Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 4214 del 17/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 17/02/2017, (ud. 12/01/2017, dep.17/02/2017),  n. 4214

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21484-2014 proposto da:

D.M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, V.AUGUSTO

AUBRY 1, presso lo studio dell’avvocato BRUNO MOSCARELLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO ORLANDO giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA in persona dei propri procuratori speciali Dott.

P.V. e Dott. D.G., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 62, presso lo studio dell’avvocato

VALENTINO FEDELI, rappresentata e difesa dall’avvocato RENATO

MAGALDI giusta procura speciale notarile;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2400/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 11/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2017 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;

udito l’Avvocato LORENZA IANNELLI per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PEPE Alessandro che ha concluso per il rigetto del 1 motivo;

accoglimento del 2 motivo di ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza del n. 11965/2008 il Tribunale di Napoli ha rigettato la domanda proposta da D.M.S. avverso Assicurazioni Generali S.p.A. – quale impresa designata per la Campania dalla Gestione del Fondo di Garanzia delle Vittime della Strada – di risarcimento dei danni che avrebbe subito per un incidente stradale del (OMISSIS), nel quale egli, come pedone, sarebbe stato investito da un’auto non identificata. Il D.M. proponeva appello dinanzi alla Corte d’appello di Napoli, che lo rigettava con sentenza n. 2400/2013.

2. Il D.M. ha presentato ricorso sulla base di due motivi – argomentati anche in memoria ex art. 378 c.p.c. -, da cui si difende con controricorso e memoria ex art. 378 c.p.c. Generali Italia S.p.A.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Il ricorso è infondato.

3.1 Il primo motivo, seguendone la rubrica, dovrebbe denunciare, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 990 del 1969, artt. 19ss., D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 203, artt. 115 – 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto discusso e decisivo.

Afferma il ricorrente che, in linea di principio, è condivisibile il rilievo del giudice d’appello che la denuncia-querela del D.M. – il cui conseguente procedimento penale è sfociato in archiviazione – non ha effetto automatico di prova del fatto storico, pur dovendosi precisare tale rilievo mediante il riferimento alla prova della non identificazione/identificabilità del veicolo danneggiante. Tuttavia, a suo avviso, “la sentenza impugnata deficita nella parte in cui attribuisce un valore infimo, o, comunque, non attribuisce giusto valore a quell’atto”. Infatti la denuncia e l’archiviazione non sono elementi decisivi, ma avrebbero comunque dovuto essere intesi come indizi a favore della prospettazione del D.M.. E a favore di tale prospettazione il giudice d’appello avrebbe dovuto tenere conto pure degli esiti della c.t.u. medico-legale (con essa compatibili) e delle due testimonianze (delle quali il motivo riporta anche stralci su cui argomenta) che sarebbero state concordi nell’individuare i luoghi del sinistro, le circostanze temporali e le parti fisiche lesionate dell’investito D.M., testimonianze in cui non sarebbero rinvenibili contraddittorietà, come invece ritenuto dalla corte territoriale, se non a proposito di profili totalmente secondari.

Il motivo, come emerge ictu oculi dalla sintesi appena tracciata, consiste, in effetti, nella richiesta al giudice di legittimità di una revisione dell’accertamento di merito, che viene prospettato dal ricorrente attraverso un’alternativa lettura degli esiti probatori documentali e dichiarativi. Ne è evidente, pertanto, l’inammissibilità.

3.2.1 Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 245 c.p.c., comma 1, e art. 257c.p.c., commi 1 e 2, nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto discusso e decisivo.

La corte territoriale, riportandosi alle valutazioni del giudice di prime cure, ha messo in dubbio l’esistenza del sinistro; ma proprio per questo il ricorrente, fin dal primo grado, e anche in appello, avrebbe insistito per approfondire l’istruttoria mediante l’escussione della terza teste da lui indicata, B.R.. La sua escussione, infatti, sarebbe stata chiesta nelle udienze istruttorie di primo grado, in sede di precisazione delle conclusioni davanti al Tribunale e nell’atto d’appello, perchè, per quanto risulterebbe dalle dichiarazioni dello stesso D.M. in sede di interrogatorio e di uno dei testi escussi, il teste V., ella sarebbe stata presente al momento dell’investimento e in grado di descriverlo. Il Tribunale non avrebbe correttamente esercitato il suo potere discrezionale di incidere sulla lista dei testi ex art. 245 c.p.c., comma 1, perchè, appunto, la discrezionalità ha come presupposto che la lista testimoniale sia sovrabbondante, come insegna anche la giurisprudenza di legittimità (richiama il ricorrente Cass. sez. 3, 22 aprile 2009 n. 9551): e nel caso in esame, la lista attorea indicava solo tre testi. Non vi sarebbe stata, pertanto, una scelta del difensore di non sentire la Barone, come ritenuto dal giudice d’appello, bensì si sarebbe di fronte a una questione di non corretta applicazione dell’art. 245 c.p.c., comma 1. E il giudice d’appello avrebbe errato pure nel non ammettere la testimonianza della B. quale teste di riferimento ai sensi dell’art. 257 c.p.c., comma 1. Su questi aspetti la corte avrebbe inoltre fornito una motivazione carente e illogica.

3.2.2 Premesso che, denunciandosi nel motivo questioni di diritto, non rileva l’asserito vizio motivazionale, denunciabile solo in riferimento a questioni di fatto, dal momento che in ordine alle questioni di diritto rileva unicamente la corretta applicazione da parte del giudice di merito delle norme (cfr. Cass. sez. 3, 14 febbraio 2012 n. 2107, Cass. sez. 5, 2 febbraio 2002 n. 1374; Cass. sez. 2, 10 maggio 1996 n. 4388; Cass. sez. 1, 14 giugno 1991 n. 6752; Cass. sez. 2, 22 gennaio 1976 n. 199; trattasi logicamente di principio generale, relativo anche alla giurisdizione di legittimità in materia penale: cfr. p. Us. Cass. pen. sez. 1, 20 maggio 2015 n. 16372 e Cass. pen. sez. 3, 23 ottobre 2014-11 febbraio 2015 n. 6174), deve anzitutto osservarsi che si tratta di una duplice censura: violazione dell’art. 245, primo comma, c.p.c. in primo luogo, per riduzione della lista dei testimoni; e, in secondo luogo, mancata escussione della teste B.R. quale teste di riferimento in violazione dell’art. 257 c.p.c.

Per quanto concerne, allora, la pretesa violazione dell’art. 245, comma 1, il ricorrente non adduce che, nell’atto d’appello, fosse stata da lui denunciata alla corte territoriale la violazione della norma suddetta – che avrebbe potuto effettivamente sostenersi, essendo la lista comprensiva soltanto di tre testimoni -, bensì genericamente afferma che nell’atto d’appello aveva chiesto la escussione della teste. E nell’impugnata sentenza, anzi, si dà espressamente atto che l’attuale ricorrente aveva addotto che l’escussione della teste B. era stata “immotivatamente esclusa”, chiedendo poi alla corte territoriale, in subordine rispetto all’accoglimento della domanda risarcitoria, di escuterla “ritenutane l’opportunità e/o la necessità”. Quindi il motivo non è autosufficiente per sostenere che al giudice d’appello era stata denunciata proprio la violazione da parte del primo giudice dell’art. 245 c.p.c., comma 1, emergendo per di più dalla stessa sentenza impugnata che tale censura non fu proposta. E’ evidente, pertanto, che essa non può essere avanzata per la prima volta in questa sede, dovendosi constatare che dinanzi al giudice d’appello la mancata escussione della teste B. fu censurata non per violazione di legge, bensì per mancanza di motivazione.

3.2.3 Per quanto concerne, poi, l’ulteriore censura attinente alla pretesa violazione dell’art. 257 c.p.c., comma 1, essa è palesemente priva di pregio, poichè la norma non obbliga il giudice a escutere il teste di riferimento, conferendogli invece un potere di disporre la sua escussione. Peraltro, ancor più rilevante è il fatto che la sua ratio ne esclude l’utilizzazione per sostituire una eventuale inerzia di chi deve adempiere all’onere probatorio, cioè delle parti. Il che significa che non è trasformabile in teste di riferimento quel teste che è già stato indicato dalla parte nella lista delle persone da escutere come testimoni, ovvero che la parte ha già indicato come persona che conosce i fatti, come è avvenuto nel caso di specie per quel che ammette lo stesso ricorrente (cfr. da ultimo Cass. sez. 3, 18 settembre 2015 n. 18324: “Il potere officioso del giudice di disporre l’assunzione del teste di riferimento ai sensi dell’art. 257 c.p.c., comma 1, comportando una deroga al potere di deduzione probatoria della parte, può essere esercitato soltanto ove la conoscenza del fatto da parte del terzo si sia palesata nel corso di una testimonianza e non anche quando la stessa emergeva già dalle allegazioni di una delle parti.”).

Anche questa censura, pertanto, non merita accoglimento.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna del ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

Sussistono D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis cit. art..

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 10200, di cui Euro 200 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 12 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2017

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