Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4216 del 21/02/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 4216 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: GARRI FABRIZIA

SENTENZA

sul ricorso 25696-2012 proposto da:
PIRAS MONICA C.F. PRSMNC71L42G113H, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 12, presso lo
studio dell’avvocato ALFREDO DI MAURO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCIA
FRANCA SANTORO, giusta procura speciale Notarile in
2017

atti;
– ricorrente –

3980

contro

COOPERATIVA SOCIALE SERENA SOC. COOP. ONLUS A.R.L.,
in persona del legale rappresentante pro tempore,

Data pubblicazione: 21/02/2018

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GREGORIO VII
466, presso lo studio dell’avvocato FULVIO VENDITI,
rappresentata e difesa dall’avvocato GRAZIELLA ARDU,
giusta delega in atti;
– controricorrente

la

sentenza n.

D’APPELLO di CAGLIARI,

1409/2012

della

CORTE

depositata il 09/07/2012

R.G.N. 59/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 12/10/2017 dal Consigliere Dott. FABRIZIA
GARRI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso, in subordine rigetto;
uditi gli Avvocati LUCIA FRANCA SANTORO e ALFREDO DI
MAURO;
udito l’Avvocato GRAZIELLA ARDU.

avverso

r.g. n. 25696 del 2012

FATTI DI CAUSA
1. Monica Piras, socia lavoratrice della Cooperativa Sociale Serena ONLUS adì il
Tribunale di Oristano per chiedere la Condanna della società al pagamento in suo
favore della somma di C 8.994,95 per differenze retributive a vario titolo maturate in
relazione all’ attività prestata come socia lavoratrice dal 21 aprile 2004 al 30 aprile
2005. La Cooperativa Sociale Serena ONLUS si costituì per resistere alla domanda e

2.000,00 a titolo di quota sociale di adesione ancora da versare in esito alla
rateizzazione dell’importo originario di C 3000,00. Il Tribunale adito rigettò la
domanda della Piras ed accolse la domanda riconvenzionale della convenuta. La Corte
di appello di Cagliari, investita del gravame da parte della Piras, ha confermato la
sentenza di primo grado.
2. La Corte di merito ha accertato che le censure mosse nell’appello alla sentenza
investivano solo alcune voci tra quelle contenute nel ricorso introduttivo del giudizio
(restituzione delle trattenute in conto anticipi, omessa retribuzione maggio 2005 e
domanda riconvenzionale della cooperativa) e che, pertanto, per il resto la sentenza
fosse passata in giudicato. Ha escluso che le somme trattenute per far fronte a gravi
difficoltà finanziarie della cooperativa, in esecuzione delle delibere assembleari del 29
dicembre 2003 e del 28 ottobre 2004, potessero essere recuperate non essendo
ancora intervenuta la delibera che ne autorizzava la restituzione e perdurando lo stato
di difficoltà finanziaria. Quanto al compenso per l’attività prestata in regime di
collaborazione a progetto nel periodo 2 maggio 11 giugno 2005 ha accertato che
l’importo corrisposto di C 550,00 era addirittura superiore rispetto a quello
effettivamente concordato (C 458,33). Con riguardo, infine, alle somme chieste dalla
Cooperativa per quote sociali ha rilevato che era risultato provato che l’importo per
l’adesione era di C 3.000,00 e che ne erano stati versati solo C 1000,00 sicché del
tutto correttamente era stata accolta la domanda proposta in via riconvenzionale.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre Monica Piras con un unico motivo cui resiste
con controricorso la Cooperativa Sociale Serena ONLUS a r.I.. In data 22 settembre
2017 si sono costituiti i nuovi difensori della ricorrente ai quali con procura notarile
ritualmente depositata era stato affidato il mandato, revocato ai precedenti
patrocinatori. Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod.
proc. civ..

3

chiese in via riconvenzionale la condanna della Piras al pagamento della somma di C

r.g. n. 25696 del 2012

RAGIONI DELLA DECISIONE
4. Con l’unico motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art.
112 cod. proc. eiv. in relazione all’art. 360 primo comma n. 4.
4.1. Sostiene la ricorrente che la Corte di appello, contraddittoriamente, avrebbe dato
atto che era stato chiesto il pagamento di tutte le competenze già oggetto del giudizio
di primo grado e poi aveva pronunciato solo su alcuni capi della domanda ritenendo

5. La censura è inammissibile.
5.1. Questa Corte è costante nel ritenere che ai fini della ammissibilità del motivo con
il quale si lamenta un vizio del procedimento ai sensi dell’ art. 360, primo comma, n.
4, cod. proc. civ. in relazione all’ erronea individuazione del “chiesto” ex art. 112 cod.
proc. civ., è necessario che il ricorrente, alla luce del principio di autosufficienza
dell’impugnazione, indichi le espressioni con cui detta deduzione è stata formulata nel
giudizio di merito (cfr. Cass. 30/04/2010 n. 10605).
5.2. Il vizio di legittimità denunciato va accertato in relazione all’oggetto del giudizio di
appello, dovendo verificarsi la corrispondenza tra il tantum devolutum ed il quantum
appellatum e rendendosi, quindi, necessario, ai fini della autosufficienza del motivo, la
specifica indicazione da parte della ricorrente dei motivi di gravame proposti avverso
le statuizioni della sentenza di prime cure.
5.3. Né può supplirsi a tale omessa descrizione degli atti processuali sui quali la
censura si fonda, attraverso l’accesso diretto al fascicolo di merito, consentito alla
Corte dal tipo di vizio di legittimità denunciato. Come è stato, infatti, ripetutamente
affermato da questa Corte in caso di denuncia, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ.,
comma 1, n. 4, del vizio di pretesa violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., da parte del
giudice di merito, per non avere pronunciato su di una censura proposta in appello, il
giudice di legittimità è investito del potere di esaminare direttamente il ricorso, purché
ritualmente indicato ed allegato nel rispetto delle disposizioni di cui all’art. 366 cod.
proc. civ., comma 1, n. 6 ed all’ art. 369 cod. proc. civ., comma 2, n. 4, al fine di
verificare contenuto e limiti del gravame. Pur configurando la violazione dell’ art. 112
cod. proc. civ. un “error in procedendo”, per il quale la Corte di cassazione è giudice
anche del “fatto processuale”, non essendo tale vizio rilevabile d’ufficio, tuttavia il
potere – dovere della Corte di esaminare direttamente gli atti processuali non significa
4

che nel resto si fosse formato il giudicato.

r.g. n. 25696 del 2012

che la medesima debba ricercarli autonomamente, spettando, invece, alla parte
indicarli (cfr. Cass. 17/01/2007 n. 978, Cass. s.u. 14/05/2010 n. 11730, 22/05/2012
n. 8077, Cass. 04/04/2014 n. 8008 e 02/12/2014 n. 25482 oltre che recentemente
Cass. 24/07/2015 n. 15629 in motivazione).
5.4. Nel caso in esame ciò di cui ci si duole è il preteso omesso esame delle censure
alla sentenza di primo grado. Si afferma infatti che in appello era stato devoluto
l’esame con riguardo a tutte le voci retributive di cui era stato chiesto il pagamento in

primo grado. Era necessario pertanto che la ricorrente riportasse nel ricorso per
cassazione le censure formulate in appello, non essendo a tal fine sufficiente
trascrivere le conclusioni di quel ricorso atteso che la domanda formulata in primo
grado e rigettata dal Tribunale aveva ad oggetto voci retributive suscettibili di diversa
valutazione in relazione alle allegazioni ed alle prove offerte in giudizio. La Piras
aveva infatti chiesto il pagamento di somme in relazione a trattenute operate in
anticipo conto spese (C 4260,24), lavoro straordinario (C 2.171,24) , festività (C
426,53), festività soppresse (C 156,53), ferie (C 504,57), permessi non goduti (C
161,14), retribuzione del mese di maggio 2005 (C 1.314,11) e la Corte territoriale ha
accertato che le censure investivano la sentenza solo con riguardo alla mancata
restituzione delle trattenute operate ed al mancato pagamento della retribuzione del
mese di maggio 2005 oltre che l’accoglimento della domanda riconvenzionale della
cooperativa. In tale situazione la ricorrente era, perciò, tenuta a precisare, al fine di
consentire a questa Corte di apprezzare sin dalla lettura del ricorso i termini della
censura formulata nel ricorso, in che termini la censura in appello era stata proposta
riportandone, seppure per estratto e con rinvio agli atti depositati, il contenuto.
6. In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le spese del giudizio
vanno poste a carico della ricorrente soccombente e sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si
liquidano in C 3.500,00 per compensi professionali, C 200,00 per esborsi, 15% per
spese forfetarie oltre accessori dovuti per legge.
5

g3

r.g. n. 25696 del 2012

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 12 ottobre 2017

Il Consigliere estensore

Fabrizia Garri

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