Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4214 del 19/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 19/02/2020, (ud. 14/11/2019, dep. 19/02/2020), n.4214

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2371-2018 proposto da:

P.L., S.E., S.S., in qualità di

eredi del Sig. S.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, PIAZZALE CLODIO 32, presso lo studio dell’avvocato CIABATTINI

SGOTTO LIDIA, rappresentati e difesi dall’avvocato NEBBIA GIUSEPPE;

– ricorrenti –

contro

ASREM (AZIENDA SANITARIA REGIONE MOLISE), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

ANDREA BAFILE, 5 INTERNO 8, presso lo studio dell’avvocato COLONNA

GIUSEPPE, rappresentata e difesa dall’avvocato DI SIENA ENRICO

BRUNO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 396/2017 della CORTE D’APPELLO di CAMPOBASSO,

depositata il 10/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 14/11/2019 dal Consigliere Relatore Dott. PORRECA

PAOLO.

Fatto

CONSIDERATO

Che:

La ASREM, Azienda Sanitaria Regionale Molise, conveniva in giudizio S.G., titolare dell’omonima ditta individuale, chiedendo la rimozione dei distributori automatici di bevande della ditta Sprocatti presenti all’interno dell’ospedale di Termoli;

durante il giudizio decedeva il convenuto rimasto contumace e il processo veniva riassunto nei confronti degli eredi P.L., S.E. e S.S. i quali, costituendosi, deducevano che la presenza dei distributori era stata autorizzata dal Direttore generale dell’ASL n. 4 di Termoli e che la prospettazione attore dei possibili profili di concorrenza sleale con il servizio bar, affidato a una ditta esterna a seguito di appalto, era del tutto infondata posto che si trattava di differenti servizi peraltro di utilità sociale;

il Tribunale rigettava la domanda con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare, la fattispecie era da qualificare come comodato precario sempre risolvibile in assenza di un termine anche implicito desumibile dal ricostruito accordo;

avverso questa decisione ricorrono per cassazione P.L., S.E. e S.S. articolando tre motivi;

resiste con controricorso la ASREM;

Vista la proposta formulata del relatore ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RILEVATO

Che:

con primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112,113 e 101 c.p.c., art. 111 Cost., poichè la Corte di appello avrebbe errato decidendo la controversia sulla base di una qualificazione mai prospettata dalla parte attrice che aveva dedotto solo l’illecita occupazione e il profilo della possibile concorrenza sleale con il servizio bar dell’ospedale affidato alla ditta esterna vincitrice della relativa gara;

con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., n. 4, e dell’art. 111 Cost., poichè la Corte di appello avrebbe errato, violando anche i canoni di ermeneutica contrattuale, ritenendo sussistente un comodato precario con motivazione apodittica e quindi apparente, senza spiegare effettivamente il motivo per cui non sarebbe stata evincibile una durata contrattuale;

con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1810 c.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di considerare che mentre nulla si sarebbe potuto desumere dalla gratuità comune a ogni ipotesi di comodato, la fattispecie per un verso non avrebbe potuto essere qualificata in termini di contratto tipico stante la limitatissima utilizzabilità del cespite, e per altro verso avrebbe dovuto in senso differente valorizzarsi l’aspettativa ingenerata con l’autorizzazione all’installazione dei distributori per un servizio pacificamente già erogato nella precedente sede dell’ospedale, nonchè correlato a una funzione sociale indice di una causa negoziale complessa e, finchè riconoscibile, di un impegno non risolvibile discrezionalmente, fermo che gli infondati timori di concorrenza sleale erano stati smentiti da due sentenze, passate in giudicato, intervenute a decidere controversie coinvolgenti la ASREM e la società titolare del servizio bar;

Rilevato che preliminarmente deve osservarsi che il ricorso è tempestivo;

la parte ricorrente ha affermato che la sentenza di appello non sarebbe stata notificata ai fini della decorrenza del termine breve per impugnare, ma solamente “comunicata”;

la parte controricorrente afferma invece esservi stata notifica della sentenza a mezzo p.e.c., in ossequio alla L. n. 53 del 1994, e che la notifica del ricorso era stata effettuata presso lo studio legale del domiciliatario in prime cure però già deceduto (come da documentazione prodotta a questi fini),

con conseguente nullità e tardività dell’impugnazione qui in delibazione;

va invece rimarcato che:

a) la notifica al domiciliatario deceduto risulta superata dall’intervenuto deposito del controricorso che ha sanato la nullità ipotizzata dalla medesima parte, senza necessità del conseguente ordine di rinnovazione;

b) risulta in effetti dagli atti della controricorrente (utilmente ai fini della procedibilità: Cass., Sez. U., 02/05/2017, n. 10648, Cass., Sez. U., 25/03/2019, n. 8312) che la notifica della sentenza è stata ritualmente eseguita a mezzo p.e.c. al difensore della parte oggi ricorrente, con conseguente decorrenza del termine c.d. breve, ma

c) la notifica a mezzo posta sub a) è avvenuta utilmente il sessantesimo giorno (data di spedizione) dalla notificazione sub b);

nel merito cassatorio, i motivi, da esaminare congiuntamente per connessione, sono in parte inammissibili, in parte infondati;

nel ricorso non si prospetta una diversa qualificazione della fattispecie data in primo grado, in coerenza con le prerogative giurisdizionali, su cui, per mancata impugnazione, sarebbe potuto scendere, in quel caso, un giudicato (Cass., 19/03/2018, n. 6713);

il giudice d’appello può qualificare il rapporto dedotto in giudizio in modo diverso rispetto a quanto prospettato dalle parti, purchè non introduca nel tema controverso nuovi elementi di fatto, lasci inalterati il “petitum” e la “causa petendi” ed eserciti tale potere e dovere nell’ambito delle questioni, riproposte con il gravame, rispetto alle quali la qualificazione giuridica costituisca la necessaria premessa logica e giuridica (Cass., 15/05/2019, n. 12875);

nel caso, i fatti sono pacifici: autorizzazione all’installazione dei distributori e successiva richiesta di rimozione degli stessi;

inalterati sono rimasti, altresì, in secondo grado, “petitum” e “causa petendi”: rilascio degli spazi ospedalieri impegnati dai distributori, e riacquisizione della disponibilità di quegli spazi di proprietà, occupati senza più titolo;

è poi evidente che, nella cornice della ricostruzione della domanda quale effettuata dalla Corte di appello nell’apprezzare il merito della controversia (Cass., 21/05/2019, n. 13602) non sposta alcunchè il riferimento, complessivamente descrittivo, ai possibili profili di concorrenza sleale paventati dall’aggiudicataria del servizio bar;

dunque, non risultando alcun giudicato interno ostativo, la Corte territoriale ha legittimamente qualificato il rapporto;

l’interpretazione del contratto in termini di comodato precario, ritenuto fondato sull’autorizzazione scritta del Direttore generale dell’ASL – con motivazione più che decifrabile e senza censure sullo specifico punto della forma – è stata basata dalla Corte territoriale sull’assenza di altre indicazioni evincibili dall’autorizzazione in parola, rilasciata quindi a titolo gratuito e senza determinazione di durata;

ciò posto, va ricordato che è inammissibile, in sede di legittimità, una contestazione dell’interpretazione di un contenuto contrattuale limitata alla prospettazione di una pur plausibile lettura alternativa dei contenuti del rapporto (Cass., 22/06/2017, n. 15471);

parte ricorrente prospetta sul punto non solo una mera interpretazione alternativa, bensì una generica allusione a non meglio dettagliate forme di contratto atipico che vincolerebbero l’azienda ospedaliera a mantenere in uso gli spazi immobiliari, da destinare all’installazione dei distributori di bevande, alla permanenza di una funzione sociale non più chiaramente distinta dal disagio dei frequentatori, con affermazioni così generiche da risultare, sotto questo profilo, anche inammissibili;

nè influisce l’accenno di parte controricorrente all’esiguità degli spazi del cespite utilizzati, posto che si tratta di elemento non meglio dettagliato e fattuale, e atteso che non si comprende in che modo avrebbe potuto e potrebbe essere ostativo alla statuizione di rilascio (fermo che la giurisprudenza invocata in controricorso concerne fattispecie differenti: Cass. n. 270 del 2002 riguardava un’ipotizzata qualificazione come locazione dell’attribuzione della facoltà di collocare, su un’area di proprietà, un’impalcatura e una gru in modo da consentire, per un determinato periodo di tempo prorogabile fino a una data prestabilita, e previo pagamento di un determinato importo mensile, l’esecuzione di lavori di ristrutturazione dell’adiacente edificio; Cass. n. 16679 del 2002 riguardava un contratto con il quale il proprietario di un terreno aveva trasferito la disponibilità a terzi per la sua destinazione a discarica, secondo modalità negozialmente predeterminate e del tutto peculiari -nella specie, escavazione del terreno per consentire lo smaltimento dei rifiuti con il sistema dello stoccaggio definitivo; corrispettivo stabilito in ragione dei metri cubi di riempimento dello scavo; obbligo di restituzione del terreno alla scadenza contrattuale previa chiusura della discarica mediante copertura dello scavo e sistemazione finale dell’area per l’utilizzazione a piazzale- essendosi quindi ritenuti integrati gli estremi del contratto atipico cui, in via analogica, comunque applicare le norme sulla locazione);

spese secondo soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese processuali della controricorrente liquidate in Euro 4.000,00, oltre 200,00 per esborsi, oltre al 15 per cento di spese forfettarie oltre accessori.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il pagamento, se dovuto e nella misura dovuta, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, il 14 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2020

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