Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4219 del 17/02/2021

Cassazione civile sez. I, 17/02/2021, (ud. 18/01/2021, dep. 17/02/2021), n.4219

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5830/2019 proposto da:

S.U., elettivamente domiciliato in Roma, Via Montello n.

30, presso lo studio dell’avvocato De Virgilio Vicenzi Giulia, che

lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

D.C.S., elettivamente domiciliata in Roma, Via V. Arminjon n.

8, presso lo studio dell’avvocato Colella Claudio, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, del 06/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/01/2021 dal cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Roma, con il decreto n. 2845/2018, depositato il 6/12/2018, ha confermato la decisione di primo grado, che aveva disposto l’affidamento dei due figli gemelli, nati nell'(OMISSIS), dall’unione (matrimonio religioso) di S.U. e D.C.S., ad entrambi i genitori, con loro collocamento, presso la madre, nella casa famigliare alla stessa assegnata (di proprietà di una sorella del S.) e libera permanenza presso il padre, salva regolamentazione degli incontri, in caso di disaccordo tra i genitori, con fissazione, a carico del S., di un contributo mensile di Euro 900,00, a titolo di concorso al mantenimento dei figli, oltre l’85% delle spese straordinarie per i figli.

In particolare, i giudici d’appello, nel respingere sia il reclamo principale del S., sia quello incidentale della D.C., premesso che il giudizio di primo grado aveva avuto una lunga istruttoria (avviata quando i gemelli erano (OMISSIS)), con espletamento di consulenza tecnica (psicologica e contabile) e supplemento peritale ed audizione dei figli, hanno sostenuto che dovesse essere conservato il regime di affidamento condiviso, fonte di stabilità per i minori (avendo così gli stessi beneficiato di una relazione con entrambi i genitori, stante la vicinanza delle due abitazioni di rispettiva residenza) e che dovesse essere mantenuto il contributo al mantenimento a carico del S., poste a confronto le situazioni economico-patrimoniali dei genitori (essendo il S. titolare di attività commerciale in zona centrale della città, gestita attraverso società di cui egli era socio accomandatario al 97,50%, nonchè proprietario di diversi immobili, alcuni in proprietà esclusiva altri in comproprietà, tutti concessi in locazione, ad eccezione di un immobile ricevuto in permuta dalla sorella e da quest’ultima abitato, mentre la D.C. percepiva un reddito da lavoro dipendente di circa Euro 1100 mensili ed un’ulteriore rendita di Euro 800,00/1000,00 mensili da locazione di un negozio di cui era comproprietaria per una piccola quota), ritenuto che “le risorse nella disponibilità del S. sono verosimilmente superiori a quelle dichiarate (già soltanto poichè i redditi indicati sarebbero stati insufficienti a sostenere i mutui) e… maggiori di quelle a disposizione della D.C.”; la Corte territoriale ha poi confermato la statuizione di primo grado di compensazione delle spese di lite e di pari imposizione alle parti di quelle della consulenza tecnica, stante la soccombenza reciproca, e compensato integralmente anche quelle del secondo grado, respingendo le reciproche domande di condanna ex art. 96 c.p.c., in difetto dei presupposti di legge.

Avverso la suddetta pronuncia, S.U. propone ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, nei confronti di D.C.S. (che resiste con controricorso). Il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo ed il secondo motivo, sia l’omessa motivazione su punto decisivo della controversia, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in violazione dell’art. 337 ter c.p.c., in relazione all’omessa pronuncia su motivi del proprio reclamo, concernenti richiesta di affido paritario, perfettamente alternato, dei figli, non equivalente all’affido condiviso, e di conseguente mantenimento diretto dei minori, con conseguente revoca del contributo al mantenimento a carico del S., stante anche la sostanziale equivalenza dei reddito delle parti e la paritaria permanenza dei ragazzi presso ciascun genitore; 2) con il terzo motivo, l’omessa pronuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 4, in violazione dell’art. 112 c.p.c., su motivo di reclamo concernente la nullità della consulenza tecnica d’ufficio contabile, sollevata tempestivamente in primo grado, per avere il consulente tecnico, in assenza di contraddittorio, acquisito dalla controparte due relazioni investigative, svolte in un periodo di circa due anni successivo a quello oggetto della verifica disposta dal giudice, relazioni il cui esame non era stato autorizzato dal giudice, e proceduto all’elaborato, tenendo conto delle suddette risultanze (in punto di numero di dipendenti della società di persone di cui il S. è socio), nonchè senza acquisire le buste paga, il contratto di lavoro e documentazione sui redditi da locazione della D.C.; 3) con il quarto motivo, l’omesso/errato esame di fatti decisivi, ex art. 360 c.p.c., n. 5, o la motivazione apparente o contraddittoria, in violazione dell’art. 337 ter c.c., in relazione alla asserita omessa motivazione o pronuncia sul motivo di reclamo inerente alla nullità dell’assegno perequativo di mantenimento a carico del S., con conseguente conferma dell’assegno nella misura stabilità in primo grado, stante l’erronea valutazione sia dei redditi della D.C. (del reddito lordo e netto, a fronte degli emolumenti da lavori e da locazione di immobili indicati nella decisione impugnata) sia di quelli di esso S. (proprietario di quattro immobili, non di sei, di cui tre locati e gravati da mutuo); 4) con il quinto motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 96 c.p.c. e art. 337 ter c.c., in relazione al rigetto della domanda di condanna della D.C. per malafede processuale.

2. Il ricorrente, nella memoria, ha chiesto accertarsi la sopravvenuta cessazione della materia del contendere, con totale compensazione delle spese di lite, essendo i figli A. e R. divenuti maggiorenni, nell'(OMISSIS) (deducendo che gli stessi hanno manifestato la volontà di andare a vivere prevalentemente con il padre ma nella casa famigliare, di proprietà di quest’ultimo, allo stato, ancora assegnata alla madre collocataria, per mantenere “l’ambiente a loro famigliare in cui sono stati abituati a vivere” e che è pendente, presso la Corte d’appello di Roma, reclamo avverso successiva decisione del Tribunale del 14/10/2020, di rigetto del ricorso, ex art. 337 quinquies c.c., per la revisione delle condizioni famigliari riguardanti i figli, presentato da esso S., nel quale procedimento sono intervenuti in giudizio i figli stessi, ormai maggiorenni, aderendo alla richiesta del padre di essere collocati presso di lui, con assegnazione della casa famigliare al S. e fissazione di un assegno a titolo di contributo al mantenimento a carico della madre).

3. Tanto premesso, le prime due censure, riguardanti esclusivamente la questione dell’affidamento dei figli, all’epoca della notifica del ricorso, nel (OMISSIS), minorenni, avendo gli stessi raggiunto la maggiore età qualche mese dopo, nell'(OMISSIS) dello stesso anno, come indicato anche dal ricorrente nella memora depositata) sono inammissibili per sopravvenuta carenza di interesse.

Questa Corte ha da tempo chiarito (Cass. 5383/2006; Cass. 10719/2013; Cass. 27235/2020) che, quando, nelle more del giudizio di legittimità avente ad oggetto l’affidamento di figlio minore ad uno degli ex coniugi a seguito di cessazione degli effetti civili del matrimonio, sopravvenga la maggiore età del figlio, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente all’impugnazione.

Non emerge tuttavia una complessiva cessazione dell’intera materia del contendere, in conseguenza del sopravvenuto raggiungimento della maggiore età dei due figli della coppia, come invece ritenuto in memoria del ricorrente, essendo state sollevate con il ricorso anche questioni correlate a vizi processuali della decisione impugnata o conseguenti alla pronuncia sul contributo al mantenimento dei figli, comunque, allo stato, non ancora autosufficienti economicamente e collocati presso la madre, o inerenti alla pronuncia sulle spese del grado di appello.

Invero, va ribadito il seguente principio di diritto: “l’obbligo dei genitori di mantenere i figli non cessa automaticamente quando gli stessi raggiungono la maggiore età, ma può perdurare, secondo le circostanze da valutarsi caso per caso, sulla base di opportuna istruttoria, sino a quando essi non abbiano raggiunto una condizione di indipendenza economica, ed il coniuge è legittimato ad ottenere iure proprio dall’altro coniuge, separato o divorziato, un contributo al mantenimento del figlio maggiorenne con esso convivente, fino a che non sia in grado di procurarsi autonomi ed adeguati mezzi di sostentamento, fatto da provarsi dal soggetto obbligato, che deduca e domandi la cessazione del diritto del figlio alla prestazione di mantenimento” (in termini, Cass.5271/1982; Cass. 475/1990; Cass. 12212/1990; Cass. 4188/2006; Cass. 25300/2013).

4. La terza censura, concernente asserita nullità della consulenza tecnica contabile, è inammissibile.

La Corte d’appello non ha effettivamente pronunciato sul secondo motivo di gravame del S., con il quale si reiterava l’eccezione (tempestivamente sollevata in primo grado, nella prima risposta utile successiva al deposito dell’elaborato peritale) di nullità della consulenza tecnica contabile espletata in primo grado, sulle cui risultanze il Tribunale aveva basato il proprio giudizio, essenzialmente, per avere il consulente tecnico proceduto senza acquisire elementi sui redditi della D.C. e stimando quelli derivanti al S. dall’attività aziendale, espletata tramite società di persone, sulla base anche di due relazioni investigative prodotte dalla D.C., concernenti il numero effettivo di dipendenti, malgrado espresso diniego di autorizzazione all’esame da parte del giudice istruttore).

Tuttavia, la Corte di merito, come anche rilevato dalla controricorrente, ha proceduto ad una rivalutazione delle condizioni patrimoniali dei coniugi sulla base di risultanze documentali acquisite al processo (dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, depositate in appello, documentazione bancaria e fiscale), senza fare espresso riferimento alla consulenza tecnica contabile; anche riguardo ai redditi della società Di., titolare dell’attività di commercio di calzature (di cui il S. risulta essere socio accomandatario), essa ha basato la propria valutazione sulla documentazione dei redditi della società in atti, rilevando che, in ogni caso, i redditi d’impresa dichiarati erano inferiori ai costi del personale dipendente (“parla circa 32.700/21.200 Euro”), a fronte dei ricavi da vendite.

Ora, il ricorrente non spiega in che modo le, contestate, risultanze della consulenza contabile espletata in primo grado abbiano effettivamente inciso sulla decisione della Corte territoriale sul reclamo.

5. La quarta censura (non assorbita, perchè l’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli, da poco divenuti maggiorenni ma non autosufficienti economicamente, per quanto dedotto in atti e ribadito al paragrafo 3, si protrae finchè non interviene una modifica delle condizioni di separazione in punto di convivenza dei figli con un genitore, già affidatario), è in parte infondato, in parte inammissibile.

Viene infatti dedotto un vizio di motivazione apparente o di omesso esame di fatti decisivi, in relazione all’art. 337 ter c.c. (provvedimenti riguardanti i figli).

Ora, questa Corte, a Sezioni Unite, ha di recente chiarito (SS.UU. 22232 del 03/11/2016) che “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (nella specie la S.C. ha ritenuto tale una motivazione caratterizzata da considerazioni affatto incongrue rispetto alle questioni prospettate, utilizzabili, al più, come materiale di base per altre successive argomentazioni, invece mancate, idonee a sorreggere la decisione).

Nella specie, la Corte d’appello ha ritenuto che vi fosse, valutate complessivamente le risultanze reddituali dei due genitori, comunque analiticamente descritte, “una superiorità significativa delle risorse nella disponibilità del S. rispetto a quelle dell’altro genitore”. Non si verte in ipotesi di motivazione del tutto illogica, incoerente e contraddittoria.

Con riguardo poi al vizio e art. 360 c.p.c., n. 5, il motivo verte più che altro su ipotesi di errore revocatorio che sarebbe stato compiuto dal giudice del reclamo (in ordine al fatto che il S. sarebbe proprietario di quattro immobili, anzichè sei, come indicato nel decreto ed in particolare un immobile, quello in Via Ba. sarebbe di proprietà di terzi e sede della società che gestisce un negozio di proprietà del S.); in ogni caso, della vendita dell’immobile di via Sacchi, in comproprietà con la sorella, nel corso dell’anno 2018, la Corte di merito dà contezza e quindi il differente riferimento numerico, riguardo a tale bene, deve intendersi correlato esclusivamente a quanto emergente dalle dichiarazioni reddituali ai fini fiscali.

Il motivo involge in ogni caso anche apprezzamento delle risultanze probatorie, riservato al giudice di merito, a fronte di esame con motivazione articolata e specifica.

6. Il quinto motivo, attinente al rigetto in sede di reclamo della domanda ex art. 96 c.p.c., è inammissibile.

Questa Corte (Cass. 327/2010; in termini pure Cass. 12298/2016) ha già da tempo precisato che “l’accertamento, ai fini della condanna al risarcimento dei danni da responsabilità aggravata ex art. 96 cod. proc. ci v., dei requisiti dell’aver agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave (comma 1) ovvero del difetto della normale prudenza (comma 2) implica un apprezzamento di fatto non censurabile in sede di legittimità se la sua motivazione in ordine alla sussistenza o meno dell’elemento soggettivo ed all'”an” ed al “quantum” dei danni di cui è chiesto il risarcimento risponde ad esatti criteri logico-giuridici”.

7. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Le spese, liquidate come in dispositivo seguono la soccombenza.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto che il processo risulta esente.

P.Q.M.

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 6.000,00,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali, nella misura del 15%, ed agli accessori di legge.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 18 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2021

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