Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4220 del 21/02/2011

Cassazione civile sez. II, 21/02/2011, (ud. 25/11/2010, dep. 21/02/2011), n.4220

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

R.L., R.M.T., R.L.R.,

rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del

ricorso, dagli Avv. SANDRI Giuseppe e Franco Manassero, per legge

domiciliati presso la Cancelleria civile della Corte di Cassazione,

piazza Cavour, Roma;

– ricorrenti –

contro

R.A., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dagli Avv. PONZIO Roberto e

Eduardo Bruno, elettivamente domiciliato nello studio di quest’ultimo

in Roma, viale Giulio Cesare, n. 95;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Torino n. 1392 in data 8

ottobre 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25 novembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che il Consigliere designato ha depositato, in data 2 agosto 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.: ” R.L., R.M.T. e R.R. convennero in giudizio R.A., esponendo: che il (OMISSIS) era deceduto R.A. fu G., lasciando quali eredi il figlio C. (dante causa degli attori) e P. (dante causa del convenuto); che con atto di divisione del 26 giugno 1954 i coeredi procedettero allo scioglimento della comunione;

che nell’atto di divisione, riguardante immobili, era prevista la condizione che per l’accesso alle camere superiori del fabbricato assegnato a R.C. vi era diritto di passaggio per le scale e la balconata del fabbricato adiacente assegnato a R.P., diritto strettamente limitato a R.C. e famiglia, con validità di due anni, allo spirare dei quali R.C. assumeva l’onere di costruire apposita scala sulla sua proprietà;

che R.C. non procedeva alla costruzione della scala e gli immobili pervenivano per successione alle parti in giudizio; che il convenuto aveva demolito parte della balconata, precludendo agli attori l’esercizio del diritto di accesso ad un gabinetto comune esistente sulla balconata nel tratto di pertinenza di R. A. ed ai sottotetti; che inoltre il convenuto, chiudendo un portoncino e un cancello sulla (OMISSIS), aveva precluso agli attori l’esercizio del diritto di accesso ad altre parti comuni in comproprietà ed in uso comune all’interno del complesso edilizio già in comunione ereditaria; che il convenuto aveva innalzato il sedime stradale nel tratto di congiunzione tra la (OMISSIS) e l’accesso al cortile comune, compromettendo l’agibilità della parte di accesso al locale “pre-forno” e della relativa finestra.

Tanto premesso, chiesero che venisse accertato il loro diritto di accedere, sia per comproprietà sia per servitù, alle parti immobiliari sopra indicate.

Si costituì in giudizio il convenuto, resistendo alle domande attrici.

Il Tribunale di Alba, con sentenza depositata il 3 maggio 2005, rigettò le domande degli attori.

La Corte d’appello di Torino, con sentenza depositata l’8 ottobre 2008, ha rigettato l’appello di R.L., R.M. T. e R.L.R..

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello costoro hanno proposto ricorso, con atto notificato il 21 novembre 2009, sulla base di quattro motivi.

L’intimato ha resistito con controricorso.

Il primo motivo denuncia “violazione degli artt. 817, 818, 819, 1117 e 2697 cod. civ., art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5, e art. 339 cod. proc. civ.; insufficiente ed erronea motivazione in relazione alla natura pertinenziale degli enti rivendicati e relativo onere della prova”.

Il secondo mezzo è rubricato “insufficiente ed erronea motivazione in relazione alla insussistenza della servitù per destinazione del padre di famiglia per carenza del presupposto della apparenza”.

Con il terzo motivo si censura “violazione degli artt. 1158 e 2735 cod. civ., art. 360 cod. proc. civ., n. 5, e art. 339 cod. proc. civ.; insufficiente ed erronea motivazione in relazione al dedotto acquisto per usucapione dell’accesso al secondo piano”.

Il quarto motivo prospetta “insufficiente ed erronea motivazione in relazione al dedotto riconoscimento del diritto di accedere alle parti immobiliari per intervenuta usucapione”.

Nessuno dei quattro motivi in cui si articola il ricorso – con cui variamente si denuncia violazione e falsa applicazione di legge ed insufficiente ed erronea motivazione – contiene la formulazione conclusiva – prescritta, a pena di inammissibilità, dall’art. 366 bis cod. proc. civ. (Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603) – del quesito di diritto (là dove si censurano violazioni e false applicazioni di legge) o di un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) recante la chiara e sintetica indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume insufficiente od erronea.

Sussistono le condizioni per la trattazione del ricorso in Camera di consiglio”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, preliminarmente, va dichiarata l’irricevibilità della memoria illustrativa dei ricorrenti, in quanto depositata, fuori termine, il 23 novembre 2010;

che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., alla quale non sono stati mossi rilievi critici;

che questa Corte ha in più occasioni chiarito che i quesiti di diritto imposti dall’art. 366 bis cod. proc. civ. – introdotto dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6, secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità – rispondono all’esigenza di soddisfare non solo l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata ma, al tempo stesso e con più ampia valenza, anche di enucleare il principio di diritto applicabile alla fattispecie, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di Cassazione; i quesiti costituiscono, pertanto, il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale, risultando, altrimenti, inadeguata e, quindi, non ammissibile l’investitura stessa del giudice di legittimità (tra le tante, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2009, n. 2863; Cass., Sez. Un., 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., Sez. Un., 29 ottobre 2007, n. 22640);

che per questo – la funzione nomofilattica demandata al giudice di legittimità travalicando la risoluzione della singola controversia – il legislatore ha inteso porre a carico del ricorrente l’onere imprescindibile di collaborare ad essa mediante l’individuazione del detto punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del più generale principio giuridico, alla quale il quesito è funzionale, diversamente risultando carente in uno dei suoi elementi costitutivi la stessa devoluzione della controversia ad un giudice di legittimità: donde la comminata inammissibilità del motivo di ricorso che non si concluda con il quesito di diritto o che questo formuli in difformità dai criteri informatori della norma;

che il quesito di diritto non può essere desunto per implicito dalle argomentazioni a sostegno della cen-sura, ma deve essere esplicitamente formulato, diversamente pervenendosi ad una sostanziale abrogazione della norma (Cass., Sez. Un., 17 aprile 2009, n. 9153);

che, pertanto, i motivi che denunciano vizi di violazione e falsa applicazione di legge sono inammissibili, perchè nessuno di essi si conclude con un quesito che individui tanto il principio di diritto che è alla base del provvedimento impugnato, quanto, correlativamente, il principio di diritto, diverso dal precedente, la cui auspicata applicazione ad opera della Corte medesima possa condurre ad una decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata;

che i motivi prospettanti il vizio di motivazione sono, anch’essi, inammissibili, perchè non è stato osservato l’onere, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., della indicazione chiara e sintetica del fatto controverso;

che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, allorchè nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto e le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis cod. proc. civ., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, all’inizio o al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass., Sez. 3^, 7 aprile 2008, n. 8897; Cass., Sez. 1^, 8 gennaio 2009, n. 189; Cass., Sez. 1^, 23 gennaio 2009, n. 1741);

che, in altri termini, il prescritto quesito di sintesi deve sostanziarsi in una parte del motivo che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata, di modo che non è possibile ritenere questo requisito rispettato quando, come nella specie, solo la completa lettura della complessiva illustrazione del motivo riveli – all’esito di un’attività di interpretazione svolta dal lettore e non di una indicazione da parte del ricorrente, deputata all’osservanza del requisito del citato art. 366 bis cod. proc. civ. – che il motivo stesso concerne un determinato fatto controverso, riguardo al quale si assuma omessa, contraddittoria od insufficiente la motivazione e si indichi quali sono le ragioni per cui la motivazione è conseguentemente inidonea a sorreggere la decisione;

che, d’altra parte, alla stregua del principio generale di cui all’art. 11 preleggi, comma 1, secondo cui, in mancanza di un’espressa disposizione normativa contraria, la legge non dispone che per l’avvenire e non ha effetto retroattivo, nonchè del correlato specifico disposto della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 58, comma 5, in base al quale le norme previste da detta legge si applicano ai ricorsi per cassazione proposti avverso i provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore della medesima legge (4 luglio 2009), l’abrogazione dell’art. 366 bis cod. proc. civ. (intervenuta ai sensi della citata L. n. 69 del 2009, art. 47) è diventata efficace per i ricorsi avanzati con riferimento ai provvedimenti pubblicati successivamente alla suddetta data, con la conseguenza che per quelli proposti – come nella specie -contro provvedimenti pubblicati antecedentemente (e dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40) tale norma è dai ritenere ancora applicabile (Cass., Sez. 1^, 26 ottobre 2009, n. 22578; Cass., Sez. 3^, 24 marzo 2010, n. 7119);

che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, liquidate in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2011

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