’errata ricostruzione dei fatti e l’errato esame e valutazione delle prove, non avendo la Corte d’appello rilevato che le prove testimoniali raccolte, vertenti su riferita dichiarazione della madre, non potevano essere valorizzate neppure quale elemento indiziario; 5) con il quinto motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, degli artt. 61, 62 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, non avendo la Corte d’appello rilevato che la consulenza tecnica non poteva essere ammessa, nell’incertezza sulla paternità del minore e nell’assenza di qualunque elemento indiziario, avendo quindi valenza meramente esplorativa; 6) con il sesto motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, degli artt. 112, 113 e 115 c.p.c., anche in relazione agli artt. 277,148 e 361 c.c., nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 1299 c.c., dovendosi, stante l’accoglimento dei primi motivi, anche respingersi le connesse domande patrimoniali, in ogni caso infondate, sia per carenza di legittimazione attiva, avendo la P. agito esclusivamente nell’interesse del figlio ed essendo invece la domanda di rimborso di quota del mantenimento del figlio, dal 2012, nell’interesse proprio della P., sia, quanto all’importo dell’assegno dovuto a titolo di contributo futuro al mantenimento, per mancata prova e valutazione delle condizioni economiche delle parti e del fabbisogno economico del figlio; 7) con il settimo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. “5”, degli artt. 113 e 115 c.p.c., in relazione al rigetto della domanda riconvenzionale da esso proposta di condanna al risarcimento danni; 8) con l’ottavo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 113 e 115 c.p.c., nonchè art. 91 c.p.c., artt. 82,83,133,227 ter e 130 T.U.S.G., in relazione al rigetto della doglianza in punto di condanna al rimborso delle spese processuali in favore della P., nonostante la stessa fosse stata ammessa al patrocinio a favore dello Stato.

2. La prima censura è inammissibile.

Essa risulta essere stata prospettata per la prima volta in questa sede, come anche eccepito dalla controricorrente.

Ora, vero che, come chiarito da questa Corte a Sezioni Unite (Cass. SU 7925/2019), “la decisione della causa nel merito non comporta la formazione del giudicato implicito sulla legittimazione ad agire ove tale “quaestio iuris”, pur avendo costituito la premessa logica della statuizione di merito, non sia stata sollevata dalle parti, posto che una questione può ritenersi decisa dal giudice di merito soltanto ove abbia formato oggetto di discussione in contraddittorio”.

Tuttavia, la circostanza che la P. (all’epoca della nascita del figlio coniugata con altro uomo, da cui si era poi separata giudizialmente) fosse il genitore esercente la responsabilità genitoriale sul figlio minore, legittimata ad agire per la dichiarazione giudiziale di paternità, ex art. 273 c.p.c., nell’interesse del minore, non è stata mai contestata dal ricorrente (e la decisione impugnata nulla dice al riguardo) e la controricorrente deduce di avere allegato in giudizio il certificato di nascita, lo stato di famiglia e la sentenza, passata in giudicato, di disconoscimento di paternità effettuata dal marito A.C..

A fronte di tali allegazioni, mai contestate, la doglianza risulta quanto meno inammissibile per carenza di autosufficienza.

3. La seconda censura è inammissibile, in quanto del tutto generica, lamentando il ricorrente che, non essendo stato depositato l’estratto riassuntivo autentico dell’atto di nascita del minore, da cui poteva emergere l’annotazione anche di un “eventuale riconoscimento di paternità effettuato dal padre naturale”, non vi sia “alcuna notizia sicura che il minore A.S. non avesse già un suo padre naturale”.

Orbene, dalla decisione qui impugnata emerge che nel giudizio, proposto dalla P., nei confronti del C., è stata prodotta la sentenza del Tribunale di Salerno, dell’11/7/2012, passata in giudicato, come da certificazione di cancelleria della Corte d’appello di Salerno del 5/12/2014, da cui emergeva che A.S., nato nel (OMISSIS), non era figlio dell’allora marito della P., A.C.. Il presente giudizio è stato promosso con citazione notificata nel dicembre 2013 e nessuna emergenza depone per un riconoscimento di paternità effettuato da altro padre naturale.

4. Il terzo motivo è inammissibile, in quanto la manifesta infondatezza della domanda avrebbe dovuto emergere, secondo il ricorrente, dalle contraddittorie dichiarazioni rese dalla madre, in questo giudizio, volto alla dichiarazione giudiziale di paternità, e nell’altro, previamente instaurato dal marito della P., A.C., ai fini del disconoscimento della paternità del piccolo S., nel quale la P., costituendosi quale convenuta, aveva contestato la domanda.

L’inconferenza della secca argomentazione (la P. “non ha mai affermato che il padre naturale del minore A.S. fosse l’attuale ricorrente”) risulta all’evidenza.

5. Il quarto motivo è inammissibile.

Invero, in ogni caso, la Corte d’appello ha motivato la propria decisione anzitutto sull’immotivato rifiuto del C. di sottoporsi all’esame del DNA nell’ambito della disposta consulenza tecnica genetica disposta.

Questa Corte ha chiarito che “nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternità naturale, la prova della fondatezza della domanda può trarsi anche unicamente dal comportamento processuale delle parti, da valutarsi globalmente, tenendo conto delle dichiarazioni della madre naturale e della portata delle difese del convenuto”, cosicchè “non sussistendo un ordine gerarchico delle prove riguardanti l’accertamento giudiziale della paternità e maternità naturale, il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici, considerando il contesto sociale e la eventuale maggiore difficoltà di riscontri oggettivi alle dichiarazioni della madre, può essere liberamente valutato dal giudice, ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2, anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti” (Cass. 12971/2012).

6. Il quinto motivo è infondato.

Costituisce orientamento consolidato quello per cui, nel giudizio diretto ad ottenere una sentenza dichiarativa della paternità naturale, le indagini ematologiche e genetiche sul DNA possono fornire elementi di valutazione non solo per escludere, ma anche per affermare il rapporto biologico di paternità (Cass. 8451/1991; Cass. 15568/2011), anche se, in tale ipotesi, possono essere sufficienti altre risultanze processuali (Cass. 9412/2004). Inoltre, anche nella materia della dichiarazione giudiziale di paternità, la consulenza tecnica ematologica è uno strumento istruttorio officioso rivolto verso l’unica indagine decisiva in ordine all’accertamento della verità del rapporto di filiazione e, pertanto, la sua richiesta non può essere ritenuta esplorativa, intendendosi come tale l’istanza rivolta a supplire le deficienze allegative ed istruttorie di parte, così da aggirare il regime dell’onere della prova sul piano sostanziale o i tempi di formulazione delle richieste istruttorie sul piano processuale (cfr. Cass. 23290/2015, in tema di impugnazione del riconoscimento del figlio naturale).

Da ultimo, si è ribadito (Cass. 14458/2018) che “è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale – per violazione degli artt. 13,15,24,30 e 32 Cost. – del combinato disposto dell’art. 269 c.c. e artt. 116 e 118 c.p.c., ove interpretato nel senso della possibilità di dedurre argomenti di prova dal rifiuto del preteso padre di sottoporsi a prelievi ematici al fine dell’espletamento dell’esame del DNA. Invero, dall’art. 269 c.c. non deriva una restrizione della libertà personale, avendo il soggetto piena facoltà di determinazione in merito all’assoggettamento o meno ai prelievi, mentre il trarre argomenti di prova dai comportamenti della parte costituisce applicazione del principio della libera valutazione della prova da parte del giudice, senza che ne resti pregiudicato il diritto di difesa, e, inoltre, il rifiuto aprioristico della parte di sottoporsi ai prelievi non può ritenersi giustificato nemmeno con esigenze di tutela della riservatezza, tenuto conto sia del fatto che l’uso dei dati nell’ambito del giudizio non può che essere rivolto a fini di giustizia, sia del fatto che il sanitario chiamato dal giudice a compiere l’accertamento è tenuto tanto al segreto professionale che al rispetto della L. 31 dicembre 1996, n. 675”.

7. Il sesto motivo è infondato.

In punto di interpretazione della domanda introduttiva del giudizio, la Corte d’appello ha correttamente rilevato che, avendo la P. agito espressamente quale genitore esercente la responsabilità genitoriale sul figlio minore (presupposto della legittimazione ad agire), essa abbia esercitato sia, iure proprio, l’azione volta al recupero della quota di mantenimento dall’altro genitore, per il passato (non dalla nascita ma dal 2012, dovendosi presumere che prima del disconoscimento di paternità vi avesse provveduto il marito della P. e sul punto non vi è doglianza da parte dell’attuale controricorrente), sia, in rappresentanza del figlio, l’azione per il mantenimento futuro, per il periodo successivo all’accertamento della paternità.

Quanto dedotto dal ricorrente non configura violazioni di diritto sostanziale presenti nella decisione impugnata, cosicchè il riferimento alle norme civili (artt. 1299 e 274 c.c.) risulta palesemente inconferente, giacchè quel che viene in discussione è unicamente il modo in cui la Corte di merito, cui competeva farlo, ha valutato le risultanze documentali acquisite agli atti. Si è trattato, dunque, di una valutazione di merito, come tale di stretta competenza della Corte territoriale, che il riferimento alla documentazione prodotta rende adeguatamente motivata.

In relazione poi al lamentato mancato accertamento delle rispettive condizioni economiche delle parti e dei bisogni del minore, la Corte d’appello ha evidenziato che sulla somma pretesa dalla P. a titolo di rimborso non era stata sollevata alcuna censura, mentre l’assegno di mantenimento fissato per il futuro (in Euro 250,00 mensili) corrispondeva al minimo necessario per il soddisfacimento delle esigenze primarie di vita del minore.

Sulla prima parte non vi è specifico motivo di censura.

Va qui poi ribadito che “in materia di mantenimento del figlio naturale, nel caso in cui non sia possibile pervenire ad una esatta determinazione dell’importo dovuto a titolo di rimborso in favore del genitore che ha provveduto al mantenimento del figlio fin dalla nascita, è legittimo il ricorso all’equità, trattandosi di criterio di valutazione del pregiudizio anche per i crediti di natura indennitaria” (Cass. 3991/2010), il tutto in relazione alla capacità reddituale del genitore.

8. Il settimo motivo è assorbito, in quanto formulato sul presupposto dell’accoglimento delle pregresse doglianze.

9. L’ottava censura è inammissibile.

Il ricorrente svolge doglianza in ordine alla mancata applicazione, ai sensi dell’art. 130 T.U.S.G., della riduzione alla metà dell’importo delle spese liquidate, essendo stata la P. ammessa al patrocinio a favore dello Stato.

A prescindere dal rilievo della Corte di merito, in ordine all’implicita rinuncia al patrocinio da parte del difensore che, qualificatosi antistatario, abbia chiesto la distrazione delle spese in proprio favore (la Corte, peraltro, poi non ha concesso la distrazione delle spese), ratio decidendi questa non toccata dalla censura in esame, va ribadito che “la parte non ammessa al patrocinio spese dello Stato che sia stata condannata, all’esito del giudizio, al pagamento delle spese di lite direttamente in favore della parte ammessa al beneficio non può contestarne la quantificazione, sul presupposto che l’Erario erogherebbe alla parte beneficiata un importo inferiore a quello liquidato, giusta la disposizione del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 82 e 130 attesa l’indipendenza dei due rapporti rispettivamente esistenti, il primo, tra le parti del giudizio e regolato dalla sentenza che lo conclude, ed il secondo, tra la parte ammessa al beneficio e lo Stato, disciplinato dal citato decreto e caratterizzato dal diritto di rivalsa, esercitabile dall’Erario nelle forme e nei casi di cui ai successivi artt. 133 e 134” (Cass. 18223/2020).

10. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto che il processo risulta esente.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 6.000,00,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2021

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