Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4219 del 09/02/2022

Cassazione civile sez. II, 09/02/2022, (ud. 14/01/2022, dep. 09/02/2022), n.4219

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. COSENTINO Antonello – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9600-2017 proposto da:

F.G., elettivamente domiciliato in ROMA,

CIRCONVALLAZIONE CLODIA n. 165, presso lo studio dell’avvocato MARCO

SCARPATI, e rappresentato e difeso dagli avvocati GRAZIA PASOTTI e

GUIDO FRANCESCO ROMANELLI;

– ricorrente –

contro

FI.GA., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FASANA

21, presso lo studio dell’avvocato MICHAEL LOUIS STIEFEL,

rappresentata e difesa dall’avvocato MARCO FANGHELLA;

– controricorrente –

e contro

EREDI DI F.U. e F.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1074/2016 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 13/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

14/01/2022 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA;

udito l’Avvocato GRAZIA PASOTTI per parte ricorrente, la quale ha

concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito il P.G., nella persona del Sostituto Dott. ALESSANDRO PEPE, il

quale ha concluso per l’inammissibilità, o in subordine per il

rigetto, del ricorso.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 4.9.2006 F.U. evocava in giudizio F.G. e D. innanzi il Tribunale di Lanciano, sezione distaccata di Atessa, lamentando di aver subito uno sconfinamento ad opera dei convenuti ed invocando l’accertamento del confine tra i due fondi, rispettivamente dell’attore e dei convenuti, e la condanna di questi ultimi al rilascio della porzione illecitamente occupata.

Si costituivano F.G. e D., resistendo alla domanda e spiegando eccezione riconvenzionale di usucapione dell’area contestata.

Con sentenza n. 10/2010 il Tribunale accertava il confine in coerenza con quella di fatto esistente in loco, compensando le spese di lite.

Interponeva appello avverso detta decisione l’originario attore.

Si costituiva in seconde cure F.G., resistendo al gravame e spiegando appello incidentale in relazione al governo delle spese del primo grado di giudizio.

Rimaneva invece contumace l’altro appellate F.D..

Con la sentenza impugnata, n. 1074/2016, la Corte di Appello di L’Aquila accoglieva il gravame principale, e dunque la domanda originariamente proposta dal F.U., e confermava la compensazione delle spese di lite, con la sola eccezione di quelle di C.T.U., che poneva a carico della parte appellata.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione F.G., affidandosi a tre motivi.

Resiste con controricorso FI.GA., erede di F.U.. F.D., intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

All’udienza del 14 gennaio 2022 la parte ricorrente ha concluso per l’accoglimento del ricorso, mentre il P.G. ha concluso per l’inammissibilità, o in subordine per il rigetto, del ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 950 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello, nel determinare il confine tra i due fondi, rispettivamente di proprietà del ricorrente, da un lato, e delle parti intimate, dall’altro lato, non avrebbe posto a base della sua decisione le risultanze degli atti di provenienza depositati in atti del giudizio di merito. In particolare, la Corte distrettuale avrebbe erroneamente ritenuto che F.U. avesse fornito la dimostrazione che la porzione contestata – individuata catastalmente dalla particella n. (OMISSIS) – sarebbe stata inclusa nel suo acquisto di maggior consistenza territoriale, avvenuto con rogito del 23.1.1958. In realtà, secondo il ricorrente, tale atto dimostrerebbe soltanto che la particella oggetto di causa ha una estensione di 8 are e 30 centiare, ma non ne chiarirebbe l’esatta collocazione spaziale. Il C.T.U., invece, avrebbe accertato la presenza, in loco, di termini lapidei e di una recinzione; la non coincidenza tra i termini e la recinzione; l’esistenza, dunque, di uno sconfinamento di 86 cm. sulla particella n. 18. La documentazione prodotta dal ricorrente in atti del giudizio di merito e, in particolare, le pratiche urbanistiche relative all’accatastamento del fabbricato di sua proprietà e all’autorizzazione della relativa recinzione, non contestate dall’originario attore, non sarebbero, invece, state considerate dal giudice di seconda istanza. Allo stesso modo, non sarebbe stata considerata la giusta successione temporale degli eventi, che dimostrerebbe – sempre secondo la tesi di parte ricorrente – l’esistenza del fabbricato di sua proprietà sin dal 1987. Detto edificio invece, in base alla sentenza impugnata, dovrebbe essere demolito parzialmente, in particolare in relazione ad uno spigolo di circa 46 cm. che insisterebbe sulla particella n. 18 oggetto di contestazione. Il ricorrente lamenta, dunque, la mancata considerazione, da parte della Corte di Appello, delle prove prodotte in atti di causa, dalle quali emergerebbe, a suo avviso, la dimostrazione che l’edificio di sua proprietà era stato realizzato nel 1959 ed accatastato nel 1987.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116 e 256 c.p.c., artt. 2729 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perché la Corte di Appello avrebbe reso, sempre con riferimento all’individuazione del confine tra i due fondi, una motivazione incongrua, insufficiente e contraddittoria. In particolare, la Corte territoriale non avrebbe spiegato perché avrebbe ritenuto scarsamente attendibili le dichiarazioni dei testi M. e B., esprimendo al contempo opposto giudizio circa le deposizioni dei testi Ma.Sa., F.M. e FI.GA., moglie e figlie di F.U. e dunque interessati all’esito della lite. Inoltre, la Corte di merito sarebbe incorsa in una insanabile contraddizione, poiché da un lato avrebbe affermato di voler compiere un rigoroso scrutinio delle risultanze delle predette deposizioni testimoniali, e dall’altro lato avrebbe omesso di confrontare le dichiarazioni rese dai parenti stretti del F.U. con quelle di altri soggetti, non legati da vincoli di parentela con alcuna delle parti in causa e dunque, ad avviso del ricorrente, maggiormente attendibili dei primi. Inoltre, la Corte di Appello avrebbe violato l’art. 116 c.p.c., poiché avrebbe espresso un giudizio unitario di inadeguatezza delle deposizioni rese dai testi I., D. e F., senza indicare le rispettive ragioni poste a fondamento di tale conclusione, e senza quindi esaminare in dettaglio le diverse dichiarazioni singolarmente rese da ciascun testimone. Infine, la Corte territoriale avrebbe omesso di tener conto della prova documentale fornita dall’odierno ricorrente.

Le due censure, suscettibili di trattazione unitaria, sono inammissibili.

Va innanzitutto precisato che la deduzione del vizio di incongruità, insufficienza e contraddittorietà della motivazione, contenuta nel secondo motivo di ricorso, non è ammissibile, trattandosi di profilo estraneo all’attuale perimetro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Ciò posto, le due doglianze in esame si risolvono in una inammissibile istanza di revisione della valutazione di merito svolta dalla Corte distrettuale e del convincimento dalla stessa espresso, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790).

Ne’ può ritenersi ammissibile la censura rivolta all’apprezzamento delle prove da parte del giudice di merito, posto il principio per cui “L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595: conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).

Nel caso di specie, la Corte di Appello ha compiuto una valutazione complessiva in relazione alle deposizioni rese dai testimoni escussi nel corso del giudizio di merito. In particolare, per quanto concerne l’apprezzamento delle dichiarazioni dei parenti stretti del F.U., la Corte territoriale ha richiamato la sentenza penale che aveva assolto detti soggetti dal reato di falsa testimonianza, che era stato loro contestato proprio in relazione alle dichiarazioni da essi rese in prime cure. Ha poi affermato, in modo del tutto condivisibile, che tale assoluzione, se da una parte non vale a certificare la veridicità assoluta delle loro dichiarazioni, costituisce tuttavia un elemento idoneo ad escludere la loro inattendibilità. Ha, quindi, esaminato le dichiarazioni provenienti da detti testimoni come elementi indiziari, ponendole a confronto con quanto dichiarato dagli altri testi escussi ( I., D. e F.) e ritenendo che questi ultimi avessero reso dichiarazioni relative ad una situazione risalente nel tempo e non corrispondente con quella attualmente in essere in loco. In tal modo, la Corte distrettuale ha evidenziato in modo adeguato le ragioni della scarsa rilevanza delle tre deposizioni testimoniali da ultimo richiamate, le quali, dunque, sono state esaminate congiuntamente, ma tenendo conto di quanto riferito da ciascun singolo testimone. La valutazione globale delle risultanze della prova orale, pertanto, vi è stata, ed in relazione a tale aspetto le censure proposte dal ricorrente si risolvono in una mera rilettura di dette risultanze, finalizzata a proporre una soluzione alternativa a quella in concreto adottata dal giudice di merito.

Neppure è ammissibile la contestazione dell’omesso esame delle risultanze documentali allegate agli atti del giudizio di merito, stante la genericità del richiamo operato dal ricorrente. Invero, gli unici documenti richiamati specificamente nelle due censure in esame sono rappresentati dalla “pratica edilizia del 1987 circa l’accatastamento del fabbricato” e dalla “DIA per la sostituzione della recinzione già esistente, predisposta e depositata dal geom. B. in data 12/10/2002” (cfr. pag. 11 del ricorso). A parte il rilievo che il ricorrente non riporta il contenuto di tali documenti, si deve comunque osservare che essi non sono comunque idonei a spiegare alcun effetto, ai fini dell’individuazione del confine tra i fondi, trattandosi di atti provenienti dal ricorrente, o comunque a lui riferibili; in proposito, va rilevato che lo stesso ricorrente riconosce che il tipo di mappale del 1987 era stato predisposto dall’ing. F. su suo incarico (cfr. ancora pag. 11, alla fine).

Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto non conseguita la prova dell’usucapione del terreno oggetto di causa, senza considerare le complessive risultanze istruttorie acquisite agli atti del giudizio di merito, con particolare riferimento agli accertamenti svolti dal C.T.U. Questi ultimi evidenzierebbero l’abnormità della decisione impugnata, la quale, nel far coincidere il confine reale con quello catastale, implicherebbe l’abbattimento di uno spigolo dell’edificio realizzato dall’odierno ricorrente, esistente in effetti sin dal 1987, anno del suo accatastamento.

La censura è fondata.

Il ricorrente contesta, in sostanza, che la Corte di Appello non abbia tenuto conto, nell’ambito della valutazione in fatto relativa alla sussistenza dei presupposti per l’usucapione, della circostanza che l’edificio di F.G. era stato accatastato nel 1987: ciò dimostrerebbe, ad avviso del ricorrente, che il manufatto esisteva almeno da tale data, e dunque rappresenterebbe un elemento decisivo ai fini della prova dell’usucapione.

L’accatastamento di un fabbricato ad una certa data costituisce una circostanza che non può essere trascurata ai fini del giudizio sull’esitenza fisica dello stesso fabbricato a tale data, ed il fatto che l’edificio del ricorrente insistesse su una porzione della particella 18, oggetto di contestazione, sin dalla data del suo accatastamento non è stata, oggettivamente, valutata dal giudice di merito, che ha ritenuto insussistenti i presupposti per l’usucapione soltanto in base alla valutazione delle deposizioni rese dai testimoni. Il ricorrente riporta, nel corpo della censura in esame, una delle tavole allegate alla C.T.U. (cfr. pag. 25 del ricorso), dalla quale risulterebbe che l’immobile di proprietà del F.G. insiste, per uno spigolo, sulla particella oggetto dello sconfinamento accertato dalla Corte distrettuale. Tale elemento, acquisito agli atti del giudizio di merito, meritava di essere esaminato ai fini della prova dell’eccezione di usucapione, quantomeno limitatamente allo spigolo della costruzione dell’odierno ricorrente. Sotto questo profilo, dunque, la doglianza proposta con il terzo motivo di ricorso merita di essere accolta, con conseguente cassazione della decisione impugnata, in relazione alla censura accolta, e rinvio della causa alla Corte di Appello di L’Aquila, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara inammissibili il primo e secondo motivo di ricorso ed accoglie il terzo. Cassa la sentenza impugnata, in relazione alla censura accolta, e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di L’Aquila, in differente composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, il 14 gennaio 2022.

Depositato in Cancelleria il 9 febbraio 2022

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