Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4215 del 21/02/2018


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Civile Sent. Sez. L Num. 4215 Anno 2018
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: CURCIO LAURA

SENTENZA

sul ricorso 4116-2013 proposto da:
COOPOLIS COOPERATIVA SOCIETA’ P.I. 04837440967, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L. RIZZO 72,
presso lo studio dell’avvocato PAOLO CELLI,
rappresentata e difesa dall’avvocato GIOVANNI REHO,
2017

giusta delega in atti;
– ricorrente –

3925
contro

IMASOGIE NOSA, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA
AGRI l, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE NAPPI,

Data pubblicazione: 21/02/2018

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
PIERLUIGI BOIOCCHI,m giusta delega in atti;
– controricorrente –

avverso la sentenza n. 34/2012 della CORTE D’APPELLO
di BRESCIA, depositata il 01/02/2012 r.g.n.23/2011;

udienza del 11/10/2017 dal Consigliere Dott. LAURA
CURCIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale DOTT. RICCARDO FUZIO, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.
udito l’Avvocato PAOLO CELLI per delega verbale
Avvocato GIOVANNI RHEO.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

RG N. 4116/2013
Svolgimento del processo
1) La Corte d’Appello di Brescia ha

parzialmente riformato la sentenza del

Tribunale di Bergamo, che aveva accolto la domanda di Nosa Imasogie, socia
della Cooperativa Coopolis, solo con riferimento all’accertamento della natura
subordinata del rapporto di lavoro intercoso con la società, condannando la
cooperativa al pagamento di differenze retributive. La corte territoriale ha
accolto anche la domanda svolta dalla lavoratrice di accertamento
dell’illegittimità dell’allontanamento, con condanna della cooperativa al
pagamento delle retribuzioni sino al ripristino del rapporto di lavoro.
2)La Corte territoriale ha ritenuto che la prestazione lavorativa della Imasogie
si era svolta con le caratteristiche del lavoro subordinato, avendo la lavoratrice
svolto la prestazione lavorativa, nelle varie realtà aziendali delle società
appaltanti, osservando le direttive della responsabile della cooperativa e
sottostando ai controlli di costei, osservando l’orario di ingresso e di uscita dal
lavoro e giustificando le assenze; che non era emerso dalle testimonianze
raccolte alcun elemento riconducibile ad un’attività svolta in autonomia, come
eccepito dalla cooperativa.
3)Secondo la corte l’estromissione orale della lavoratrice equivaleva ad un
licenziamento nullo intimato oralmente e che, stante la mancanza di
interruzione del rapporto, la cooperativa era tenuta al ripristino dello stesso,
oltre al pagamento delle retribuzioni sino all’effettivo ripristino.
4)Ha proposto ricorso per Cassazione Coopolis, affidato a cinque motivi. Ha
resistito la cooperativa con controricorso.
Motivi della decisione
5)Con il primo motivo di ricorso la Cooperativa ricorrente deduce la violazione e
falsa applicazione degli artt.345 e 437 c.p.c , ex art. 360 n.3 c.p.c. , per non avere
la corte territoriale rilevato che le conclusioni di appello contenevano domande nuove,
in quanto:a) In primo grado la lavoratrice aveva chiesto dichiararsi l’illegittimità
dell’allontanamento posto in essere nei suoi confronti e per l’effetto condannare la

i

,

cooperativa a risarcirla per il danno subito,

con corresponsione delle retribuzioni

tutte perdute dal 1.4.2008 sino al ripristino della funzionalità del rapporto; b) in
appello la stessa aveva invece chiesto dichiararsi non interrotto il rapporto e
condannarsi la società al pagamento delle retribuzioni sino all’effettiva reintegrazione.
A dire della ricorrente si tratterebbe di domande diverse.
6) Il motivo è infondato. Da quanto riportato sia nella sentenza impugnata, sia nelle

che si esamina, si desume chiaramente che, aldilà delle espressioni utilizzate che
sembrerebbero apparentemente riferirsi ad un petitum alquanto diverso, in realtà
l’oggetto della domanda è lo stesso. In entrambe le richieste la lavoratrice ha chiesto
il pagamento delle retribuzioni maturate dall’aprile 2008, data dell’allontanamento,
sino al ripresa dell’attività lavorativa, qualificata in primo grado come “ripristino del
rapporto”e in appello come “reintegrazione”, ma chiaramente dirette a chiedere le
retribuzioni non percepite sin dall’atto di licenziamento. La sentenza d’appello, sul
punto riformando quella di primo grado, ha accolto la domanda della lavoratrice
individuando un licenziamento orale, dunque inefficace, con conseguente ripristino del
rapporto, ma ritenendo che non si richiedesse in tal caso alcun atto di messa in mora,
trattandosi di un licenziamento. La corte di merito ha escluso implicitamente che si
fosse in presenza di un rapporto rientrante nell’area della tutela obbligatoria che, ove
accertato, avrebbe comportato soltanto una tutela risarcitoria da determinarsi ,
secondo le regole in materia di inadempimento delle obbligazioni, solo a far tempo da
un atto di messa in mora, secondo giurisprudenza costante di questa Corte ( cfr tra le
tante Cass. n. 11670/2006; Cass. n.19344/2007; Cass. n. 18844/2010, Cass. n.
13669/2016). Tuttavia tale punto della decisione non è stato oggetto di impugnazione
e dunque è divenuto irrevocabile.
7)Con il secondo motivo di ricorso si denuncia un’omessa motivazione circa un fatto
decisivo e controverso, ai sensi dell’art. 360 c.1.n.5. Secondo la ricorrente circostanza
decisiva e controversa sarebbe stata quella di accertare l’esercizio di un potere
direttivo e gerarchico o meno da parte di Coopolis. La corte non avrebbe individuato
le fonti probatorie del proprio convincimento, ma neppure esplicitato il ragionamento
con cui le fonti probatorie l’avrebbero portata al convincimento espresso nella
sentenza.

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conclusioni degli atti introduttivi di primo grado e poi di appello, trascritte nel ricorso

8) Il motivo cosi come posto è inammissibile. La corte ha evidenziato le circostanze di
fatto che erano state accertate in causa relative alla natura subordinata del rapporto,
con riferimento in primo luogo al potere direttivo e di controllo, quindi gerarchico,
esercitato dalla responsabile Anna Maria per conto della cooperativa, poi con
riferimento anche ad altri elementi sussidiari ( timbratura in ingresso ed in uscita e
all’inizio di una pausa, recupero dei ritardi e giustificazione delle assenze, modalità
retributive). La Corte bresciana ha poi escluso che dalle testimonianze fosse emerso

aver riportato il nominativo dei testi escussi non comporta alcun vizio motivazionale,
ove non siano presenti elementi di contraddittorietà o di insufficienza, come nel caso
in esame.
9)Con il terzo motivo di gravame si lamenta la violazione dell’art.115 c.p.c. in
relazione all’art.360 comma 1 n.3 c.p.c., perché nel ricorso di primo grado nulla era
stato dedotto di specifico al fine di provare il carattere subordinato del rapporto con
la cooperativa e che, contrariamente a quanto asserito dalla lavoratrice, la cooperativa
non aveva responsabili con il nome indicato dalla Imasogie , non aveva imposto un ‘
preciso orario di lavoro, non potendosi confondere la subordinazione con il
coordinamento organizzativo necessario del lavoro dei soci.
10) Il motivo, che peraltro si ricollega a quello precedente, è inammissibile perché
non censura alcun preciso errore percettivo della corte attinente alla

ricognizione del

contenuto oggettivo delle prove, per aver la stessa posto a base della decisione prove
non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o

alcun elemento di fatto riconducibile all’autonomia della prestazione lavorativa. Il non

considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, ele9 ca Utt- l’ericane
V
menti di prova soggetti invece a valutazione, errore peraltro sindacabileYa norma
dell’art.360 c.1.n.4 c.p.c.(cfr, Cass.–44=Zga712k Cass.n.9356/2017), ma

lamenta in (-,U

maniera generica e priva di collegamento con la norma che si denuncia violata, la
mancata specificità delle deduzioni contenute nel ricorso introduttivo del primo
giudizio, relative agli elementi in fatto identificativi della subordinazione, a cui la
ricorrente contrappone

quelli, di opposto tenore,

dedotti nella memoria di

costituzione e finisce pur sempre per lamentare un errore di valutazione in cui sarebbe

incorsa la corte di merito, che investe l’apprezzamento della fonte di prova come
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dimostrativa, o meno, del fatto che si intende provare, errore che non è mai
sindacabile in sede di legittimità( Cfr Cass. 9356/2017 citata).
11) Con il quarto motivo di ricorso la cooperativa deduce l’omessa motivazione circa
un fatto decisivo e controverso per il giudizio ai sensi dell’art.360 comma 1 n.5 c.p.c.,
consistito nel mancato esame del suo Regolamento interno applicato a tutti i soci, sia
autonomi che subordinati, e che disciplina espressamente i casi di mancanza di lavoro

delle reciproche obbligazioni.
12 )Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato. E’ inammissibile in quanto,
pur avendo la ricorrente indicato la collocazione nel proprio fascicolo del regolamento,
quale documento prodotto, non trascrive e quindi non riporta con completezza in
ricorso le statuizioni rilevanti che si collegherebbero alla questione oggetto di
censura, ma si limita a trascrivere soltanto parte dell’art.9 di tale regolamento, che
stabilisce che ..”a seguito di riduzione o mancanza momentanea di lavoro, i soci
ammessi non possono esercitare la loro attività o possono esercitarla solo ad orario
ridotto”.
13)Ma comunque il motivo è infondato, perché tende in realtà pur sempre al riesame
di questioni di merito, già vagliate dalla corte d’appello in base alle risultanze
testimoniali raccolte in primo grado — quali il potere direttivo e il controllo sulla
prestazione lavorativa esercitato da una responsabile della cooperativa, l’obbligo della
socia lavoratrice di rispettare un orario di lavoro impostole dalla cooperativa, l’obbligo
di timbrare l’entrata e l’uscita- in base a cui la corte territoriale ha desunto , con
motivazione esente da vizi logici e quindi insindacabile in questa sede, la natura
subordinata del rapporto di lavoro e la conseguente nullità della estromissione ,
avvenuta oralmente.
13) con il quinto motivo di ricorso la cooperativa deduce l’omessa motivazione circa
un fatto decisivo e controverso per il giudizio, ai sensi dell’art.360 c.1.n.5 c.p.c.. La
Corte avrebbe omesso di valutare l’offerta rivolta da Coopolis alla lavoratrice, dopo la
cessazione dell’attività presso la ditta Corozite ove la stessa era occupata, di un
nuovo posto di lavoro in altro appalto, offerta rifiutata dalla lavoratrice, come
confermato dalla teste Brevi, dipendente amministrativa.
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e la sospensione temporanea dell’attività lavorativa , con conseguente sospensione

14)Anche tale motivo è inammissibile atteso che la ricorrente , in violazione del
principio di autosufficienza, non riporta per completo le deposizioni testimoniali e
anche l’interrogatorio della Imasogie, solo in parte trascritti, così non consentendo
una verifica diretta delle risultanze istruttorie relative alla proposta di lavoro a suo dire
non accettata, di cui lamenta l’omesso esame. Ma a ben vedere anche in tal caso la
censura di fatto tende a fornire una diversa lettura delle risultanze testimoniali,che
hanno portato la corte di merito a ritenere essere stato posto in essere un

comunicazione di sospensione temporanea del rapporto.
Il ricorso deve pertanto essere respinto, con condanna della cooperativa,
soccombente, alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio, liquidate come
da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di
lite del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi, euro 4500,00 per
compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art.13 comma 1 quater

DPR n.115/2002 , dà atto della sussistenza dei

presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso , a norma del comma 1- bis
dello stesso art.13 .
Roma ,11.10.2017
Laur. Curcio

Antonio Manna

allontanamento definitivo, dunque un licenziamento in forma orale e non una mera

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